San Micheli cc’un cuorpu ri spatuni a Lucifiru ‘n cuornu cci muzzau
San Michele (Mi ka El: “Chi come Dio?), il principe degli angeli e l’Arcangelo per eccellenza, è considerato il più potente difensore del popolo di Dio. E’ il guerriero armato, il capo supremo delle “milizie celesti” che protegge la chiesa e combatte il male in ogni sua manifestazione. La sua lotta contro Satana e i suoi sostenitori ne fa un campione di coraggio e di fede: "Poi scoppiò una guerra nel cielo: da una parte Michele e i suoi angeli, dall'altra il drago e i suoi angeli. Ma questi furono sconfitti, e non ci fu posto per loro nel cielo, e il drago fu scaraventato fuori. Il grande drago, cioè il serpente antico, che si chiama Diavolo e Satana..." (Apocalisse 12, 7-9).
Nel tempo l’Arcangelo ha assunto un complesso di funzioni tramandate fino ad oggi e che si riflettono nell’iconografia popolare. Di solito è raffigurato come un temibile guerriero con la spada o con la lancia nell’atto di brandirla per uccidere il Dragone (Lucifero) o per schiacciare Satana sotto i suoi piedi: “San Micheli cc’un cuorpu ri spatuni /a Lucifiru ‘n cuornu cci muzzau; / Lucifiru cci tira ‘n muzzicuni / e ‘na pinna ri l’ala cci scippau...”.
Nell’altra mano tiene lo scudo, ma anche una croce o il globo, simbolo quest’ultimo della sovranità di Dio sul cosmo. La tradizione attribuisce a san Michele anche il ruolo di guida delle anime al cielo (psicopompo), perciò, oltre la spada, l’Arcangelo porta in mano una bilancia nell'atto di pesare i peccati delle anime.
Il santuario di Monte Sant’Angelo
Già abbastanza sviluppato in Oriente, il culto di san Michele nel VI sec. si diffuse anche nel mondo occidentale suscitato non poco dalle numerose apparizioni: la prima in Puglia sul monte Gargano; poi in Normandia, su un’isoletta che prese il nome di Mont Saint Michel; poi a Roma sul mausoleo di Adriano, perciò detto Castel Sant'Angelo; quindi in Sicilia: a Gibilmanna, Licata, Caltanissetta, ecc. Da allora moltissime chiese furono dedicate all' “Angelo” per antonomasia: in Italia sono più di ottocento, mentre sono più di sessanta le località che si trovano sotto la sua protezione.
Il più celebre santuario dell’Occidente latino dedicato a san Michele è quello di Monte Sant’Angelo. Il tempio garganico sorse accanto alla grotta, dove, secondo la leggenda vi furono quattro apparizioni miracolose dell’Arcangelo: l’episodio del Toro nel 490, l’episodio della Vittoria dei Sipontini nel 492, l’episodio della Dedicazione nel 493, l’episodio della Liberazione della città dalla peste nel 1656.
Il miracolo della terza apparizione avvenne un anno dopo della citata vittoria. Il vescovo di Siponto in segno di riconoscenza a san Michele voleva consacrargli le spelonca dove era avvenuto il miracolo del toro, ma gli apparve l’Arcangelo e gli disse che egli stesso aveva già consacrato la Grotta , che, da quel momento, fu chiamata “Celeste Basilica”, come unico luogo di culto non consacrato da mano umana. La leggenda vuole che nella roccia della Grotta sia rimasta impressa l’orma del piede di san Michele come segno tangibile della sua presenza.
Il santuario accanto alla Grotta mistica fu iniziato nel 1274, nel contempo attorno ai sacri luoghi nasceva la città che prese il nome del suo protettore. Intanto che dalla Puglia il culto si irradiava in tutto l’Occidente, il santuario sul Gargano diventava meta di pellegrinaggi di principi, santi, papi (Giovanni Paolo II lo ha visitato nel maggio del 1987) e devoti. Ancora oggi, i pellegrini del posto, come segno distintivo, portano una penna di gallina dipinta di rosso e di giallo a ricordo delle piume che ornano il cimiero, una conchiglia, un cavalluccio di pasta di scamorza oppure dei bastoni con in cima ciuffi di aghi di pino.
L'immagine del Santo è collocata nel cuore della Sacra Grotta, da cui un tempo trasudava dell'acqua che andava e raccogliersi nel cosiddetto Pozzetto. Da qui veniva attinta con un secchiello d'argento ed offerta da bere ai pellegrini per le sue proprietà miracolose. Anche i frammenti di roccia provenienti dalle pareti rocciose della Grotta venivano custoditi dai fedeli con estrema cura in quanto rivestiti di proprietà protettive. All’interno della spelonca i devoti a volte nello sciogliere un voto mettono in atto dei comportamenti particolari come il camminare scalzi, camminare sulle ginocchia, indossare l’abito votivo, toccare la roccia, parlare con l’effigie.
