…La naca ti cunzai ‘n mienzu
l’aranci,‘n mienzu l’aranci e la lumia…
Palazzolo Acreide. Qualche tempo fa ad
un personaggio importante, appena messo piede all’aeroporto di Fontanarossa, fu
chiesto cosa l’avesse colpito al primo impatto con l’isola: “Il profumo
inebriante della zagara dei limoni e degli aranci” fu la pronta riposta
dell’intervistato.
La stessa soave sensazione dovette rimanere impressa a Goethe quando dal 1786 al 1788 soggiornò in
Italia. Nella lirica “Mignon” domanda infatti con struggente nostalgia: "Conosci
il Paese dove fioriscono i limoni, dove le arance d'oro occhieggiano tra lo
scuro fogliame...?”. Molte cose
colpirono certamente la fantasia del poeta e scrittore tedesco durante il suo
viaggio, ma indimenticabile gli rimase il ricordo della Sicilia dal clima dolce
e mite, dove aranci e limoni profumano l’aria e colorano di oro e di porpora i
nostri sempreverdi “giardini”.
I
primi tentativi di coltivazione degli agrumi possono farsi risalire a circa
4000 anni fa. La loro culla d’origine è identificabile nell’Asia sud orientale:
dall’India sembrano provenire l’arancio amaro, il cedro e il limone; dalle
isole Samoa il mandarino. Il primo agrume introdotto e coltivato in occidente
fu il cedro il cui frutto veniva utilizzato dagli Ebrei per la festa dei
Tabernacoli. In Sicilia furono gli Arabi a introdurre, a partire dall’VIII
secolo, la coltura del limone e dell’arancio amaro (melangolo). L’arancio dolce
arrivò intorno al 1500, introdotto con tutta probabilità da alcuni religiosi
portoghesi; per tale motivo venne chiamato con il nome di “arancio del
Portogallo” o “Portogallo” (in Liguria gli aranceti venivano chiamati "portogalliere"
e "partualli" sono gli
aranci nella nostra nella parlata locale). Per ultimo arrivò il mandarino, che solo ai primi del 1800 cominciò ad essere
coltivato in Sicilia.
Lumie
di Siracusa
La nostra isola, dunque, per le particolari
caratteristiche climatiche è la regione in cui la coltura degli agrumi ha
trovato la più ampia diffusione. Nella fattispecie i limoni siciliani, diffusi
in tutte le zone costiere e in particolare nelle province di Palermo, Messina,
Catania e Siracusa, rappresentano il 90% della produzione globale italiana. La
varietà più diffusa è il “Femminello” e costituisce l’80% della produzione
siciliana. E’ una pianta rifiorente che ha una grande adattabilità alla siccità
e consente di ottenere diverse produzioni nell’arco dell’anno.
Nell’area compresa tra Siracusa, Floridia,
Cassibile, Avola e Noto viene coltivato il “Femminello Siracusano”. E’ una
cultivar le cui origini vanno ricercate in una mutazione gemmaria ed è
caratterizzata da una precocità di maturazione che dà un frutto dalle
caratteristiche pregiate: basso contenuto di zucchero e altissima percentuale
di vitamina C e acido citrico. Tre sono le produzioni principali di questa
varietà: “primofiore”, da metà settembre sino a maggio (rappresenta la
produzione commercialmente più apprezzata) ; “bianchetto”, da febbraio a
maggio; “verdello”, da maggio a settembre.
Per ottenere i “verdelli”, ottimi per la
granita e fiore all’occhiello della limonicoltura siciliana, si sottopone la
pianta alla pratica della forzatura provocandole uno stress idrico “…fino a
quando le foglie s’accartocciano, sono al punto di cadere a terra secche.
Quindi, dell’albero proprio “patuto”,
si fa la “risvegliata”: si sturano le "gébbie",
si fa correre l’acqua nei rigagnoli, s’inondano le conche attorno ai tronchi.
Allora spuntano le gemme, fiorisce la zagara, s’ingrossa il frutto verde, aspro,
fuori tempo, innaturale…” (V. Consolo, 1988).
Siracusa, importante centro limonicolo, non
solo esportava via mare i suoi limoni migliori verso i mercati della Germania e
dell’Est, ma attrezzata di apposite fabbriche era in grado di trasformare lo
scarto nei cosiddetti derivati di agrumi: nitrato di calcio (polpa integra)
come fertilizzante; "pastazzu",
(polpa spremuta) per l’alimentazione dei bovini e degli ovini; essenze, "spiritu", (estratte dalla buccia)
per usi cosmetici, profumi e coloranti alimentari.
