Tri sunu li festi principali: Pasqua, Natali e quannu s'ammazza 'u maiali.
Una volta all'anno gli antichi Egizi sacrificavano maiali alla luna e a Osiride; e non solo li sacrificavano ma ne mangiavano la carne, solo per quel giorno.
Demetra e Kore, spesse volte, specie nelle statuine fittili, sono state rappresentate con una fiaccola in una mano e un porcellino nell'altra: alla prima veniva immolata una scrofa gravida poichè quest'animale era ritenuto dannoso alle biade. Identico sacrificio veniva compiuto sull'Olimpo per la dea Maia, donde il nome di maiale (?). E dalle nostre parti, in un vaso greco-siculo portato alla luce dal barone G. Judica è rappresentato il sacrificio di "una porca, od un cinghiale, che sia" (G. Judica, Le antichità di Acre, 1924 p. VIII, tav. XX). Oggi, il protettore di questo animale, tenuto in grande considerazione soprattutto nel periodo che va da Natale a Carnevale, è Sant'Antonio abate, la cui festività cade il 17 di questo mese. Tale patronato gli è riconosciuto ufficialmente dalla cristianità e l'iconografia popolare lo raffigura vecchio e barbuto, con la gruccia a tau e con un roseo porcellino al seguito. A Palazzolo il Santo viene soprannominato Sant'Antoniu re puorci e 'Ntoni il porco.
L'allevamento tradizionale
Fino a qualche anno fa non c'era contadino che oltre all'asino, alla capra e alle galline non allevasse anche il maiale, riserbandosi così la gioia di potere gustare carne saporita e a buon mercato per qualche tempo. Tale consuetudine era estesa pure alle famiglie non contadine. E, se da un lato il maiale è simbolo parlante di salute e di prosperità, dall'altro ritornava utile economicamente poichè costituiva il salvadenaio delle classi meno abbienti in quanto dava la possibilità di sfruttare ogni sorta di sottoprodotto. Plinio ci fa sapere, infatti, che la carne di maiale ha la bellezza di circa cinquanta sapori diversi.
I suini di razza siciliana (quelli neri) oggi sono quasi completamente scomparsi (il cav. Gaetano Judica di Palazzolo, pronipote del succitato Barone, tra gli anni '20 - '30, tra le altre cose, fu il principale allevatore di suini di razza locale in provincia di Siracusa) e solo pochi esemplari vivono ormai allo stato brado in alcune zone di montagna. Ma sono proprio i maiali di montagna, allevati all'antica, quelli meno pingui e più saporiti, dalla carne tenera e delicata e dal lardo sopraffino.
La tradizione vuole che il maiale si acquisti piccolo e lo si cresca ed ingrassi con gran cura. L'allevamento naturale consiste nella pastura libera e molto variata fatta di leguminose, erba medica, topinambur, rape, carote, fichi d'india, praini, carrube, e a settembre ghiande.
A meno di un anno dalla nascita si dà inizio alla fase di ingrassamento, che dura tre quattro mesi, con un'alimentazione ricca e concentrata: fave, orzo e beveroni di farina e crusca (il povero don Nannino Di Mauro, il mugnaio di via Macello, era solito portare ai suoi porci, che allevava sotto le finestre delle scuole Elementari di Piazza Biblioteca, tali beveroni con l'aggiunta delle lavature della mensa della suddetta scuola). Da Natale a Carnevale (Ad ogni porcu veni lu so Carnalivari) dunque, la vittima predestinata è bell'e pronta per essere immolata, il che fa (giustamente) dire all'asino: "Megghiu sceccu ca porcu!".
L'ammazzatina
Ammazzare il maiale allevato in famiglia era rito e festa. Era importante, prima di tutto, non insospettire il suino, onde mantenere le fibre muscolari rilassate e di conseguenza ottenere carne tenera. Altra cosa importante, quasi una questione d'onore, era quella di fare fesse le guardie daziare. L"operazione" quindi si compiva di notte (anche se era proibito dai Regolamenti Comunali) e con la massima circospezione.
