"Lu lupu quannu va pi la campagna, va pi manciari carni
picurina".
Per secoli, il lupo è stato considerato uno dei
principali nemici dell'uomo: furbo, agile e forte è stato cacciato e braccato
sulle montagne da "lupari" occasionali e di professione. L'ancestrale
paura per questa bestia, è stata da sempre sfruttata nelle favole e nei cunta o come minaccia per incutere
timore ai bambini irrequieti. Ora le condizioni del lupo sono cambiate, e se un
tempo lo si temeva, oggi si teme per lui, per la sua estinzione.
"Palazzolo fu detto allupatu"
I
territori boschivi e montani delle nostre contrade una volta erano infestati da
lupi famelici che facevano strage del bestiame e qualche volta anche delle
persone, tanto è vero che, come riferisce lo storico palazzolese Alessandro
Italia, sul finire del secolo XVI "il barone (del castello di Palazzolo,
Andrea Alagona [n.d.a.]) e i suoi ufficiali... al suono di buccine e tamburi,
coi grandi e feroci cani... stanavano e uccidevano i lupi tanto numerosi nei
dintorni che se ne trovavano uccisi anche sotto le zampe delle cavalle figliate lasciate al pascolo con le pastoie
di ferro, ovvero qualche volta arrivavano fin nell'abitato". E i lupi
dovevano essere veramente tanti dalle nostre parti se, come riferisce ancora
Italia, "...fra gli intervenuti al sinodo di Siracusa del 1510 trovasi
annotato tra gli abati, vicari e rettori: Venerabilis
vicarius et rector terrae Cassari, vicarius seu episcopus luporum et vulpium...
La facoltà di esorcizzare non è di tutti i sacerdoti e perciò il vicario di
Cassaro aveva facoltà speciale di
esorcizzare e ligare i lupi e le
volpi, facoltà che poteva delegare ai vicari delle terre vicine donde
l'attributo singolare di "vescovo
dei lupi e delle volpi".
Le teste dei lupi uccisi venivano poi inchiodate
sulle porte o sui muri degli ovili, con le bocche spalancate. Proprio attorno
ai muri di cinta di alcuni vecchi ovili, è ancora possibile vedere i cosiddetti
"paralupi", elementi lapidei aggettanti, inseriti per evitare
l'introduzione di questi animali, ghiotti di "carni picurina", all'interno del recinto.
A conferma di quanto detto, riportiamo infine
quanto riferisce P. Giacinto Farina: "In quest'anno (1695) apparve il lupo
che scannava tutti i picciotti che poteva avere e mangiavaseli. Il quale la
prima volta fece danno nell'Ebraida prendendosi una creatura nella naca; di poi
seguì di mano in mani in molti eziandio adulti, si nelle terre, come nelle
campagne..., per tale motivo Palazzolo fu detto allupatu, quasichè quella
sciagura fosse una caratteristica di questo solo Paese". Lo stesso termine
viene ripreso e autorevolmente adoperato
anche da Pitrè: "I Palazzolesi sono chiamati allupati per un lupo che
infestò Palazzolo Acreide".
Per concludere, il vescovo di Siracusa, M.
Asdrubale Termini, continuando il persistere di questo fenomeno, nel 1699 sentì
il dovere di inviare, da parte sua, la seguente Pastorale ai paesi iblei
colpiti: "Sento con grande amarezza la strage fatta dal lupo, se non
vogliamo dire dal Demonio sotto forma di lupo o per dir meglio della giustizia
vendicativa di Dio... Io bramando togliere questo diletto popolo d'una cotanta
afflizione e molestia... e conoscendo, che il modo di far cessare cotesto gran
flagello, di cotesta bestia insolente, è il ricorrere a Dio, perciò imponghi
che cotesso popolo devotamente digiuni tre giorni continui e poi nell'ultimo
faccia la santa Comunione con sincera Confessione... Si esponga nelle Chiese
maggiori il Divinissimo nei detti tre giorni... e l'ultimo giorno si faccia la
processione colle Litanie della S.ma Vergine".
Il protettorato di Silvestro. Esorcismi e scongiuri.
