Nel 1969, la 1° edizione di “Del mangiare Siracusano” a cura di Antonino Uccello, a p. 37 riporta un pezzo di Gaetano Passarello dal titolo “Le trote di Manghisi, intermezzo di Pietro Mascagni”.
Un
anno dopo Passarello dà alle stampe la 2° edizione di Cicalata siciliana
con una poesia dedicata a lu zu Petru
Mascagni. Passarello lo conobbi personalmente, grazie ad Uccello, nel 1970,
il 13 settembre, a Manghisi, presso
Passarello
conosceva bene Mascagni. Quando il Maestro venne a Noto, lui ebbe la ventura di
conoscerlo e di averlo amico e avversario (irascibile) a scopone.
Uomo
dalla personalità complessa il Maestro, ricco di passioni e di interessi. Era
uno spirito arguto, facile all'ironia. Per più di un trentennio fece tendenza e
non soltanto con la sua musica travolgente. Chi voleva essere elegante si vestiva
come lui, si tagliava i capelli come lui: fin dall’inizio del secolo scorso andavano
di gran moda i capelli alla mascagna (come
quelli di Mascagni): erano capelli tagliati a spazzola e all’indietro (o all’umberta, come quelli di re Umberto a
spazzola ma corti).
Oltre
all’amore per la musica e per lo scopone,
Mascagni aveva la passione per i sigari: la sua razione giornaliera era di
una trentina di mezzi toscani. Gli piaceva viaggiare, conoscere gente,
frequentare salotti. Era anche un accanito collezionista: quadri, orologi,
pipe, strumenti musicali, ecc.
La
Cavalleria Rusticana, il suo
capolavoro, composto a Cerignola nel 1889, ci riporta inevitabilmente alla
novella di Giovanni Verga scritta a Milano dieci anni prima. Nella realtà l’opera
musicata da Mascagni è più ricca di sentimento, più raffinata. Verga accusò
Mascagni di plagio e tra i due si accese una interminabile vertenza giudiziaria.
Mascagni a Noto e a Manghisi
Mascagni
approdò a Noto nel
A
Noto Mascagni si fermò per una ventina di giorni per prepararsi a dirigere la sua
Cavalleria Rusticana. Il nostro Passarello legò subito col Maestro, di più,
diventarono irriducibili avversari a scopone! Mascagni si portava regolarmente dietro le sue
carte “napoletane” e non perdeva occasione per costringere amici e familiari a
sottoporsi a lunghe ed estenuanti partite notturne:
“…Iu, taliannu stu ntrugghiu pensu a tia
/ e m’arrivordu tutti li nuttati / jucannu a lu scupuni, in cumpagnia /
tant’anni fa, nsemmula passati. /
Iu
nicu comu un pulici, tu liuni, / iu ppi tia tu e tu ppi mia ccillenza, / ogni
tantu facia nu sbafariuni / e ti facia scappari la pacienza. /
Na vota mi dicisti ccu ruenza, / e iu
mutu e sirratu tinni u beccu:
- / lassasti u setti? Parrannu cu
dicenza / se scrivi comu jochi si nu sceccu. /
Calasti u dui di spati? Sciaguratu, /
chi gghiochi p’abbuffarimi ri peni?...”. (G. Passarello, A lu zu Petru Mascagni, in “Cicalata
siciliana”. p.47).
“Lassasti u setti!?” dice scandalizzato u zu Petru al giovane scrittore. Per
Mascagni il Settebello era la carta “…chiù
ricca. É china d’oru lucida e sbrannenti” (Passarello) e non poteva essere
scartata.
A
Manghisi, il musicista livornese ebbe modo di gustare le trote salmonate “…si
fece una pescata di trote da poter soddisfare un reggimento di granatieri.
Moltissime le consumammo fritte sul posto. Mascagni le divorava appoggiato al
tronco di un platano innaffiandole con abbondanti irrorazioni di vermut bianco…” ( A. Uccello, Del mangiar
siracusano, p.37).
Mascagni
fece un salto pure a Ispica, dove fu ospite del Convento dei frati minori. Fu
in quella occasione che il palazzolese Giuseppe Rovella, il futuro autore de
“La fattoria delle querce”, studente nel collegio del convento dove c’era lo
zio frate Agostino, ebbe modo di stringere la mano a Pietro Mascagni.
Nell’estate
del 1938 il Maestro ritornò a Noto per provare e dirigere Piccolo Marat. Ricorda Passarello: “…Gli promisi che gli avrei fatto
gustare ancora le trote di Manghisi….E dopo il preludio di un policromo
antipasto, dopo l’andante arioso di spaghetti al pomodoro impolverati di ricotta
salata; dopo l’allegretto di qualche bicchiere di rosato frizzante di Saccolino… prima della
marcia trionfale di una serie di bicchieri dove il moscato di Noto si alternava
al biondo di san Lorenzo, feci arrivare le trote al cospetto del maestro.
Mascagni annusò, poi tolse, diffidente, il ramoscello di mirto e le gustò.
Scomparvero dal piatto….” (sta in A.
Uccello, op.cit.).
In
ricordo delle indimenticabili visite di Mascagni al fiume Manghisi, lo stesso
Passarello fece apporre una lastra di marmo:
“…U sai c’haiu fattu, a tagghiu do Manghisi /
unni l’acqua ti fa tocca e nun tocca? / Nu ntrugghiu ri petra e marmuru ci misi
/ cu scurpita na longa filastrocca / di dati,
di rivuordi e paruleddi / ppi diri a li passanti: t’ha firmari / davanti di sti
petri e di l’aceddi / la sua musica tu poi gustari…” (G.
Passarello, A lu zu Petru Mascagni, in
“Cicalata siciliana”, p.46).
Oggi,
a Manghisi, oltre al fiume, sono rimasti solo i lecci, i “lecci di Mascagni”.
CAMMINO, settimanale di informazione, 2 febbraio 2012
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