…simile a una madre badessa stava seduta
in un angolo a sinistra dell’ingresso, e dava arenzia e chiacchiera ai vari
clienti in attesa di essere serviti…
Mettere
il piede dentro questo negozio storico di Palazzolo vuol dire fare un tuffo nel
passato, quello remoto.
Qui dentro il tempo si è fermato. Stoffe, scampoli,
matapolli, tricot, tovagliati, camicie, sono come reliquie custodite in un reliquario.
Tutto è immerso in una fresca e rilassante quiete, qui, Oreste e le stoffe in
pezza riposano in pace ormai, queste ultime senza lo stress di essere tirate
giù dagli scaffali decine di volte al giorno, srotolate, toccate, spiegazzate da
sapienti mani femminili; osservate, confrontate, soppesate e poi. superata la
prova, con un colpo secco, zaaaff!, lacerate senza pietà (poveri percalli!) a
mani nude o tagliate con le forbici.
Riposano,
le forbici, ormai grippate, riposa il metro rigido (di legno) sul piano del
bancone, riposa l'equivalente riportato a tacche sul bordo del retro bancone.
La roba a 190 (£) al metro, per vestagliette e camicie da notte, anche se lusingata
e nobilitata dal prezzo rivalutato cinquanta volte oggi € 5,00 al metro),
rimane negletta e semisrotolata nel suo tavoloccio.
Sono
stoffe-reliquie con sulle spalle diversi lustri di storia del costume e degli
usi, in grado di parlarci di un mondo ormai scomparso, travolto dalla fretta e
dall'usa e getta. Potendolo fare, farebbero l'elogio di una società non ancora
malata di consumismo, sobria e dedita al risparmio, in cui le donne, le
massaie, compravano la stoffa a taglio da portare al sarto per far cucire
giacche, pantaloni, gonne, camicie, per i mariti, per i figli, per loro. Il più
delle volte erano loro stesse in grado di confezionare i capi più semplici
mentre si davano da fare per rattoppare o si ingegnavano per rivoltare quelli
logori: nonostante ciò il bilancio familiare stentava a quadrare. Quelle
variopinte stoffe a pezza, zeppe negli scaffali sino al soffitto e che oggi
fanno quasi folklore, sono memoria di un modus vivendi in disuso ormai, il
mondo dei nostri padri quando le malannate condizionavano pesantemente
l’economia della comunità e bisognava stringere ancora di più la cinghia e i
denti per campare e per onorare gli impegni. Un mondo che ci siamo lasciati
alle spalle qualche decennio fa.
Il
buon Oreste, lo sa perfettamente tutto questo, non è un nuovo don Chisciotte,
no. Ha piena consapevolezza della ineluttabilità dei cambiamenti e non nutre
illusioni, ciò malgrado ogni giorno apre regolarmente il suo negozio. Per
passatempo, anzi per abitudine, anzi per continuare l’attività del padre con
cui iniziò a collaborare nel lontano 1963. Tiene aperto… se poi vende qualche scampolo,
o una vestaglietta, o una tovaglia, tanto meglio. Se no, no! Alcune stoffe per lui sono cimeli, memoria, le accarezza, le coccola, le si è
affezionato quasi, e si rammarica quando si accorge di aver venduto qualche articolo
fuori produzione senza aver lasciato per sé almeno un frammento. E allora parla
di traliccio indistruttibile per confezionare mutandoni, di popeline per
reggiseni, di marche rinomate. Conversa amabilmente, Oreste, con voce un sommessa,
quasi bisbigliando, non ha fretta, il tempo non è tiranno, lui ha una buona
memoria.
Fu
la nonna materna, donna Vastianedda
Gervasi, donna energica e madre di otto figli, a impiantare il negozio là dove
la via Gaetano Italia (a quei tempi via Guardia) incrocia via Nicolò Zocco (a
quei tempi via Macellaria). Lorenzo (classe 1893), uno degli otto rampolli, a
13 anni iniziò a collaborare la madre nell’attività commerciale. Poi, carica di
anni, la nonna affidò la gestione al figlio ma continuò a respirare
quotidianamente l’aria “salubre” e ciarliera del negozio: simile a una madre
badessa (lʼenigmatica figura femminile, affrescata nella volta del negozio e assisa
tra le pezze di stoffa e le ciminiere fumanti, sembra dipinta a sua immagine e
somiglianza) stava seduta in un angolo a sinistra dell’ingresso, e dava arenzia e chiacchiera ai vari clienti in
attesa di essere serviti da don Lorenzino.
In
seguito, verso la metà degli anni settanta, Oreste, subentrò nella gestione al
padre, costretto a lasciare per limiti di età dopo un’intera vita dedicata a
stoffe e tessuti. La domanda per la stoffa in pezza però era già in caduta
libera per l’imporsi delle confezioni industriali che da tempo facevano impari
concorrenza alla sartoria artigianale.
