Paolo Tinè, del ramo dei “Cazzarelli”, da ragazzo era conosciuto come Paolo Tarzan per la grande abilità di arrampicarsi sugli alberi tale e quale una scimmia, vale a dire come Tarzan, l’uomo scimmia per antonomasia.
Sotto
le finestre sud del plesso scolastico delle elementari di Piazza Biblioteca, di
fronte alla porcilaia dove don Nannino tirava su i suoi maiali a forza di lavatura,
cioè con l’acqua di cottura della pasta della refezione scolastica, una
volta esisteva un gigantesco albero che in altezza superava le finestre del 1°
piano. Su quell’albero, Paolo, tutti i giorni all’uscita da scuola, dava
dimostrazione della sua destrezza arrampicandosi fin sulla cima e, saltando da
un ramo all’altro, emulava le gesta di Tarzan, accompagnate, naturalmente, dal
mitico urlo.
Le
stesse prodezze le compiva quando si andava a favaragghi in compagnia e
comunque quando si imbatteva in un albero qualsiasi su cui potersi arrampicare.
Chiusi
i conti con la scuola, dopo qualche anno, Paolo emigrò in Venezuela e andò a
lavorare presso l’impresa movimento terra del fratello di stanza nella foresta
amazzonica. Per tantissimi anni non se ne seppe più niente.
Un
giorno, a sorpresa, gli amici di un tempo ce lo siamo ritrovato davanti e con
le tasche gonfie di soldi. Aveva lavorato sodo ed era riuscito a mettere da
parte un bel malloppo per una lunga e agognata vacanza nella sua Palazzolo. Era
il 1964. Comprò una “Giulietta” blu di seconda mano, l’attrezzò di un
mangiadischi Philips nuovo fiammante e… un giorno sì e l’altro pure, si iniziò
a scorrazzare in lungo e in largo per strade e vicoli di Palazzolo e anche in
trasferta e non solo nei paesi limitrofi.
Paolo
ci parlava del suo lavoro, di spazi sconfinati e inestricabili all’interno della
foresta, di alberi giganteschi imprigionati dalle liane, di animali di tutte le
specie, degli indigeni e di strani riti tribali di alcune tribù. Ci raccontava,
insomma, di tutto quello che aveva visto con i suoi occhi, condito sicuramente
da fantasiose mirabilie che, a me, a Pippo, a Salvatore, a Vituzzu, e a
tutti gli altri della combriccola, ci deliziavano.
Per
avvalorare la sua narrazione, una volta si presentò con una piccola carcassa in
pelle riproducente le fattezze di una testa umana. Rimanemmo sorpresi per la
perfetta somiglianza con una vera testa in miniatura, sembrava clonata. “Questo
cimelio non è un imbroglio”, ci disse Paolo, fattosi serio “questa qui è una
vera testa umana rimpicciolita in carne e ossa, anzi in sola pelle, senza ossa”.
Rimanemmo
sconcertati e senza parole.
Paolo
a modo suo ci spiegò qual era il procedimento per la preparazione delle tsantsas
(così si chiamano queste teste mummificate): ci raccontò che quel souvenir gliel’aveva
regalato un suo amico che era stato a lavorare nell’Alta Amazzonia dove gli
indigeni Jivaros ancora mantenevano ben viva quella “bella” tradizione. E alla
fine, per farla breve, Paolo cedette a me quell’inquietante “ricordino” (vedi
foto) che ancora conservo gelosamente seppur con qualche perplessità.
Effettivamente
si tratta di una vera rarità, macabra rarità, ma rarità. Cionondimeno queste
teste ridotte e mummificate sono note agli antropologi studiosi di mummiologia
e qualche esemplare difatti si può sempre trovare nei musei che si occupano di
questo particolare settore.
Gli indios Jivaros
L'idea
che spinge un Jivaro alla caccia della testa di un nemico è quella della vendetta,
una rivalsa che servirà a placare lo spirito della persona da vendicare. Solo
così lo spirito del vendicato, secondo un'antichissima concezione animistica
che poneva nel cranio la sede dell'anima, potrà riposare in pace anziché
aggirarsi intorno tormentato.
Gli
indios Jivaros abitano una sterminata e lussureggiante foresta che occupa la
parte alta dell'Amazzonia in Sud America e che si estende sino agli altipiani
che precedono le Ande, ai confini con il Perù e l'Ecuador. Vivono in clan e
ogni clan ha un leader che si identifica nell'uomo più coraggioso e che ha,
manco a dirlo, più “teste” all'attivo. Gli Jivaros sono per l’appunto
cacciatori di teste che poi rimpiccioliscono e mummificano: a questa
“specialità”, niente affatto allegra, è dovuta la loro fama.
