Nel numero 18, anno IX, di
Cammino, il prof. Aliotta confuta quella tesi, la quale sostiene che "la Santa
Lucia" venerata a Mende (o Mendola) è una vedova e martire romana, perseguitata
dall'imperatore Diocleziano perché diventata cristiana. Egli asserisce invece,
confortato da ricerche e studi (secondo Lui) più probanti, che Santa Lucia di
Mendola è la stessa Santa Lucia vergine e martire di Siracusa.
In questa sede non si vuole
entrare nel merito della diatriba; se ne è accennato perché la dissertazione
del prof. Aliotta mi ha suggerito improvvisamente un'idea: andare a perlustrare
di nuovo, dopo tantissimi anni dalla prima volta, il "pozzo" di Santa
Lucia (si tratta di una cripta).
Il sito si trova a 4 km da
Palazzolo. Sulla strada provinciale Palazzolo -Testa dell'Acqua - Noto, si
imbocca a sinistra una strada interpoderale asfaltata. Si arriva subito davanti
alla chiesa di Santa Lucia. Il 23 u.s. ho deciso di realizzare il progetto.
Arrivato sul posto, ho superato
un muro sbrecciato e costeggiando la chiesetta sul lato sinistro, attraverso
uno strettissimo sentiero naturale, sono arrivato davanti all'imboccatura est
del "pozzo"(a destra, attraverso una apertura rettangolare, si accede
alla chiesetta rupestre).
Avevo già incominciato a
inoltrarmi per la stretta fenditura, e già pensavo alle sensazioni che avrei
nuovamente provato dopo tantissimi anni dalla prima esplorazione. Scesi i primi
scalini, ancora all'aperto, sono subito ritornato sui miei passi: l'apertura
era troppo angusta e ingombra di erbacce. Meglio entrare dall'altra
imboccatura.
Dopo aver cercato un po' (ma
forse stavo "cercando" di non entrare nel "pozzo") ho
trovato l'imbocco ad ovest, che è seminascosto da una specie di roccaforte di
pietre a secco, sistemate in maniera rudimentale.
Bruciata la prima alternativa, questa volta, ormai, non avevo altra scelta.
Anche questo accesso per la verità era "angusto
e ingombro di erbacce". All'interno, l'entrata del "pozzo" è
protetta da una serie di tre archi di buona fattura, costruiti con conci in
pietra calcarea disposti uno dopo l'altro: servono a trattenere la cupola di
pietre a secco che si nota dall'esterno.
All'inizio la scala è molto
stretta e la difficoltà o almeno il disagio per entrare sussiste veramente.
La luce è sufficiente, a destra e
a sinistra nelle pareti sono scavati dei loculi; a destra poi c'è un cubicolo,
con loculi nelle pareti e tombe terragne. Ora la luce naturale non basta più,
procedo lentamente alla luce della torcia elettrica, mi giro dietro e vedo
ancora un barlume di luce che filtra dall'imbocco; guardo avanti: buio pesto.
Sono ancora in tempo per tornare indietro. La scala è umida e ingombra di
pietre, i passi fanno un po' eco, mi sento come se avessi sopra una montagna di
ovatta. Vado avanti. A questo punto c'è buio davanti e buio dietro. Cerco di
schiarirmi la voce, procedo lentamente. Le pareti sono tutte scavate, abbondano
di nicchie e loculi. Si sente un odore indefinito, impalpabile. Nessun segno di
vita, anzi il contrario.
La scala ora incomincia ad
allargarsi e diventa sdrucciolevole, il soffitto è più basso. Sulla destra un
imponente slargo che si sviluppa in altezza, con le pareti smerlettate di
anfratti. Scendo con molta precauzione (nella testa intanto si arrovellano
infiniti pensieri che si aggrovigliano sempre più). A questo punto ricordo a me
stesso che è la seconda volta che scendo nel "pozzo", rinfrancato,
vado avanti.
Gli scalini sono sempre viscidi e
insidiosi, ci sono molte pietre disseminate in diversi punti. Si sente come un
odore di acqua. Il soffitto è molto basso. In fondo a sinistra si percepisce un
tenue chiarore, si tratta di una luce molto fioca.
