A distanza di oltre
dieci anni dell'uscita del mio "Eran
ventuno. Persone e Personaggi
Palazzolesi", ritengo sia
arrivato il momento di postare, uno per volta sul mio blog, tutti e ventuno i
personaggi inseriti nella raccolta.
Per meglio capire la
"filosofia" e gli intenti che hanno ispirato questa pubblicazione il
primo personaggio (Rosario Branca) è eccezionalmente preceduto da uno stralcio
della mia presentazione al libro.
"Eran
ventuno, nel mettere in scena i personaggi che, con le loro presenze e
con il loro fare e rappresentare, hanno
popolato e animato Palazzolo nella seconda metà del secolo scorso, non vuole
assolutamente essere un nostalgico ritorno al passato per incensarlo (ché
quella era una realtà fatta soprattutto di fatica e di duro lavoro), vuole
essere invece il trait d’union tra presente e passato per comprendere meglio la
società di oggi e avere nozione di quella di ieri, quando il tempo era
semplicemente scandito dal naturale fluire delle stagioni.
Il passato è parte
essenziale della nostra storia e il suo recupero memoriale è atto ineludibile
per riappropriarci della nostra stessa identità storica e culturale. “La
storia” scrive Gesualdo Bufalino, “non è
solo quella conservata negli annali del sangue, e della forza; bensì quella
legata al luogo, all’ambiente fisico e umano in cui ciascuno di noi è stato
educato”. Storia minore, quindi, di tutti i giorni, cronaca e rappresentazione del percorso esistenziale lungo cui giorno
dopo giorno i personaggi in questione hanno consumato la loro vita.
Questo viaggio
spazio-temporale nella storia del quotidiano ci porta a cogliere l’intima
essenza di una comunità che ancora aleggia sul fondale della nostra vita. Si
incontrano tipi che, lasciato il limbo dell’oblio, ci fanno rivivere la vita
semplice di paese, gli eventi, ci fanno vedere spazi oggi scomparsi, ci fanno
conoscere mestieri, lavori, professioni, usi, quasi tutti desueti o cambiati.
Sono bozzetti di "vita ordinaria” ma pulsante, serene liturgie di
provincia velate di sottile ironia, senza livore.
Di
tutti i protagonisti ho avuto personalmente conoscenza; di alcuni serbo ricordo
di amicizia o vincoli parentali. Pur essendo figure presenti e vive nella mia
memoria, lo stesso ho però dovuto scartabellare nelle plaghe più recondite di
essa, per tentare focalizzare al meglio le loro peculiarità. Ho anche ascoltato
tanta gente, amici, a volte i parenti degli stessi personaggi presentatati, e
qui, grato, ringrazio tutti.
Saro Branca (Rosario Branca)
Erano cinque
fratelli nati da famiglia contadina: Salvatore, Paolo, Rosario, Francesco,
Saveria. Quest’ultima rimase nubile in casa, Salvatore e Paolo, da possidenti
restarono attaccati alla terra e ai “giardini”, Francesco entrò in magistratura
e diventò presidente della Corte d’Assise di Catania, Saro “dotto nel diritto civile e penale esercitò l’avvocatura…”.
Contrario al regime
fascista sin dalle origini, rimase fermamente
all'opposizione malgrado i diversi
tentativi di mandarlo al confino e le ripetute "spedizioni"
terroristiche di elementi fascisti locali e forestieri. Caduto il regime, il 9
aprile del 1944 Branca fondò il
periodico “Il Semaforo” (voce antifascista della montagna), primo organo di stampa del Partito d'Azione
in Sicilia. Attorno a Lui e al giornale conversero tutte le energie della
produzione e del lavoro, "le sole forze che il fascismo non riuscì mai a corrodere".
Iniziava il rinnovamento politico di Palazzolo.
Era un uomo
affascinante, Saro Branca, dal forte
carisma, senza alterigie, affabile con tutti, comunicativo, sempre pronto ad un
sorriso rassicurante, amato dal popolo. Un viso dai lineamenti decisi e
accattivanti: la fronte ampia, spaziosa; gli occhi grandi, limpidi, profondi,
pieni di umanità; le labbra carnose, i capelli scuri e brizzolati alle tempie;
la sua oratoria aveva uno stile forbito, senza enfasi; la voce calda e pastosa
e la personalità dell’uomo erano capaci di ammaliare le masse, di conquistarle.