Questi
figli della foresta, vivono in un constante stato di diffidenza e di sospetto.
Gli agguati, le vendette se li tramandano di generazione in generazione e la
conclusione è una sola: la morte del nemico. Si pianifica l’imboscata e la
vittima, quando meno se l'aspetti, viene uccisa con l'unico scopo di recuperare
la testa tagliata.
Attualmente
sono circa 100.000 i componenti di questa tribù. Ci sono motivi fondati, per
ritenere che fino agli anni Sessanta del secolo scorso (è di quel periodo la tsantsa
in mio possesso) abbiano tenuto viva questa tradizione e che forse ancora oggi,
seppur eccezionalmente, la pratichino nonostante le pesanti pene imposte dal
governo dell'Ecuador.
Le
operazioni degli Jivaros per mummificare e ridurre il cranio richiedono circa
sei giorni, ciò non tanto per le cerimonie rituali connesse, quanto per il
tempo necessario alle diverse fasi di trasformazione.
Gli
Jivaros, scelte le vittime sacrificali, le decapitano alla base del collo e con
la loro macabra preda ritornano al villaggio per iniziare subito il rito di mummificazione
- rimpicciolimento della testa.
Praticano
un’incisione verticale che va dalla nuca al limite superiore della fronte.
Svuotano il tutto, rovesciano la pelle come un calzino, e con delle fibre
vegetali cuciono le palpebre e le labbra quindi rivoltano di nuovo la pelle e
ricuciono l’incisione trasversale. Questa chiusura ha un valore oltre che
rituale, religioso: lo spirito malefico dell’avversario viene imprigionato
dentro la sua stessa testa e non potrà più recare danno a nessuno. I capelli,
lunghissimi, sono trattati con la massima cura.
Terminata
questa operazione iniziano le danze rituali accompagnate da un’abbondante
libagione a base di bevande fermentate.
A
seguire si mette a cuocere la testa in acqua con aggiunta di cortecce ricche di
tannino e la si fa restringere fino a quando raggiunge un terzo della
dimensione originale. Viene poi estratta dall'acqua bollente con un bastone e
appesa ad asciugare e a seccare.
Per
una ulteriore riduzione del trofeo, che deve diventare quando un pugno o ancora
meno (la mia ha la dimensione di un piccolo mandarino), si servono di ciottoli
roventi progressivamente sempre più piccoli che si fanno roteare velocemente
all’interno dell’involucro per cauterizzare eventuali brandelli di tessuto.
Durante questa seconda operazione, con una pietra piatta e liscia non
riscaldata, cominciano a sfregare la superficie esterna del viso in modo da
ridare ai lineamenti la forma primitiva. È questa una fase assai delicata che
richiede molta attenzione perché il disegno perfetto dei lineamenti è prova
della bravura e della riuscita dell'opera.
Infine
introducono della sabbia calda all’interno della testa agitandola in modo da
farla penetrare in ogni anfratto, ripetendo il trattamento diverse volte. In
questa fase tutti i tessuti seguitano a ridursi contemporaneamente e armonicamente
fino a che tutta la testa si restringe in maniera uniforme ed equilibrata. Il
volto così mantiene immutata la sua espressione fisionomica, e se vogliamo,
anche una parvenza di vita.
La
perizia degli Jivaros viene valutata in base a siffatto risultato. Alla fine,
in cima alla testa, se si vuole essere spocchiosi, viene praticato un foro in
cui un laccio infilato permette al proprietario della tsantsa di portarla al
collo durante le cerimonie tribali.
Per
non mettere limiti alla Provvidenza e alla creatività, sulla falsariga della "esaltante"
attività degli Jivaros testè descritta, è stata inventata una macchina
chiuditrice per cartoni che si chiama proprio Jivaro®: marchio registrato! Qual
è la peculiarità di questa macchina? Indovinate! Adatta le dimensioni dei
cartoni, alle misure del prodotto contenuto. Li restringe e li rimpicciolisce,
in parole povere, ma senza mummificarle. Brevetto a parte, mai il nome di un
marchio registrato (Jivaro®) fu così azzeccato. Quando si dice…
Iblon,
giornale online, novembre
2012
RispondiEliminaTu che sei bloccato fuori dal tuo lavoro, hai problemi di soldi, ti manca il supporto finanziario per soddisfare le tue esigenze e realizzare i tuoi sogni, niente più preoccupazioni da 5000€ a 800.000€ mail: combaluzierp443@gmail.com