"Hai vogghia di fuiri e scappari,/chiddu d'ammienzu e iammi/m'ha ffari tastari"
Carnevale edizione 2011 - foto Paolo Gallo
“ Memorare terremotu et non peccabis". Con questo solenne monito un testimone del tempo chiudeva la sua cronaca sul terremoto in Sicilia del 9 e 11 gennaio 1693. In quest'ultima data ogni anno tutti i centri colpiti, rievocavano l'infausta ricorrenza con messe solenni e varie celebrazioni. Dopo un evento così disastroso, il Carnevale in Sicilia non iniziò mai prima del dodici gennaio.
In questa festa, che è una delle più sentite e partecipate dal popolo, convergono diversi elementi: il mascheramento come rappresentazione dell'alterità; la raffigurazione del mondo alla rovescia; la trasgressione delle regole del vivere quotidiano; la rappresentazione del conflitto tra il bene e il male.
Da un punto di vista più complessivo, il Carnevale è festa di fondazione e di rigenerazione poichè nel caos e dal caos nascerà nuovo ordine. L'antico rito della cremazione del "Nannu" simbolizza, infatti, la fine del caos e l'inizio dell'ordine segnato dall'entrata nel periodo quaresimale (Carnevale da "carnem levare" togliere carne, riferito in origine al primo giorno di Quaresima).
Il lasso di tempo che va dall'apertura alla chiusura del Carnevale tradizionale è contraddistinto da certi giorni che si caratterizzano sia per le manifestazioni di rito e sia per le grasse pietanze, per lo più gustate convivialmente e accompagnate oltre che dal vino da scioglilingua e nnivinagghi (indovinelli) dal doppio senso: "A signurina u cerca,/a maritata cci ll'avi/, a vèduva u persi,/u parrinu cci ll'avi e nnul-lu usa (Il cognome). Oppure: "Hai vogghia di fuiri e scappari,/chiddu d'ammienzu e iammi/m'ha ffari tastari" (La capra e il latte), e così via.
Iovi ri lu zuppiddu
Il terzultimo giovedì è chiamato Iovi ri lu zuppiddu e "Cu nun havi rinari, mali è pi r'iddu". Si incominciava a mangiare di grasso. A dispetto del proverbio in questi giorni veniva distribuita ai poveri la pasta di "casa" (vermicelli); si ballava e si cantava all'aperto. "In Chiaramonte - secondo quanto riferisce Serafino Amabile Guastella - i signori facevano una lunga e chiassosa cavalcata per le vie del paese onde festeggiare la nascita di Carnevale".
Iovi re cummari
Il penultimo giovedì è u Iovi re cummari. In questo giorno si invitavano le comari di comparatico e in loro onore si preparavano abbondanti pentolate di legumi accompagnate dalla pasta di "casa" e insaporiti con il lardo. Se si era scannato il maiale, la stessa pasta, con il sugo e lo stufato. Recita il proverbio: "Lu iovi re cummari/cu nun n'havi si li fa 'mpristari", e vuole significare la grande rilevanza che si dava a questo giorno che serviva a rinsaldare soprattutto i vincoli del Sangiovanni.
A sdirruminichedda
E' la penultima domenica di carnevale (il termine sdirri è probabilmente una corruzione del francese "dernier", ultimo). In questa giornata, sulle tavole comparivano i maccheroni di "casa" col grasso sugo di maiale: "A ogni porcu venu lu sò carnalivari". Nel pomeriggio si sfilava sopra i carretti: gli uomini avvolte nelle ghiucche, le donne nelle coperte. Nelle strade e nelle piazze si ballava al suono di fischiettu e tammuru, qualcuno declamava componimenti popolari il più delle volte estemporanei. La sera si ballava nei fistini allo stesso suono e poi, una volta inventata, al suono della macchinetta parlante.