S. Silvestro protegge il bestiame e dagli assalti
dei lupi. Il protettorato gli venne riconosciuto ufficialmente verso la fine
del XV secolo, dopo che questo monaco era vissuto solitario per sette-otto anni
in una grotta nel bosco di Troina, a quei tempi infestato da bestie feroci. Se
le fiere non lo avevano sbranato, ciò era accaduto perchè egli era riuscito ad
ammansirle e a metterle in condizioni di non nuocere. A riprova di questo i
contadini, a cui l'asino il più delle volte stava più a cuore della moglie - A lu riccu cci mori la mugghieri/A lu
puviru cci mori lu sceccu - facevano benedire il loro inseparabile compagno
nel giorno di S. Silvestro, affinchè il glorioso santo lo difendesse
dall'assalto dei lupi.
Gli antichi pastori romani, invece, offrivano
alla dea Pale mosto cotto, focacce di grano o di miglio e dopo aver fatto
girare gli armenti intorno a fuochi di paglia, saltavano per tre volte essi
stessi attraverso questi fuochi.
In alcuni
paesi europei, si usava legare una speciale sacca dal potere "magico"
al collo della mucca che guidava la mandria per tenere lontani i lupi. In
altri, in primavera, prima di portare al pascolo un branco di cavalli gli
si girava intorno con un lucchetto,
aprendolo e chiudendolo e dicendo: "Con questo lucchetto d'acciaio, chiudo
le fauci dei lupi, lontano dal mio branco!" In altri ancora si credeva che
nel grano entrasse uno spirito dalle sembianze zoomorfe, in particolare il lupo, il quale si riteneva però
che venisse ucciso dall'ultimo colpo di falce o che rimanesse intrappolato
nell'ultimo manipolo di spighe.
In Sicilia, la credenza popolare esigeva che i
pastori la notte di Natale, tra le 21 e le 24, imparassero un' orazione atta a
rendere indenne il bestiame dai lupi (e dai ladri). Se recitata con vera
devozione essa aveva il potere di paralizzare ("ligare") i lupi per
il raggio di ben tre miglia.
"San
Silvestru supra 'n munti stava,/cciù di cientu piecuri vardava./E 'u lupu ri la
luparia,/ci ammazzava tutti chiddi c'avìa./San Silvestru si misi a
cianciri;/scìu la vergini Maria e ci rissi:/"Chi c'hai ca cianci?/C'haiu
aviri Vergini Maria,/persi tutta la vistiami mia!/Ma nun a ricisti a priera
mia?"/"Matri Maria iù nun la sapìa"/"Rici cu mmia:/ Quannu
affaccia la stidda a lu livanti/a lu lupu ci liga lu denti/a lu latru ci leva
la menti/Ri sutta via, ri supra via/tri migghia arrassu ra vistiami mia". Dopo
l'orazione si facevano tre nodi su di una cordicella, ma prima di ogni nodo si
dovevano recitare un Pater e un'Ave.
Un'antica
credenza: il lupo mannaro
La
credenza del lupo mannaro è diffusissima in Sicilia. E' destinato a diventarlo
colui che viene concepito nel novilunio, oppure colui che dorme all'aperto in
una notte di luna piena o il mercoledì o il venerdì in estate. Quando ricorre
il novilunio, il predestinato, ferito dalla luce, viene colpito dal maligno: è
assalito da un dolore potentissimo, che gli fa crescere le unghie, la faccia
gli diventa pallida e la lingua asciutta, gli si ingrottano gli occhi e gli si
offusca la vista, cade per terra, e
lasciata la sua casa si contorce e si rotola nel fango e corre a quattro piedi
ululando e sbavando. Diventa un bruto, capace di sbranare chiunque e di
commettere qualunque eccidio.
Quando s'incontra per avventura un uomo del
genere, per sottrarsi al suo furore basta saltare sul marciapiede o
arrampicarsi su una lunga scala dove il lupo mannaro non può salire, oppure lo
si tocca con una chiave "masculina"; meglio ancora una pietrata o un
colpo di legno alla testa o un pungiglione sulla fronte per fargli uscire il
sangue "pazzo". Solo così può rinsavire. Dopo cotanto sfogo, la
mattina, all'alba, ritorna a casa muto e tranquillo come se niente fosse
successo.
Il Corriere
degli Iblei, gennaio 1998
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