A la
stasciuni / Fazzu cumèrii ppi li picciriddi; / Ppi li sdirri facceri ri
cartuni, / A pprimavera caggi ri cardidddi…
PALAZZOLO. In questo mese è uscito in Italia il
film “Il cacciatore di aquiloni” ambientato a Kabul intorno agli anni ’70. In
Afghanistan il film è stato vietato per una somma di ragioni, non ultima la certezza
che i Talebani avrebbero fatto saltare in aria cinema e spettatori durante la
proiezione. Bellissima la storia raccontata, ma troppo realistiche, per il
governo di Kabul, le scene del film.
È la vicenda di due ragazzini appartenenti a
due diverse etnie: “Amir è un afgano di Kabul di etnia pashtun, Assan è figlio
del suo servo, di etnia hazara. Non ci sono confini di classe e di razza quando
due bambini alle soglie dell’adolescenza diventano amici e i sogni volano alti
come i loro aquiloni. I ragazzi sono inseparabili, finchè la violenza che
infuria nel paese… distrugge il loro magico mondo” (la Repubblica, 16.1.08).
Ecco, il mondo magico dell’infanzia e degli
aquiloni, i sogni che volano alti, ma… l’ottusità del mondo degli adulti spezza
il filo sottile di questi sogni così come fa il vento impetuoso con gli
aquiloni: “[…] Or siamo fermi: abbiamo in faccia Urbino / ventoso:
ognuno manda da una balza / la sua cometa per il cielo turchino. / Ed ecco ondeggia,
pencola, urta, sbalza, / risale, prende il vento; ecco pian piano / tra un
lungo urlo dei fanciulli s’inalza. / S’inalza; e ruba il filo dalla mano… /
…eppur, felice te che al vento / non vedesti cader che gli aquiloni![…]”. “L’aquilone”
di Giovanni Pascoli, pur affrontando una tematica diversa, sembra ben
attagliarsi a questa storia tratta dal best seller di Khaled Hosseini: anch’essa lascia cadere illusioni e speranze di piccoli e
grandi.
Dall’antico Egitto a Urbino
L’aquilone si può considerare il primo
oggetto volante ideato dall’uomo. La sua invenzione è attribuita al greco
Archita vissuto a Taranto tra il 400 e il
Nel mondo occidentale oggi il suo impiego è
quasi esclusivamente ricreativo sebbene in passato sia stato utilizzato a scopi
scientifici e militari. Se ne servì Leonardo; Franklin (inventore del
parafulmine) lo utilizzò per dimostrare la natura elettrica del lampo; altri se
ne servirono per esperimenti e rilievi in campo meteorologico. Durante la seconda
guerra mondiale l’aquilone fu usato come bersaglio nelle esercitazioni di
artiglieria aerea.
Molte sono le città in cui ogni anno si danno
appuntamento soprattutto gli aquilonisti adulti, però è la città di Urbino, come
abbiamo visto sopra “[…] Or siamo fermi: abbiamo in faccia Urbino /
ventoso: ognuno manda da una balza / la sua cometa per il cielo turchino […]“,
ad essere riconosciuta come la patria degli aquiloni. Ogni anno si tiene
infatti la “Festa dell’aquilone” a cui partecipa una moltitudine di giovani appartenenti
alle sette contrade cittadine. Giovanni Pascoli, assalito dal ricordo di una
lontana primavera, di quando egli era studente nel collegio degli Scolopi nella
città di Raffaello, compone la citata poesia per ricordare il gioco dell’aquilone
e soprattutto un compagno che morì giovinetto in quegli anni di collegio. La
radice della festa degli aquiloni rimane comunque legata non solo alla poesia
pascoliana, ma anche alla tradizione di un gioco assai diffuso praticato in
epoca remotissima in Urbino, che si è poi tramandato con successo fino ai
nostri giorni. Altrove, al di fuori delle manifestazioni ufficiali, il gioco
dell’aquilone è ormai poco praticato.
L’aquilone di una volta
Chi tra i ragazzi di una volta non si è
cimentato nella costruzione e nel gioco della cumeddia? Appena faceva capolino la buona stagione era uno dei
giochi preferiti dei bambini. Era gioco anche costruirlo insieme, in gruppo.