È l'unica novità che si aggiunge alla situazione del
momento.
La scala è diventata molto larga e gli scalini sono
diventati abbastanza regolari; a destra e a sinistra anfratti e teorie di
ricami dai disegni e dai colori indefinibili.
Lontano a sinistra, la luce
diventa sempre più percettibile: sembra di colore azzurro, Il fondo della scala
è sempre una buia voragine. Gli scalini sono diventati sdrucciolevoli, a volte
sono costretto a fare luce su dove metto i piedi.
Ora la scala è bagnata; la luce a
sinistra, ancora più intensa, proviene dal soffitto.
Continuo a scendere, quella luce
mi dà una boccata di ossigeno. Mi lascio alle spalle lo squarcio di luce e vado
avanti. Gli scalini sono irregolari e incompleti, bagnati, ingombri di pietre;
procedo con molta prudenza, il respiro mi fa eco dentro la testa; ancora
qualche scalino, intuisco che sono arrivato nel fondo del "pozzo".
Alzo un po' la torcia e mi trovo
proprio davanti la cripta.
Si tratta di una cripta a circa
15-20 m. di profondità, dove la leggenda vuole siano stati sepolti Lucia e
Geminiano. Il sepolcro è arricchito da tre archi scavati nella roccia e
poggianti su solidi pilastri. Il soffitto è molto basso. Passo attraverso uno
di questi archi: sulla destra si vede un
grande vano dal quale non si possono definire i confini.
Sempre sulla destra, prima della
cripta, sullo stesso piano del calpestio,
c'è la sorgente sacra a Santa Lucia. Scatto qualche fotografia. È questo il momento in cui mi
rendo conto che valeva la pena fare tutto quello che stavo facendo.
Delicatamente adornata da ciuffi di capelvenere, quest'acqua
"miracolosa" continua a sgorgare e a scorrere sempre nello stesso
punto, da millenni. Con una lieve smorfia sul viso penso a qualche minuto fa,
quando per non scendere nel "pozzo", cercavo insignificanti pretesti.
Ora sono sicuro di non avere fretta.
Con l'aiuto della torcia osservo attentamente l'ambiente
buio e anfrattuoso. Ritorno a guardare la sorgente, sento il
"silenzio" dell'acqua, l'impercettibilità del suo movimento. Il tempo
si è fermato.
Si incomincia la risalita, si cammina quasi in mezzo al
fango. Risaliti i primi dieci gradini, mi ritrovo nuovamente vicino alla luce
che filtra insistentemente dal soffitto; mi metto sotto a guardare: si tratta
di un altissimo lucernario che in superficie ha un'apertura perfettamente
circolare.
A destra c'è l'altra scala che porta verso l'altra uscita;
decido di uscire per mezzo di quest'altra scala. È molto più ripida della prima
e più angusta. Continuo lentamente a risalire, gli scalini sono umidi, si
scivola; le pareti irregolari, sono costellate di nicchie.
Ad un certo punto si presenta una strozzatura, costituita da
due cumuli di pietre, con uno stretto passaggio al centro. Sono un po'
ansimante, supero la strettoia; a destra c'è un vano molto ampio ingombro di
terra e pietre. Il soffitto sopra la scala è assai basso, si incomincia a
intravedere la luce dall'esterno, il respiro diventa sempre più affannoso; il soffitto
si abbassa e bisogna chinarsi per potere passare; la luce continua a diventare
sempre più intensa, spengo la torcia, si sente il trillo degli uccelli;
facendomi largo tra l'edera avviluppata nella roccia e tra le macchie di
parietaria, guadagno l'uscita e mi lascio alle spalle la lunga voragine buia.
L'operazione di discesa e di risalita è durata
complessivamente 20 minuti.
Mio figlio Alessio (7
anni), seduto su una pietra antistante il "pozzo", dopo la grande
fatica, può finalmente addentare un "robusto" panino.
Nel "pozzo" siamo scesi assieme.
Cammino, 2 giugno 1991
1 commento:
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