«Tre cose sottili sono il maggior sostegno del mondo: il sottil rivolo di latte dalla mammella della mucca dentro il secchio; la foglia sottile del frumento ancora verde sulla terra; il filo sottile sulla mano di una donna industriosa. Tre rumori di prosperità: il muggito di una mucca gonfia di latte; il tintinnio del ferro di una fucina; il fruscio di un aratro.» (The Trials of Ireland, secolo IX)

Carnevale: sfilate, lanci di coriandoli e... di altro



"E' usanza innanzi carnevale stare in festa e in giuochi e in sollazzi" 


PALAZZOLO. Il carnevale è il periodo della baldoria e degli scherzi prima dell'astinenza quaresimale (infatti carnevale significa togliere, rinunciare alla carne, per incominciare il periodo di penitenza della quaresima). L'inizio ufficiale del carnevale risale all'anno 1466, ma la sua effettiva origine è antichissima e si può far risalire ad alcune feste della civiltà greca e romana.
Anche se con forme diverse, si può dunque stabilire un collegamento con i Saturnali, le feste in onore del dio Saturno in cui ci si abbandonava a scherzi e a satire pubbliche: gli schiavi per tre giorni erano liberi dalle loro penose fatiche e in più erano serviti a tavola dai loro padroni. Lo stesso avveniva in alcune località della Grecia in occasione delle Ermee, le feste in onore di Mercurio.
         Il carnevale ci ricorda inoltre i Lupercali, le feste in onore del dio Pan, in cui, fra l'altro si rappresentava in maniera simbolica il passaggio dall'inverno alla primavera, quindi una sorta di preludio al "Capodanno" primaverile o, ancora, le "Grandi feste dionisiache" o baccanali in cui i partecipanti in corteo danzavano sfrenatamente travestiti da satiri e da baccanti ebbri di vino.
         Nel basso medioevo, il carnevale veniva festeggiato per un solo giorno, quello che precede le Ceneri. Più tardi, il tempo di baldoria e di divertimento, si protrasse nell'arco di tempo che va dal dì dell'Epifania alle Ceneri.

Le sfilate e i carri allegorici
         Una peculiarità del Carnevale è la tradizione delle sfilate con i carri allegorici. Ai tempi di Lorenzo il Magnifico, nella seconda metà del Quattrocento, quest'uso era in gran voga. I lunghi cortei comprendevano una serie di carri con strane mascherate che passavano sotto archi trionfali (parodia dei "trionfi" che si celebravano nell'antica Roma quando un generale tornava vittorioso) e "trionfi" venivano chiamate queste sfilate. I cortei, religiosi e profani, erano rappresentazioni all'aperto che tutti potevano osservare, dalla strada, dalle finestre, dai tetti. Alle facciate delle case venivano appese tappezzerie o preziose coperte, e in alcune città le strade venivano coperte di fiori.

         Fu proprio in onore di uno di questi carri allegorici dal titolo "Trionfo di Bacco e Arianna" che Lorenzo il Magnifico nel 1490 compose uno dei più bei canti carnescialeschi mai scritti, tanto da essere preso a simbolo del clima chiassoso e allegro della festa: "Quant'è bella giovinezza,/che si fugge tuttavia!/Chi vuol essere lieto, sia:/di doman non c'è certezza...". E ancora, si può asserire che il carnevale abbia avuto il suo riconoscimento ufficiale proprio con le parole di Ginevra, la protagonista di una novella dello stesso poeta mecenate: "E' usanza innanzi carnevale stare in festa e in giuochi e in sollazzi". Lorenzo de' Medici quindi incoraggiò le pompe di carnevale, le rese splendide ed ebbe il merito di intravedere in questo genere di spettacolo un mezzo straordinario per divertire i fiorentini e la gente tutta.
         Ma anche l'origine dei carri allegorici, se vogliamo, la possiamo fare risalire a duemila anni prima della signoria medicea quando Tespi, poeta tragico greco nato circa nel 560 a. C., girava con la sua compagnia di attori travestiti e mascherati sopra un carro (il "Carro di Tespi" appunto) per le varie città della Grecia, divertendo e sollazzando gli spettatori con rappresentazioni tragicomiche.
         Oggi, la tradizione della sfilata dei carri allegorici trova la sua massima espressione nel carnevale di Viareggio dove i maghi della cartapesta riescono a creare dei veri e propri capolavori che richiamano nella cittadina toscana turisti a valanga.

Lanci di coriandoli e di... altro
         Altra usanza inveterata del carnevale è quella di buttare addosso i coriandoli. I dischetti di carta colorata che si scagliano oggi, in origine altro non erano che confetti contenenti semi dell'aromatica pianta del coriandolo (Coriandrum sativum); in alternativa si lanciavano direttamente gli stessi semi o delle pallottoline di gesso.
         I lanci di prodotti vegetali (coriandoli, altri piccoli frutti, fagioli, miglio, arance e anche mele) stanno (stavano) a significare il desiderio di rinascita e augurio di abbondanza e di fertilità e dunque richiamano in questo caso il passaggio equinoziale ed i riti arcaici primaverili ad esso connessi.
         Buttare qualcosa addosso alle persone convenute alla  feste carnascialesche è un'usanza nata con il carnevale stesso. Pitrè ci fa conoscere una lunga serie di materie prime che, a Palermo, venivano utilizzate per l'occasione. Sia gli uomini, quanto le donne, si divertivano a lanciarsi arance, crusca, polvere di gesso o di calce!, acqua non propriamente odorosa. Quando il gioco mostrò di degenerare, il Capitan Giustiziere del tempo (1499), fece un bando in cui vietava che "alcuna persona così cittadina come forestiera presuma giocare a Cannalivari con arangi e acqua o altro modo" e ancora nel 1518 proibisce che si giochi "ad arangi, a caniglia o ad altro gioco; eccetto le donne dalle finestre con acqua pulita".
         Gli orti e i giardini del Palermitano erano ricchi di alberi di arance e quindi fornivano la materia prima che in questo caso era costituita da arance da spremere, forte e dure come sassi che ancora non avevano avuto la ventura di conoscere l'innesto Portogallo: gli uomini con questa frutta rustica ingaggiavano delle vere e proprie sassaiole. 
         La lista dei prodotti che venivano utilizzati per il lancio, e non solo a Palermo ma in tutte le città dove si festeggiava il carnevale, è assai lunga e spesso risultava pericolosa non solo per l'igiene dei partecipanti ma anche per la loro incolumità. Si va dalle uova piene d'inchiostro a quelle piene di olio, di petrolio, di gesso, di calce o di ben altro liquido non proprio olezzante. E poi ancora: mele, ventrigli di pollo, ceci confettati, confetti cannellati. A Palazzolo, ad esempio, a cavallo degli anni '50 e '60 durante la sfilata dei carri al Corso facevano furore le battaglie con il miglio (quello per le galline) e con il borotalco accompagnato da abbondanti schizzate di acqua, un anno furono lanciati anche dei finocchi contro un "imperatore" romano.
         Per ritornare al lancio delle arance non si può non parlare della "battaglia delle arance" di Ivrea, tuttora in auge, durante la quale gli "aranceri", che si muovono su carri trainati da cavalli, colpiscono con i non leggeri agrumi tutti coloro che si trovano nelle strade senza un cappelletto rosso. Più tranquilla e distensiva, invece, la battaglia dei fiori a Sanremo con migliaia di proiettili multicolori e profumati che si incrociano nell'aria mentre tutti gridano divertiti e cercano di colpirsi a vicenda.  
Il Corriere degli Iblei, gennaio 2002

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