Poteri
terapeutici e altro
Tralasciamo di
parlare del limone nell’alimentazione, altrimenti non la finiamo più.
Ricordiamo solo che viene largamente usato per esaltare gli aromi, per
insaporire e rendere più digeribili alcune pietanze: non può mancare
nell’insalata, prima di tutto, e nei cibi grassi in genere, compresi carne e
pesce.
Il più importante pregio del limone è
rappresentato dalla ricchezza di vitamina. Ma il limone non è solo vitamina C.
Oltre ad avere un basso contenuto calorico ed una buona quantità di potassio,
il limone, preso in tutti i suoi componenti, ha tante altri proprietà
terapeutiche. E’ passato alla storia, ad esempio, come rimedio elettivo scelto
dalla Marina britannica per il suo equipaggio ai tempi dello scorbuto: succo di
limone nella razione alimentare quotidiana di tutti i marinai.
Il limone ha il potere di agire nell’organismo
come alcalinizzante e quindi aiuta a risolvere i problemi causati da eccesso di
acidi: combatte acidità, bruciori e dolori di stomaco; è indicato contro gli
accumuli di acidi urici che possono causare reumatismi, artriti e artrosi.
Contiene essenze con effetti antibiotici molto potenti, è quindi utile come
coadiuvante nella cura di tutte le malattie infettive: dall’enterite alla
bronchite. E’ un eccezionale decongestionante del fegato e della bile ed ha
effetto fluidificante sul sangue, per cui ne deriva un non trascurabile
riequilibrio circolatorio, nervoso e cardiaco. Con le foglie e le scorze
seccate all’ombra se ne possono fare infusi dal sicuro effetto antispastico e
calmante; in aggiunta col miele tali infusi sono utili per risolvere crampi di
stomaco, coliti e insonnia anche grave.
Questo agrume in passato, quando i farmaci
erano difficili da reperire, è stato usato con successo in caso di ritenzione
di urina, di febbri malariche, di difterite, emofilia, arteriosclerosi,
calcolosi urinaria, cefalea. Toccando l’Herpes labiale con la parte viva di una
buccia tagliata, il limone espleta un’azione antivirale. Altre indicazioni:
sopra le ferite infette succo di limone puro o diluito; in caso di geloni o
unghie fragili frizioni col succo; contro le otiti succo di limone nelle
orecchie; contro le verruche spennellature due volte al giorno con aceto forte
nel quale si è fatta macerare otto giorni la scorza di due limoni; in caso di
pelli grasse, lentiggini e contro le rughe, lavaggi della pelle con il succo
fresco; per conservare i denti bianchi spazzolarli con succo di limone; in caso
di punture di insetti strofinare la parte con una fetta di limone. Un uso
popolare contro la nevralgia del trigemino è di strofinare ripetutamente la
guancia affetta con mezzo limone. Un altro uso di cui si serve il popolo è
quello contro i vermi intestinali: semi tritati e mescolati a miele la mattina
a digiuno.
Il limone può essere utilizzato anche per i
piccoli casi di emergenza domestica: contro le macchie di ruggine della
biancheria: una fettina di limone fra due strati di tessuto, quindi si passa
sopra il ferro da stiro caldo; come tarmicida: sacchetti con scorze di limone
secche; contro le formiche: limoni marci nei punti di passaggio; per lucidare
gli oggetti d’argento strofinarli con succo di limone; per pulire il rame
strofinare con sale da cucina e succo di limone.
Una volta, gli apicultori, per attirare le api
nel periodo della sciamatura, strofinavano foglie e succo di limone
nell’alveare dove c’era la nuova regina fecondata: gli insetti attratti da
quell’odore vi si introducevano senza indugio e formavano una nuova colonia. A
tal proposito, con la cera d’api si confezionavano Gesù bambini e personaggi
della natività racchiusi in campane di vetro e poste sui canterani a protezione
della casa. Anche in questo caso, a scopo ornamentale, era presente il limone
(di cera) assieme a fiori di carta colorati. Come è presente in una vecchia
ninna nanna cantata dalla mamma per fare addormentare la sua creatura che non
ha abbientu: “…E figghia mia pirchì mi cianci / La naca ti cunzai ‘n mienzu l’aranci /
‘N mienzu l’aranci e la lumia…” (C. Ferrara, 1908).
IL CORRIERE DEGLI IBLEI, giugno 2004
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