Iovi rassu
"Quannu veni lu ioviri rassu/cu nun n'havi rinari s'arrusica l'uossu". Il giovedi grasso o Iovi lardaloru (a Catania è chiamato Iovi di li sdirri) è consacrato alla "maccarrunata ri casa" o ai cavatieddi, con il solito sugo di maiale e relativo stufato. In questo giorno nella Contea di Modica, i ricchi signori (gentiluomini) si esibivano in simulate e pantomime a carattere storico e mitologico.
A sdirruminica
A sdirruminica, u sdirriluni, u sdirrimarti, sono gli ultimi giorni di Carnevale (il lunedì e il martedì in particolare sono conosciuti come "i due giorni del pecoraio", perchè si dice che Gesù li abbia concessi al pastore, giunto troppo tardi dalla campagna, per potere partecipare ai divertimenti della domenica). "La sdirruminica/fatti amica la monica" e difatti in questa domenica grassa (sdirruminica ranni) circolavano in copiosa quantità pagnuccate e teste di turco confezionate dalle monache ma anche da privati.
Il pranzo ricco e succulento, sempre a base di maiale, impinguato da salsiccia al sugo, gelatina, lardo prusciuttatu e innaffiato da vino jetta cauci con relativi brindisi e nnivinagghi, alla fine era coronato dal cannolo ripieno. Una famosa ottava risalente al 1685 ne esalta la prelibatezza: "Beddi cannola di Carnilivari/ Megghiu vuccuni a lu munnu un ci nn'è/... Cui li disprezza è un gran curnutu affè".
Nella Contea questo giorno era riservato ai villani che sfilavano mascherati lasciandosi andare a "satire fieramente aggressive".
U sdirriluni
Lu sdirriluni/Rrussa r'ova ni lu pastuni": si continua a preparare la pasta di "casa", impastata con le uova, per gli ultimi lauti banchetti.
Un tempo durante le sfilate, si lanciavano uova fetide o gusci pieni d'inchiostro, di olio, di petrolio o peggio ancora, e inoltre, crusca, polvere di gesso. Il lancio di fagioli o granoturco o confetti con aromatici semi di coriandolo all'interno, (da qui l'origine del coriandolo di carta) oppure piccoli frutti, ma anche arance, (come avviene a tutt'oggi presso Ivrea) sta a significare augurio di abbondanza, desiderio di rinascita. Il lancio di queste ultime nella Contea di Modica era riservato al lunedi grasso in occasione del "tocco alla papalina", una passatella "degna di bestie". I contendenti, in numero di sei (i più "rappresentativi" delle varie corporazioni di arti e mestieri), già compiutamente avvinazzati dovevano superare terribili prove di resistenza e di abilità. Chi era eliminato veniva fatto segno a nutriti lanci di agrumi dagli spettatori presenti: "U sdirriluni/Aranci a bbuluni": Il vincitore si aggiudicava mezzo maiale inghirlandato di alloro.
Nello stesso giorno, la categoria degli operai, sfilando in maschera, eseguiva caustiche burlette allegoriche in musica.
U sdirrimarti
"Lu sdirrimarti/A cu' nun n'ha ci duni 'a parti". Le famiglie agiate mandavano ai bisognosi cibarie di ogni sorta o li invitavano a casa. I signori mandavano carretti di pietanze ai contadini del feudo. Attorno alla tavola, grassamente imbandita, si riuniva tutta la famiglia: si magnificavano le ultime "reliquie" del maiale e si glorificava il vino.
Alla sfilata in maschera partecipavano tutti i ceti sociali e tutto era consentito a tutti, comprese le facezie e le pantomime licenziose. La sera tardi entravano in scena le Prèfiche (si trattava di giovani camuffati) e tra pianti lamenti e strepiti si celebrava il mortorio; subito dopo si cremava il Nannu.
Il suono della campana di mezzanotte annunziava l'arrivo della Quaresima.
Il Corriere degli Iblei, febbraio 2011
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