PARLA
ORESTE
«Oggi
a Palazzolo - dice Oreste Miano - il mio
è l’unico negozio ancora fornitissimo di stoffe in pezza per camicie,
pantaloni, materassi, tovagliati, e tanto altro. La qualità è quella antica,
quella di una volta. C’è anche Lozito al Corso ma ha un assortimento limitato e
più moderno. Prima c’erano tantissimi negozi di tessuti. C’era don Turiddu Bonfiglio (Cipudduni) in piazza Liberazione (forniva pure casse da morto),
Messina in via san Sebastiano (don Mmicienzu
ra vaddia, alias don Mmicienzu u viddanu), gli Scialla e mio zio in via
Duca d’Aosta, a Mascianela in fondo
alla via Maestranza, Giovanni Grimaldi ('u
Catanisi) dove la via Garibaldi incrocia la via
Nicolò Zocco, La Rosa
(u cavaleri Brocculu) in via
Garibaldi accanto alla farmacia Lombardo, e poi altri che in questo momento non
mi ricordo. Ci fornivamo a Catania dai grossisti di via Manzoni: Pavia, Vadalà, Pantò, Patti.
Ordinavamo la merce che poi ci veniva recapitata dai Gionfriddi (Nigro). Si
pagava un tot per ogni collo.
Si
lavorava tutti a pieno ritmo, specialmente sotto le feste: era quello il
momento buono per nzajari il vestito
nuovo. Anche a gennaio sotto Carnevale
si vendeva tanta stoffa di battaglia confezionare i costumi. Incrementi nella
vendita si avevano pure ad ogni cambio di stagione. I mesi di magra erano
febbraio, marzo e poi luglio e agosto.
Erano
le donne a scegliere (soprattutto la qualità) e a comprare. Davano la
preferenza alla stoffa pesante per le camicie da lavoro, a quadrettini, rigata;
al tricot di cotone doppio ritorto per la confezione dei pantaloni per i lavori
di campagna e i lavori pesanti dei loro uomini;poi sono arrivati i blue jeans
ed è cambiato tutto.
La
domenica era giornata di gran lavoro, si stava aperti fino alle due, alle tre
di pomeriggio. Era il turno riservato alla gente che veniva dalla campagna:
“Dobbiamo sistemare mio marito per un anno, due anni…” dicevano risolute le
mogli e compravano la stoffa in pezza per quattro, sei camicie, tricot per due,
tre paia di pantaloni, e pure per il grembiule ( 'u mantali) e per la
manica ('a manichedda) da infilare nel braccio destro durante la mietitura.
In
paese c’erano tantissime camiciaie, mi ricordo a Mustazzusa, ad esempio, e lavoravano tutte dalla mattina alla sera
tardi. Oggi non c’è più nessuno e d’altro canto costerebbe di più la manodopera
che la stoffa. Le stesse lenzuola si vendono belle e fatte, stampate… oggi chi
lo fa 'u rèfucu?, l’orlo?, non c’è più
nessuno… e allora… tovaglie, tovagliette… tutto pronto, già confezionato.
A
raccolto avvenuto, dopo la festa di S. Sebastiano, i contadini pagavano il loro
debito oppure davano un acconto e saldavano a Natale, dopo la raccolta delle
olive: in olio o in denaro. Gli impiegati ogni fine mese davano un acconto fino
al saldo. Gli artigiani appena si mettevano in
picciuli, venivano a pagare. Prima era diverso, le persone avevano più dignità, erano rispettose e di parola. In
autunno vendevamo decine di cuttunini
che facevamo confezionare da Licciardello a Catania: gialle da un lato e rosse
dall’altro. Erano in rasatello di cotone. Vendevamo pure coperte raffinate di
macramé per il corredo e poi anche quelle dozzinali dette di casermaggio.
Rinomate erano le coperte abruzzesi di lana che molto spesso si vendevano al
posto delle cuttunine, specialmente
per i corredi nuziali di un certo livello.
Oggi
tutto questo è finito in modo irreversibile, lo so perfettamente. Tuttavia mi
ostino a tenere aperto, per abitudine… per affezione… non so come dire… ecco;
mi sentirei in colpa se ai vecchi clienti affezionati, alcuni (pochissimi)
ancora dai tempi di mio padre, un giorno facessi trovare chiusa per sempre la
porta del negozio ».
IL CORRIERE
DEGLI IBLEI, maggio 2009
Bellissimi ricordi. ������
RispondiEliminaA causa del COVID-19 ho perso tutto e grazie a dio ho ritrovato il mio sorriso ed è stato grazie al signore Pierre Michel che ho ricevuto un prestito di 65.000€ e due miei colleghi hanno anche ricevuto prestiti da quest'uomo senza alcuna difficoltà. È con il signore Pierre Michel, che la vita mi sorride di nuovo: è un uomo semplice e comprensivo. Ecco la sua email: combaluzierp443@gmail.com
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