Non aveva bisogno di attaccare gli avversari politici, non aveva bisogno di
sbandierare ideologie: “Io appartengo al popolo, sono col popolo, resto col
popolo e seguo il popolo”.
Aveva un portamento
elegante e raffinato. Vestiva con signorile e naturale semplicità e andava
sempre dietro agli ultimi dettami della moda: da giovane cravatte e farfalline,
paglietta e bastoncino da passeggio con pomo di osso; più tardi cappello di
feltro, doppio petto con l’immancabile fazzoletto nel taschino, lo smoking nelle
grandi occasioni: il tutto portato sempre con classe, con naturalezza, senza
nessuna affettazione. Gli piaceva il teatro, l’operetta, e assieme alla giovane
moglie, nei cui confronti, da vero gentiluomo, era sempre prodigo di premure e
di attenzioni, era un assiduo frequentatore del Massimo Bellini.
Palazzolo dopo i bombardamenti del '43 era prostrata; a questa tragedia
si aggiunsero le durissime privazioni imposte dall'economia di guerra. Cominciò
a mancare l'essenziale per i bisogni
quotidiani. Il grano prodotto nei seminativi del territorio e portato all’ammasso,
veniva poi trasferito a Siracusa. Il pane, la pasta, la farina, lo zucchero,
l'olio ecc. erano razionati. La gente si riforniva in quantità assolutamente
non soddisfacenti tramite la carta annonaria. Prosperava il mercato nero, u 'ntrallazzu.
Venne razionata anche l'energia elettrica, così il 16 dicembre del 1944,
alcuni giovani, al culmine della esasperazione, assaltarono un autocarro e si
impadronirono del carico di grano. Fu la scintilla che fece scoppiare la
rivolta. A poco a poco, il gruppo di
tumultuanti fomentato da elementi reazionari, si fece sempre più grosso e
minaccioso e si diede quindi ad azioni vandaliche: distrusse l’Ufficio
Razionamento, il Catasto, l’Ufficio Imposte, il Consorzio, incendiò la Pretura. Il giorno dopo,
domenica, sempre gli stessi esagitati, avevano in animo di completare l'opera
con la devastazione di altri edifici pubblici e privati. Una moltitudine di persone, in balìa di
facinorosi, vociante e minacciosa sostava in piazza del Popolo sotto il
Municipio. Ma questa volta, fu provvidenziale l’intervento dell'avv. Branca,
nel frattempo rientrato precipitosamente a Palazzolo: affrontò per ben due
volte gli scalmanati e li convinse assieme alla folla a desistere. E cosi come
per un sortilegio la rivolta si trasformò in una dimostrazione di simpatia e di
affetto nei suoi confronti. Due giorni dopo fu delegato come Commissario
prefettizio di Palazzolo e di Buscemi. Il 7 aprile del 1945 fu nominato sindaco.
Il 24 marzo del 1946, Branca vinse le amministrative con la lista
"Unione Popolare" riportando 2714 preferenze su 4806 votanti e
sbaragliando le due liste concorrenti, quella della D.C. e quella dell'Uomo
Qualunque - Liberali. Il primo aprile fu eletto sindaco con 28 voti su 30. La
lista dell' U.P. pur avendo l'appoggio dei partiti promotori, Partito d'Azione
(il Partito di cui Branca era segretario di sezione), Partito Socialista e
Partito Comunista, non recava l'emblema di nessuno di essi ma aveva come
simbolo il “Cavallo in Corsa”, segno della riscossa.
La lista, espressione di tutti i ceti sociali, era garantita da “un uomo
di provata fede popolare, di indiscussa imparzialità e di nota indipendenza…’’:
“E' bene si sappia che io non vado nè a destra nè a sinistra. Io appartengo al
popolo, sono col popolo, resto col popolo e seguo il popolo" soleva
ripetere. Durante il suo mandato Branca riuscì a risolvere molti dei problemi
vitali che affliggevano il paese: la ricostruzione del Municipio, della Pretura, dell'edificio scolastico di piazza
Biblioteca, la sistemazione di molte strade urbane e rurali, la costruzione
dell'acquedotto: "Noi non daremo tregua a nessuna autorità locale,
Provinciale, Regionale e Ministeriale fino quando questo problema (quello
dell’acquedotto, n d a) non sarà risolto in maniera concreta, assoluta e
definita!". E l'acqua a Palazzolo zampillò finalmente in piazza del Popolo
la mattina del 15 aprile del 1951, durante la cerimonia di inaugurazione.
