...Sùsiti iàncilu, nun nurmìri, ca tri nìuli viru
vinìri: una ri acqua, una ri vientu, una ri cura ddraunara...
PALAZZOLO. Lo
scatenarsi degli elementi della natura (temporali, uragani, terremoti ecc.) il
popolo lo attribuisce fondamentalmente a due motivi: a un castigo divino a
motivo dei nostri peccati oppure ai capricci di forze malefiche, diaboliche.
Temporali
Al declinare di agosto inizia la stagione dei
temporali: lampi, tuoni, rovesci di pioggia. Secondo la credenza popolare, il
sole che fa capolino tra le nuvole minacciose, uòcciu ri crapa, è preludio sicuro di imminente perturbazione
atmosferica.
Ai bambini di una volta, appena il cielo
incominciava a brontolare, veniva detto che era il Signore che giocava alle
palle con S. Giovanni oppure erano S. Pietro e S. Paolo o ancora il Signore (o u nannu) stava riparando le botti.
Le donne appena incomincia a lampeggiare, per non
restare allampate, coprono gli
specchi di casa, i lumi, il braciere e si tolgono gli orecchini e gli oggetti
d'oro, quindi sedute in cerchio, ripetono: "San-Giuvanni
iàutu e ddanni,/nn'at'a scanziari ri ttrona e-ddi lampi".
S. Giovanni, dunque, protegge dalla tempesta e
quando questa continua ad infuriare ci si segna ad ogni lampo e si dice: "San Giuvanni, San Giuvanni ...".
Se poi si hanno a portata di mano i micro-panuzzi
di S. Giovanni (nel Trapanese) e si inghiottono uno dopo l'altro proprio durante l'imperversare dei fulmini, è
ancora meglio. Se ciò non bastasse si fa ricorso a tutti i Giovanni iniziando
dal Battista: "San Giuvanni
Battista/ San Giuvanni Evancilista/San Giuvanni Vuccadoru/ libbbratini ro lampu
e ro tronu.
S. Giovanni divide il protettorato delle tempeste
con Santa Barbara la quale viene invocata con il seguente scongiuro: "Santa Barbara nun-nurmiti/ca li trona
sù-sbugghiati,/sunu jiunti a mala via/Santa Barbara cu-mmia" oppure
con quest'altro: "Santa barbara 'n
munti stava,/ r'acqua e ttrona n' zi scantava,/si scantava ri l'ira 'i
Ddiu,/Santa Barbara amuri miu", e
ancora un'altra formula: "Tronu
e lampu jiti arrassu/siti figghi 'i Satanassu:/jittativi n' ta cava la cciù
scura,/ unni nun cc'è nissuna criatura".
Un altro eccellente rimedio, è a Bbulla re locasanta (un tempo immancabile nelle famiglie), una stampa
popolare con nove occhialoni raffiguranti i Luoghi Santi. Questo foglio veniva
dato da un cappuccino itinerante e scampanellante a chi acquistava la
"Figliolanza" (leggi: offerte in cambio di indulgenze e di messe per
vivi e defunti) dei suddetti Luoghi.
La
"Bolla", portata addosso o appesa dietro la porta e potenziata magari
da un ferro di cavallo con nastro rosso, ha la facoltà di liberare dalle
tempeste e da tutti "i flagelli della divina Giustizia". La stessa
efficacia pare che abbiano (sempre che siano portati addosso) gli abbitini (o scapolari) con appuntate
immagini sacre e u sacchiteddu ri li cosi
santi, un sacchetto di tela dentro il quale si sigillano per sempre
immagini devote, orazioni, ed altri elementi (un pezzetto di ferro di cavallo, grani
di sale, crocette di paglia, un pizzico di cenere, ecc.).