Si legava l'animale per le zampe e si cercava di immobilizzarlo su una specie di tavolo sacrificale approntato su dei trespoli. Trafitto alla canna della gola, l'animale iniziava a mugghiare e a sgriddari a più non posso con il rischio di vanificare le misure precauzionali di cui sopra. Tutt'intorno c'era il ballo di S. Vito: chi lo teneva, chi attizzava il fuoco per l'acqua calda, chi raccoglieva il sangue zampillante, chi lo scaurava e chi lo spilava. Sventrato, veniva fuori, ancora fumante e stillante tanta "grazia" di Dio che veniva consumata senza indugio: in parte arrostita sul fuoco, in parte fritta in padella spolverata di pepe rosso e sposata a tenere cipolline. Del porco ucciso non si butta proprio nulla, tant'è che: "Cu si marita sta cuntentu 'ngnornu, cu ammazza 'u maiali sta cuntentu 'n'annu".
Gastronomia porcina
In ogni regione o area, la tradizione impone particolari usi e tecniche per la preparazione dei tanti prodotti che si ricavano delle carni di maiale.
Il sangue, insaporito con latte, zucchero, prezzemolo, pepe nero, noci o uva passa, viene bollito o fritto in padella e diventa sangunazzu. I macellai di Palazzolo tale leccornia popolare la insaccavano nel budello e la inforcavano negli uncini fissati all'esterno delle botteghe (subendo spesse volte scippi a volo d'angelo da parte dei ragazzi). Anche la sugna, candida come la neve, veniva insaccata ed appesa nelle macellerie a mo' di salsiccia.
La carne di maiale, predisposta per la confezione della salsiccia, si taglia a pezzi (in Calabria durante questa fase vige ancora l'uso di segnarsi) con l'aggiunta di lardo, e, prima di macinarla, si lascia frollare. L'impasto viene insaporito e arricchito con sale, peperoncino rosso (a Palazzolo), finocchietto selvatico e vino di Pachino. Il segreto della rinomata "Salsiccia di Palazzolo" consiste prima di tutto nella scelta dei maiali allevati secondo la tradizione e quindi poveri di lardo, poi nella esatta percentuale di grasso e carne, quindi nel giusto bilanciamento degli altri ingredienti che le conferiscono aroma, profumo e sapore. Fino a qualche decennio fa la "Salsiccia di Palazzolo" venduta nelle macellerie veniva confezionata alla presenza di un vigile urbano che alla fine provvedeva a datarla e a piombarla a garanzia di genuinità.
Altra specialità ottenuta dal maiale è la gelatina, anche questa oltre che preparata in casa venduta nelle macellerie. Assieme a dei tocchi di carne magra di vitello, si mettono a bollire la cotenna, il ventre, il muso, le guance, le orecchie ecc. Al brodo di cottura si aggiunge pepe rosso, aceto bianco e succo di limone quindi si versa nei piatti e si lascia rapprendere.
Tralasciando tutte le altre specialità e prodotti che si ottengono dal maiale (salami, capocolli soppressate, pancette, mortadelle, prosciutti, zamponi, ecc. ecc.) e non dimenticando che la carne suina salata era provvista usuale per i bastimenti, vogliamo ricordare l'uso che si faceva della pelle di maiale sotto forma di otri per il trasporto di liquidi (vino, olio) e anche per la confezione di rudimentali scarpe (scarponeri). Le setole di tale pelle vengono ancora oggi utilizzate per spazzole e pennelli.
Nel campo delle credenze e della medicina popolare, infine, non possiamo fare a meno di ricordare che i denti del maiale portati addosso servono come antidoto contro il malocchio, laddove, contro i geloni si fanno delle applicazioni locali con il pene del porco medesimo messo preventivamente ad affumicare.
Il Corriere degli Iblei, gennaio 2001
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