Nel 1947 Branca si
candidò, da indipendente nella lista del P.R.I., alle elezioni dell'Assemblea
Regionale. Il 23 Agosto del 1948, invitato
dai Palazzolesi di Hartford, si recò insieme alla moglie negli U.S.A. per
raccogliere fondi per l'istituzione di un "Ospizio di Mendicità".
Rimase fino al dicembre dello stesso anno, accolto entusiasticamente dalla
comunità italiana e dalle autorità locali. Lo stesso entusiasmo plebiscitario
ebbe al suo ritorno. Una folla di Palazzolesi, “branchisti” e non, andò ad
accoglierlo a Siracusa. Arrivato a Palazzolo, in una piazza del Popolo
assiepata da migliaia di gente, all’impiedi, seduta sulla gradinata della
basilica di San Sebastiano, affollata su tutti i ballatoi e le terrazze della
piazza, Branca si affacciò dal balcone centrale del Palazzo di Città,
illuminato a giorno fin sulla cuspide più alta da una fantastica luminaria, e
parlò con il suo popolo e ringraziò tutti i Palazzolesi per la manifestazione
di affetto tributatagli. C’era tutta Palazzolo. Una maschetteria infernale chiuse i festeggiamenti di quel giorno indimenticabile.
I 10.000 dollari raccolti furono tutti utilizzati per la costruzione
dell'attuale Casa di ospitalità “Maria SS. Annunziata”.
Il 1949 per Branca
è quello delle dimissioni da primo cittadino di Palazzolo per gravi dissensi
all'interno della giunta. Scioltosi il Consiglio comunale la città venne retta
dal Commissario prefettizio Guglielmo Li Greci dal 15 giugno fino
all'espletamento delle nuove elezioni amministrative indette per il 25 maggio
1952. Branca si presentò di nuovo candidato con lo stesso simbolo del
"Cavallo in corsa". Ma la D.C. era fresca vincitrice delle politiche
del '48 e a Palazzolo, in contrapposizione a Branca, si candidava l'avv.
Giovanni Nigro astro nascente della D.C. locale, appoggiato dal clero. Branca
ottenne 847 preferenze, Nigro ne ottenne 2453 e diventò sindaco. A sfavore di
Branca, tra l'altro giocò la notizia, purtroppo vera, che fosse seriamente
ammalato e quindi una sua eventuale rielezione avrebbe creato un clima di
incertezza amministrativa.
Branca si spense
due mesi dopo le elezioni, il 27 luglio del 1952, a 56 anni lasciando la moglie
e la figlioletta di nemmeno due anni.
Per tutto il mese,
quando già stava molto male, la sua casa fu meta incessante di amici,
conoscenti, avversari politici, gente comune. Lo stesso sindaco neo eletto con
il fratello monsignore si recarono al capezzale di Saro Branca. Monsignor Francesco Nigro fu tra primissimi a
rendergli omaggio a casa e a pregare per lui appena esalò l’ultimo respiro. Lo
stesso celebrò la messa funebre all’Annunziata, tutta parata a lutto da
cortinaggi e veli neri. Proclamato il lutto cittadino, la domenica, i
Palazzolesi tutti parteciparono al funerale: “trascinò dietro la sua bara tutto
il paese”, recita il ricordino funebre: colleghi, giudici, autorità, avversari
politici, il sindaco fresco di nomina, ma soprattutto il “suo” popolo. La bara,
coperta dalla toga e preceduta da oltre 60 corone di fiori fu portata a spalla
fino al cimitero. Un corteo che non finiva mai lungo le strade e le piazze
ancora tappezzate dei manifesti elettorali della recentissima competizione.
Mentre in piazza Pretura l’amico Paolo Terranova pronunciava l’orazione funebre
davanti ad un pubblico ammutolito e piangente ad un certo punto, l’anziano
avvocato Giuseppe Calendoli, amico di vecchissima data, in un impeto di irrefrenabile commozione si
buttò sulla bara e iniziò a gridare: “Saruzzu,
Saru, Saru…”.
Il Consiglio
Comunale, nella seduta di commemorazione del 1° settembre grato per l'opera
svolta dal “sindaco del popolo”, deliberò di concedere in perpetuo e
gratuitamente la superficie per la costruzione del sepolcro nel cimitero
monumentale di Palazzolo. Un monumento semplicissimo e austero su cui
campeggiano in alto solo due parole: “Saro Branca”.
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