Un ottimo baluardo contro le tempeste sono ancora
alcuni oggetti simbolici relativi alla Settimana Santa: una candela accesa e
già utilizzata per l'ufficio delle Tenebre, trèpini;
un ramoscello di ulivo o di palma benedetti e lanciati accesi dalla finestra; i
tizzoni per il nuovo fuoco del Sabato Santo o quelli del ceppo di Natale
esposti alla finestra. Inoltre preservano dai tuoni una noce a tre nodi e
ramoscelli d'alloro appesi alla porta di casa. Un altro antico rimedio
consisteva nell'esporre sul tetto l'"uovo dell'Ascensione", cioè
l'uovo deposto da una gallina nera sei giorni dopo tale festività.
Trombe d’aria
"...
Di Palazzolu un fattu/Sintitimi cuntari,/Ca Diu a tutti quanti/Ni pozza libirari!/D'Uttuvru
a vinti quattru /Apparsi un nuvuluni,/Versu dui uri e mezza/Lampiannu in ogni
agnuni./... Scattiau l'ura signata:/ L'Infernu si scatina/Un turbini
Uraganu/Purtau na gran ruina..."
La "Storia dell'Uraganu", scritta da P.
Giacinto Farina in 26 quartine un anno dopo il disastroso evento che accadde
nelle contrade palazzolesi il 24 ottobre del 1872, conferma entrambe le due
tesi accennate all'inizio: il castigo di Dio: "O populu Cristianu,/ Campa divotu e piu,/Se tu nun vuoi
soffriri/Qualchi castiu di Diu" e
le forze diaboliche: "Grannuli,ventu
ed acqua/Fulmini, trona e fuocu,/Demoni scatenati/Facianu festa e giocu".
La tromba d'aria, (ddraunàra, cur-e ddrau) dalle nostre parti è identificata con
un'immensa nuvola nera che ha un'appendice a forma di coda. Ma la credenza
popolare le dà anche sembianze antropomorfe o diaboliche: una donna coi capelli
sciolti e nuda, una strega cha fa malìe, una bestia, ddrau, con una coda devastante. Per evitare che questo spirito
maligno entri nel nostro corpo nel momento dello sbadiglio è indispensabile
segnarsi sulle labbra.
Svariati sono gli scongiuri e le pratiche per
fascinare la tromba d'aria. Un buon antidoto è quello di ripetere per tre volte Diu santu, Diu fòrtisi, Diu 'mmurtali e segnarsi ogni volta oppure
recitare tre paternostri accompagnati da una formula di rito. Assai diffuso è
lo scongiuro che segue: "Bedda Matri
ri lu 'uoscu/nta na cammira
stapìa/cun-llibbru a li manu ca ligghìa,/n'ancilu a li pieri cci rurmìa:/Sùsiti
iàncilu, nun nurmìri/ca tri nìuli viru vinìri:/una ri acqua, una ri vientu,/una
ri cura ddraunara./Pigghiamu n- cutieddu /spaccamula nta lu mienzu/ittamula nta
na cava scura/unni nun-ci canta iaddu,/unni nnun ci luci luna,/unni nun-ci
rregna nessuna creatura".
E se il vortice infuria ci si affaccia sull'uscio
e fissando la minaccia del cielo si ripete a fior di labbra: "Adamu, Adamu, penza li tri paroli/ca
ti rissi nostru Signuri Gesucristu/a-mmunti Carvanu".
Tra il popolo è opinione diffusa che gli spiriti
maligni hanno una spiccata avversione per il ferro. Allora, quale migliore arma
per scongiurare tempeste e trombe d'aria di quella di esporre fuori oggetti di
ferro quali un coltello, un'ascia, una falce con la punta o col filo della lama
rivolti verso il cielo?
E con la falce si taglia la ddraunara segnando nell'aria una croce; se il turbine non è
eccessivamente grande la si taglia con un coltello col manico nero fendendo
l'aria con tre croci e ripetendo la formula: "Iù ti tagghiu e ti cuntratagghiu/C'un cutiddazzu di manicu nìuru...". La facoltà di tagliare la coda alla ddraunara si acquista la notte di
Natale, la pratica riesce meglio se viene compiuta da un mancino.
Il Corriere
degli Iblei, ottobre 1999
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