Occorrevano: carta velina colorata, listelli di canna, colla di farina, filo
resistente (per l’ancoraggio). Si ritagliava un quadrato con il lato di circa
sessanta centimetri. Si incurvava ad arco un listello di canna legando alle due
estremità un filo lungo quanto la diagonale del quadrato di velina sulla quale
veniva incollato. Si ricavava poi un altro listello (spitu) che si incollava lungo l’altra diagonale, incrociandolo con
il filo dell’arco. Le varie parti venivano saldate tra loro con colla di farina
e striscette di velina. Il lavoro veniva completato aggiungendo la coda e le orecchine formate da catenelle della
stessa velina da fissare ai due spigoli liberi. Infine venivano legati tre
fili, uno davanti di circa
Questo era l’aquilone tipo e poteva essere
abbellito e decorato a seconda dei gusti. Quelli più sofisticati potevano
essere esagonali o assomigliare a stelle, uccelli, farfalle, ecc. Pitrè tratta pure
di un aquilone senza ornamento, da combattimento, chiamato cursali (corsaro), un “caccia” dalla struttura molto robusta
costituita da più fogli di carta incollati insieme, attrezzato per solcare i
cieli e lasciar cadere le illusioni dei più deboli.
Prende il vento
L’aquilone si sostiene nell’aria grazie
all’azione che il vento esercita sulla sua superficie. La giornata giusta per
fargli prendere il volo deve essere una giornata mossa da lieve brezza come
capita in primavera (il ricordo di Pascoli è legato ai primi giorni di marzo,
quando, convittore ad Urbino, le mattine di vacanza usciva coi compagni all’aperto
e ciascuno mandava “la sua cometa per il ciel turchino”). L’abilità di chi
teneva il filo consisteva nel dipanarlo o raccoglierlo velocemente assecondando
il vento e cercando di evitare strappi improvvisi per non procurare rotture
alla coda o agli orecchini, nel qual caso l’aquilone perdeva stabilità e
cominciava a volteggiare nell’aria come impazzito.
Quando raggiungeva una certa altezza e si
dondolava placido, gli si inviava il telegramma (Pitrè, 1883; Uccello, 1968):
si prendeva una strisciolina di carta con un forellino al centro e si infilava
all’estremità del filo d’ancoraggio; la carta spinta dall’aria andava a finire
al vacaviegnu, il filo centrale.
Entusiasmanti le lotte che si svolgevano tra
aquiloni, dove ognuno dei contendenti tentava di abbattere l’altro. Diabolici e
proditorii gli attacchi del cursali che
non lasciava scampo. Altra strategia di attacco per abbattere l’aquilone
avversario era costituita da un lungo filo ai cui due capi si legava un
sassolino per parte e poi si lanciava nell’aria per intercettare il filo della cumeddia nemica: mettendosi a cavallo lo
spezzava e l’aquilone ormai libero si perdeva nel cielo, e allora erano liti…
pianti… ricerche per tetti e per campagne. Vinceva il gruppo che, resistendo a
qualsiasi attacco del vento o degli avversari, riusciva a far volare l’aquilone
più alto possibile.
Oggi son pochi o niente gli aquiloni che
volano. D’estate se ne incrocia qualcuno nelle spiagge, ma sono aquiloni di
plastica, coloratissimi, prefabbricati, made in Cina. Volano quasi come aerei
in miniatura. Altri tempi erano quando li costruivamo da noi stessi, anche se
non mancava qualche povero diavolo come Vestru (Silvestro), ad esempio, vera simenza ri nanni e rritinanni
affamatizzi, che per far finta di campare costruiva anche aquiloni e altro:
“…Dirriti: comu campi?… A la stasciuni /
Fazzu cumèrii ppi li picciriddi; / Ppi li sdirri facceri ri cartuni, / A
pprimavera caggi ri cardidddi…” (S.
Amabile Guastella, 1882).
IL
CORRIERE DEGLI IBLEI, febbraio 2008
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