La basilica di San Pietro in Vincoli è
nota perché, fra le tante reliquie e opere d'arte, ospita soprattutto la
celebre statua marmorea del Mosè di Michelangelo.
Grande stupore suscita, ciononostante,
il mosaico nel terzo altare della navata sinistra raffigurante un San
Sebastiano maturo, con la barba e nelle vesti di un tribuno romano (fig.1).
L'opera fu realizzata nell'anno 680, in
occasione di una terribile epidemia pestilenziale; un altro mosaico simile ma
più antico, si trova nella basilica di Sant'Apollinare Nuovo a Ravenna; un
terzo San Sebastiano con le stesse sembianze, attribuito a Giotto, si può
ammirare nell'affresco absidale della basilica di San
Giorgio in Velabro a Roma.
In seguito, a partire dal Rinascimento,
il martirio di San Sebastiano ispirò la figura del giovane efebo nudo,
frecciato e legato ad un albero di alloro o ad una colonna, facendolo diventare
in tal modo l’equivalente degli eroi greci celebrati per la
loro bellezza. Pertanto, il culto di Sebastiano, nominato defensor
ecclesiae mentre era ancora in vita, si diffuse a macchia d'olio in Italia
e poi in tutto l'Occidente grazie anche ai tanti prodigi a lui attribuiti.
Essendo il martire uscito indenne dal supplizio delle
frecce, gli si riconobbe per questo motivo
la prerogativa di proteggere il popolo dalle "frecce" dei castighi divini, vale a dire dalle
pestilenze (e dalle malattie contagiose): di conseguenza diventò, tout court, depulsor
pestilitatis.
Tali poteri miracolosi furono messi alla prova in occasione
della terrificante epidemia di peste scoppiata in Italia e soprattutto a Roma e
a Pavia nell'estate dell'anno 680, quando il Santo fu ardentemente invocato
dalle due città “onde far cessare l'orrido morbo”. In quell'anno la peste fu così virulenta che i vivi a malapena bastavano a
seppellire i morti.
A Roma il flagello cessò dopo una processione con le reliquie del santo presso la basilica di San Pietro in Vincoli. In segno di gratitudine gli fu dedicato un altare con l'icona musiva di cui sopra. Alla sinistra di questo altare, nella lapide marmorea, si legge in latino la narrazione leggendaria della peste che colpì Roma tra luglio e settembre di quell'anno funesto (fig. 2).
A Pavia, colpita anch'essa dal contagio
nell'estate del medesimo anno, avvenne lo stesso miracolo. Il popolo, supplice
e speranzoso, portò in solenne processione la reliquia del "braccio di San
Sebastiano", concessagli da Roma, e la collocò sopra un altare prontamente
eretto nella chiesa di San Pietro apostolo: la peste prodigiosamente cessò. Da
allora, quella chiesa, fu consacrata a San Sebastiano.
La fama taumaturgica del Santo, a partire da
questi due episodi, aumentò di molto e pertanto si
incrementò il numero delle chiese, dei santuari, e dei luoghi di culto a lui dedicati.
Nel
1476 Roma è di nuovo funestata dalla peste, le vittime non si contano più. Con
grande fede viene invocato San Sebastiano e anche questa volta l’epidemia si
arrestò come per miracolo. In segno di gratitudine, sempre in San Pietro in
Vincoli a Roma, fu realizzato un affresco sul
lato interno del pilastro d'inizio della navata sinistra (fig. 3), al di sopra
della tomba dei pittori fiorentini Antonio e Piero del Pollaiolo. Il dipinto, anche
se in una collocazione un po' defilata, rappresenta bene e in sintesi le
vicende dei due eventi luttuosi accaduti a Roma e a Pavia, riunite in un'unica
complessa scena.
Nella parte più alta è raffigurata la
peste del 680. Si vede il vescovo di Pavia, Damiano, implorare il papa Agatone
onde accordargli una reliquia di San Sebastiano (il braccio).
Nella parte centrale si notano l'angelo
buono e l'angelo perverso. Secondo quanto narra lo storico Paolo Diacono, sulle
case dove l'angelo cattivo (di colore nero) batteva con uno spiedo, all'interno
morivano di peste tante persone quanti i colpi di spiedo. Tutto questo durò
fino a quando fu fatta la citata processione propiziatoria con la reliquia
proveniente da Roma. Dopo di che la peste cessò subitaneamente.
Più in basso a destra, si notano un gran
numero di morti distesi a terra.
Sulla sinistra, dal centro verso il
basso, occupa la scena la processione guidata dal papa Sisto IV in occasione
della peste del 1476.
Un
secolo prima, nel 1347, la peste arrivò anche in Sicilia, via mare. Dodici navi
mercantili genovesi provenienti dalla Crimea nel mese di ottobre approdarono
nel porto di Messina con a bordo alcuni marinai morti di peste e altri in fin
di vita. Il contagio si diffuse prima a Messina e poi in tutta l'isola. La
città fu liberata dopo avere edificato una chiesa a San Sebastiano con la
solenne promessa di una processione in perpetuo nella ricorrenza del 20
gennaio, dies natalis.
A partire dal 9 giugno 1575 un'altra
gravissima epidemia di peste si abbatté a Palermo e ben presto coinvolse tutta
la Sicilia. Dovettero passare ben undici mesi di lotta al contagio e di
ferventi preghiere al Santo taumaturgo, prima di debellare del tutto la peste.
A Palazzolo, San Sebastiano, già
titolare di una chiesa a lui consacrata, in questa circostanza fu invocato con
particolare fervore e devozione e i risultati naturalmente non si fecero
attendere. Sconfitta
la peste, dopo qualche anno, i sansebastianesi,
e per essi la Confraternita dei Disciplinanti, memori dei benefici ottenuti dal
santu miraculusu, e consapevoli che a Palazzolo il culto
del martire era cresciuto a dismisura e la chiesa esistente risultava
insufficiente, decisero di "ampliare
et magnificare detta chiesa" In effetti sullo stesso sito fu edificata
una nuova chiesa sin dalle fondamenta, finita di costruire nel 1655 e distrutta
poi dal terremoto del 1693. Infine i lavori della terza chiesa, questa volta
con impianto basilicale, iniziano nel 1702 per concludersi nel 1780 (fig. 4)
Nello Blancato
Dalla terra dei Santoni, agosto 2022 (inedito)
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