Palazzolo Acreide. Prima
che venissero costruiti gli acquedotti pubblici l'approvvigionamento idrico dei
vari centri urbani era affidato alle fontane dove erano convogliate le sorgenti
di maggiore portata: ad esse attingevano le donne e gli acqualuori; questi ultimi, per mestiere, vendevano l'acqua a
chiunque ne facesse richiesta.
Le fontane di solito erano dislocate all'ingresso dei
centri abitati e nei punti strategici. Le più frequentate secondo una diffusa
credenza popolare, finivano sotto la tutela di una munachedda, un essere dai poteri benigni e dalle fattezze giovanili
che compariva nel mese di giugno e solo per tre martedì successivi.
Sovrintendeva ai tesori che giacciono lungo i fiumi e presso le sorgenti e
prometteva copiosa ricchezza a chi dietro suo invito la seguisse fino alla
testa della fonte.
Le fontane di Palazzolo
A Palazzolo le fontane di pubblica
utilità erano Fontanagrande, la fontana del Carcere, quella di S. Antonio, la
fontana di via Roma, del Convento (tutte e quattro alimentate dalla prima,
assieme alla fontanella della Villa Comunale), Fiumegrande, la fontanella di
Palazzo con il muretto a ferro di cavallo, Fontanabotte (1857), Fontanasecca,
la monumentale fontana della Matrice (1883) smontata e sparita nel nulla
qualche decennio fa, la fontana di via Annunziata eliminata con la costruzione
dell'edificio scolastico; queste ultime due fontane erano alimentate da una
sorgiva scaturente dalla costa di S. Corrado (‘a Buffa), la stessa che oggi dà acqua alla fontana dello Spirito
Santo. In seguito con la messa in esercizio dell'acquedotto pubblico furono
impiantate decine di fontanelle in tutto il paese.
Le fontane erano luogo d'incontro, di pettegolezzi e di
liti soprattutto tra donne che, ogni giorno, per attingere l'acqua si
ritrovavano nello stesso posto almeno due volte: di prima mattina e
all'imbrunire. In questa seconda tornata e con la complicità del crepuscolo, a
volte cadevano nella trappola di qualche ragazzino dispettoso: un filo invisibile,
teso ad altezza d'uomo nel punto di passaggio, falciava senza pietà la prima quartara che si trovasse a transitare su
una testa femminile.
La brocca, di solito, veniva portata sulla testa,
protetta da una pezza attorcigliata a cuddura
(trizzuni) che serviva pure a gestire
meglio l'equilibrio della stessa. Alla brocca, a volte, si aggiungevano due
secchi, portati uno per mano!
Nelle ore di punta c'era ressa alla fontana e bisognava
fare la fila. Non di rado scoppiavano delle liti che magari prendevano a
pretesto il non avere rispettato il turno; invece, se possibile, si trattava di
vecchi rancori mai sopiti che venivano a galla alla prima occasione. E dopo le
prime schermaglie, finiva sempre con uno scambio di invettive e a volte anche
con qualche tiratina di capelli tra le contendenti.
Gli acqualuori
A Palazzolo gli acquaioli attingevano tutti a
Fontanagrande, la storica fontana dotata di tre copiose cannelle, currugghia, dall'acqua freschissima.
Si tratta di una imponente
struttura secentesca a parete, in pietra calcarea, con lavatoio e abbeveratoio
in pietra lavica la quale dopo decenni di ingiustificato abbandono è stata
finalmente restaurata e attivata.
Lo scorrere della sua acqua ha assistito al fluire
quotidiano della fatica umana: acquaioli, lavandaie, passanti, contadini, firioti, animali, tutti si sono serviti
di questa freschissima sorgente; qualcuno, magari le ha confidato qualche
segreto, un cruccio, una speranza. Sono sicuramente tante le storie di cui è
stata testimone questa vecchia fontana, storie di affanni, di stenti, di
miseria.
Agli inizi del secolo, gli acquaioli trasportavano
l'acqua negli otri o in piccoli varrila
someggiati, uno per lato, sul basto dell'asino o del mulo. Turi u Babbu fu l'ultimo rappresentante di questa iniziale
categoria di acquaioli. Negli anni '20 i varrila furono sostituiti da quattro brocche, due per
lato, trattenute ai fianchi della bestia da strutture in ferro chiamate circa.
Verso gli anni trenta infine, a Palazzolo incominciarono
a circolare i primi carri per acquaioli. Erano degli insoliti carri, di fattura
spartana, costruiti da carrittari e
mastri d'ascia locali: senza sponde, senza pitture, senza arabeschi; un pianale
sforacchiato da 20 buchi col diamentro di 30 cm e simile ad un colabrodo, montato su due
ruote. Le brocche, in primo momento di terracotta, quartari ri Minìu, vennero ben presto sostitute da quelle di zinco.
Furono molti i lavoratori che, per sopperire alla
mancanza lavoro e con sulle spalle moglie e prole, esercitarono il mestiere di acqualuoru e per diverso tempo. A volte
nella categoria rientrava pure qualche povera donna che per sopravvivere faceva
l'acqualuora in modo autarchico,
senza asino e senza carretto: una brocca per volta trasportata sulla propria
testa dalla fontana al domicilio del cliente.
A Palazzolo la maggior parte degli acqualuori erano
conosciuti e sono tuttora ricordati per mezzo del soprannome in aggiunta al
cognome. Nei paesi la gnuria,
difatti, è una consuetudine tacitamente accettata e tramandata ancora fino ai
nostri giorni. A Palazzolo i più gettonati erano: Paolo Calleri (Varuvajanu), don Gatanu Zappulla, Diego Quattropani (Degu), Salvatore Gallo, Giuseppe Liberto, i fratelli Turi e Pauleddu Failla (Varivarini),
Gaetano Santoro (Tanu u 'ncuddatu), u massaru Paulu Bubù, don Turiddu Bubù, Vastianu u Cucu, Turi Surci,
don Pippinu Alibrio (Bafali), don Gatanu Messina.
Questi lavoratori, atipici
sotto certi aspetti, erano considerati alla stessa stregua degli artigiani, e
come tali, per esercitare il mestiere, dovevano
essere forniti di regolare autorizzazione rilasciata dalle autorità
comunali.
Fatto il pieno a Fontanagrande, dove godevano della
precedenza assoluta su tutti gli altri frequentatori, gli acqualuori distribuivano l'acqua ai loro clienti secondo una
turnazione settimanale prestabilita che prevedeva con esattezza i consumi dei
clienti. Durante il giro servivano all'occorrenza clienti occasionali o
eventuali clienti "sciuponi" rimasti a secco prima del previsto. Una
brocca d'acqua costava tre lire diventate poi cinque nell'ultimo periodo di
attività.
Ad un
certo momento, il commissario prefettizio del tempo rag. Guglielmo Li Greci
impose la consegna dell'acqua fin davanti alla porta dei clienti, compresi
quelli che non abitavano a piano terra.
Ci fu subito aria di fronda: qualcuno per protesta
consegnò la "licenza" nelle mani dello stesso Commissario e cambiò
mestiere. Ma, di lì a poco, anche gli altri acquaioli furono costretti a
seguire la stessa strada, non per protesta, ma per un motivo diverso e più
serio questa volta: l'acqua di Ufra aveva
già iniziato ad entrare nelle prime case e i Palazzolesi stavano finendo di
centellinare il prezioso elemento misurato a quartare.
Fontanagrande, la "madre" di tutte le fontane,
diventata obsolescente, si avviava inesorabilmente al suo declino.
IL CORRIERE DEGLI IBLEI, marzo 2001
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