Quando le foglie diventano
effimere e più belle dei fiori per i loro colori intensi e scintillanti si
avvicina l'estate di San Martino.
Si racconta che in una fredda
giornata di novembre, nei pressi di Amiens mentre San Martino percorreva a
cavallo un sentiero solitario s'imbatté in due poveri mendicanti avvolti in
cenci che gli domandarono la carità. Martino non esitò. Con un colpo di spada
divise il mantello a metà e ne diede una parte al mendicante che gli stava più
vicino. Vedendo l'altro tremare ancora dal freddo divise nuovamente la sua
parte di mantello e gliela porse. Ma il freddo era tale che tutti e tre si
trovarono a soffrirlo. Il Signore allora, per premiare la generosità di
Martino, fece rasserenare il cielo e mitigò l'aria con il tepore dell'ultima
estate. Da quel giorno, ogni anno nei primi giorni di novembre si rinnova
l'estate di S. Martino: il sole diventa più tiepido e l'aria si fa mite.
La ricorrenza dell'11 novembre
corrisponde al giorno della deposizione del Santo avvenuta nell'anno 397. Nato
in Ungheria nel 316, Martino, malgrado l'origine pannonica, divenne il santo
francese per eccellenza, tanto che il suo è il patronimico più diffuso in
Francia. La narrazione biografica di questo Santo è ricca di episodi leggendari
e di particolari fantasiosi. A dieci anni volle diventare cristiano; fin dai
dodici desiderò di "vivere nel deserto". Figlio di soldato, fu
arruolato con forza all'età di 15 anni e tuttavia si impegnò a seguire i
precetti del Vangelo.
Estremamente umile con tutti,
ebbe in dono il potere del taumaturgo e la fama dei suoi miracoli giunse fino a
Tours, dove era morto da poco il vescovo Littorio. Gli abitanti di questa città
con uno stratagemma riuscirono a farlo prelevare da un manipolo di soldati e lo
"costrinsero" ad accettare la carica episcopale. Martino tuttavia non
abbandonò le sue virtù monastiche e di umiltà, dedicandosi alla
evangelizzazione delle campagne.
Un giorno in un borgo francese,
accogliendo la sfida degli abitanti, forse adepti di Cibele, fece tagliare un
albero e si mise nel posto dove, per la legge della gravità, nessuno poteva
dubitare che l'albero sarebbe dovuto cadere. L'albero cadde dalla parte
diametralmente opposta. In un 'altra località, un temporale, invocato da
Martino, abbatté una torre consacrata ad un falso dio.
Molti pure i miracoli in favore
dei malati: rese l'uso delle membra ad una giovane paralizzata, liberò tre
posseduti dal demonio. A Parigi baciò e benedisse un lebbroso che fu immediatamente purificato dalla malattia;
ridonò la vista di un occhio a Paolino di Nola, fece parlare una ragazza muta
dalla nascita, per la terza volta risuscitò un fanciullo. Placò una mucca
infuriata con un gesto della mano; liberò gli abitanti del territorio di Sens
dai disastri della grandine. Si narra pure che andando a Roma con un asino che
portava i bagagli, sarebbe stato aggredito tra le montagne da un orso e che,
ammansito l'animale, l'avrebbe costretto a servirgli da portatore fino alla
Città eterna.
La fama di questi interventi
miracolosi spinse alcuni fedeli a procurarsi brandelli della veste portata dal
taumaturgo al cui contatto si guariva; addirittura, le monache di Clion
conservarono alcuni fuscelli di paglia, nella quale il santo aveva dormito, per
applicarli agli ossessi.
Protettorati e
tradizioni eno-gastronomiche
San Martino è il protettore della Fanteria,
dell'Artiglieria, dei montoni e dei mariti traditi, contenti e non. Sul perché
di quest'ultimo protettorato possiamo azzardare due ipotesi, semplicistiche, ma
non prive di logica. La prima si fonda sulle affinità delle appendici ossee che
apparentano il becco a un marito tradito: le corna. La seconda ipotesi si basa
sullo stesso "concetto" di fondo: i nostri crastuna o barbaini in
qualche posto vengono chiamati martinacci, e siccome sono forniti di lunghi
tentacoli la metafora calza a pennello.