A san Michele, come pesatore di anime, è affidato il patrocinio dei fabbricanti di bilance e di tutti gli altri professionisti che se ne servono: farmacisti, pasticcieri, fornai, droghieri, merciai, formaggiai e commercianti in genere. Per i suoi attributi di guerriero e per la corazza dorata che indossa, il Santo protegge gli schermitori, i maestri d'armi, gli armaioli, la Pubblica sicurezza, i paracadutisti, i forbitori, i doratori. Protegge anche i fabbricanti di vino (pesta il diavolo così come si pesta il mosto) e di tinozze. E’ patrono dei radiologi. Come guardiano delle chiese contro Satana, spesso l’Arcangelo viene rappresentato sulle guglie dei campanili (vedi il campanile della chiesa di Palazzolo). Quando circolavano i carretti era anche il guardiano dell’asse delle ruote e veniva dipinto o scolpito in posizione strategica per non fare rompere la barra.
San Michele difende dai contagi, dalla peste, dalle guerre, dalla siccità, dalle inondazioni; ha anche un legame con il mare poiché protegge dai rischi marittimi e dai naufragi. I pellegrini che si recavano nel santuario francese di Mont-Saint-Michel-au-Pèril-de-Mer, l’isoletta montuosa sulle coste normanne, si mettevano sotto la sua protezione sfidando la marea galoppante e le sabbie mobili: solo così arrivavano sani e salvi. Le donne dei pescatori siciliani, per ingraziarselo, ripetono la seguente orazione: "San Michiluzzu faciti bon tempu! / c'è me maritu ch'è 'n mezzu a lu mari; / l'arvulu d'oru e li ntinni d'argentu, / la Madunnuzza mi l'av'aiutari".
Anche contro il malocchio protegge san Michele. A Rosolini si recita. "M'hanu fattu l'ucciatura, / Peppi miu chi sbintura! / Nun ti cunfunniri cara mugghieri / a li quattru cantuneri / c'è calatu ri li cieli / u santu arcangiulu Micheli! / Chi ci purtamu / puvirieddi comu siemu? / Vinti ova quattru iaddi / du matassi pi filari / e l'ucciatura ti scumpari". In alcuni centri dell'Agrigentino, sempre per allontanare il malocchio, ma questa volta dai bambini, le mamme gli cospargono di sale i vestitini e poi invocano: "La fattura leva o S. Micheli, / di lu corpu di lu me beni, / e fa ca lu mali ca mi veni / supra d'idddu torna beni. / Libiratulu S, Micheli".
S. Michele è invocato per le anime del purgatorio e dagli agonizzanti. Riguardo Palazzolo, scrive P. Giacinto Leone nella sua "Selva" (1763): "Nel Lunedì di Pasqua nella sua Chiesa i Cristiani vi concorrono ad ascoltare le Messe e vi assistono colle candele accese sperando da questo Principe degli Angeli e Protettore e difensore della Militante Chiesa, la sua assistenza, e protezione, nell'ora della morte."
La festa a Palazzolo
Da qualche anno a Palazzolo san Michele lo si festeggia pure l’8 maggio, anniversario delle apparizioni sul Gargano. La festa di settembre ricorda invece il giorno della dedicazione della “Celeste Basilica” ed è la festa principale dal punto di vista liturgico e folklorico, a Palazzolo come altrove.
Immersa già nell’atmosfera autunnale, la festa mantiene lo stesso impianto delle altre feste estive palazzolesi (svelata, “Giro di gala” sciuta, processione serale, spettacolo musicale e pirotecnico, ottavario, velata). Si caratterizza tuttavia per alcune manifestazioni che nel tempo sono diventate tradizione come il “Festival voce dei piccoli”, quest’anno alla 35a edizione, e il “Meeting di cori”. Dal 1997 è stata ripresa poi l’usanza del lancio dei palloni aerostatici. Un tempo era don Cicciu Pastasciutta il deus ex machina della situazione: di pomeriggio nel cielo d'autunno si libravano leggeri come piume, ninfe, mucche, galli, maiali, oche.
Proprio l’oca era una protagonista della festa. E non perché è il pranzo tradizionale del giorno di san Michele e il mangiarla si dice che porti ricchezza per un intero anno, ma, ahimè, perché la stessa, era coinvolta, suo malgrado, in un gioco a lei riservato: sospesa ad una corda, veniva abbassata o sollevata sulla testa dei numerosi concorrenti che cercavano di acchiapparla per “invitarla” a pranzo a casa loro. Scomparso pure u quarantamau (albero delle cuccagna), la corsa coi sacchi, cogli asini, coi cavalli; scomparsa la fiera delle terraglie calatine e degli attrezzi agricoli.
Il Corriere degli Iblei, settembre 2004
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