Ma
San Martino specie in Sicilia è stato sempre venerato come protettore dei
bevitori, più o meno appassionati. Gli onori che si rendono l'11 novembre al
santo e alla bevanda bacchica che "libera
dalla tristezza gli uomini sventurati e dà il sonno, oblìo dei mali che ci
affliggono ogni giorno" si rifanno alle feste greche dette Antestèrie
nel cui primo giorno si spillavano le botti e si assaggiava il mosto, e alle
romane "Vinalia" anch'esse feste popolari in onore di Giove ma
soprattutto del vino.
Nella
realtà, le usanze popolari connesse con il nome di San Martino, che
nell'immaginazione popolare ha preso il posto dell'antico dio Bacco, dipendono
in gran parte dalla posizione calendariale della sua festa che cade in autunno
avanzato, periodo della svinatura, tempo di abbondanza dopo tutti i raccolti
ultimati, e, nello stesso tempo, momento di cambiamento climatico. La stessa Chiesa
celebra nella seconda domenica del mese la "Giornata del
Ringraziamento" come riconoscimento a Dio per i frutti della terra e del
lavoro. A Solarino, in particolare, una imponente "processione"
di trattori e di altri mezzi agricoli,
addobbati di frutta e inghirlandati con ramoscelli, si snoda lungo le vie del
paese fino alla piazza principale per
ricevere la solenne benedizione.
In
questo stesso periodo venivano fatte rientrare, come detto, anche le usanze
tipiche dei cambiamenti annuali di stagione, caratterizzate da pratiche
divinatorie, accensioni di fuochi, questue, ecc. La festa, sia in Italia che
altrove, era magnificata anche con la consumazione di cibi, pani e dolci
particolari, sempre abbondantemente accompagnati dal vino. In Sicilia la tradizione
veniva rispettata con piatti di maccheroni annegati nel sugo di maiale, con
pani di forma tondeggiante e conditi, appena sfornati, con olio, formaggio,
pepe e sale e con biscotti più o meno fallici a forma di bastoncino, di seno,
di chiave, di cerchietti allusivi riuniti assieme, alcuni dei quali con ripieni
di crema, di ricotta, di marmellate, di gelatine di frutta.
Dunque
"Pi san Martinu si tasta lu vinu"
e bisogna sempre spillarlo invocando il santo, altrimenti diventa aceto. Tastare però, in questo caso, vuol dire
sbevazzare allegramente tra amici, e un
tempo per il popolo, non avendo altro sfoghi, le feste erano, per dirla con il Guastella, una specie di
"sfiatatoio igienico" tanto che per questa occasione "era tenuto
in conto di cattivo cattolico chi non si ubriacasse sconciamente. Diamine!
l'ubriachezza era di rito, pirchì si avia
a fari anuri a lu Santuzzu gluriusu."
La
tradizione iblea nella fattispecie, all'uso del bere vino accompagna l'uso del
mangiare crispeddi (o
"zippuli"), evitando accuratamente di berci sopra dell'acqua. Le
crespelle, di sola farina di grano o miste con patate e profumate con manciate
di finuccieddu rizzu, possono essere
semplici, e allora si intingono nello zucchero o nel miele (quello ibleo di
timo, è il top), o ripieni di ricotta, di pezzettini di acciughe, ecc. In ogni
caso devono essere tenere, leggere e croccanti e per questo bisogna battere le
palline con un forchettone durante la doratura, quando gonfiano, affinchè si
svuoti il centro.
Oggi, cessate ormai le storiche osterie dei
nostri paesi dove si faceva veramente onore a
lu santuzzu gluriusu, e dove tra uno sproloquio e l'altro ci si auto incensava
e si diventava fratelli e compari; oggi che le feste non hanno più la funzione di cui sopra, il San Martino lo si
festeggia in famiglia oppure organizzando schiticciate
tra amici con pietanze a base di salsiccia (a Palazzolo è sempre in primissima
fila) e di costate di maiale, crespelle, castagne arrostite. Il tutto innaffiato
generosamente dal vino nuovo appena spillato.
Il Corriere degli Iblei, ottobre 1997
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