“…Ciancitulu,
ciancitulu, ‘Uccieri e tavirnari,
Facitici
lu rièpitu, Staffieri e manuali…”.
Palazzolo Acreide. Allo scoccare della
mezzanotte del martedì grasso finisce il Carnevale e ha inizio la Quaresima.
La
Quaresima si contrappone al Carnevale in quanto, mentre quest’ultimo esalta
eccessi e trasgressioni, il periodo quaresimale, che inizia il Mercoledì delle
Ceneri per durare fino al Giovedì Santo, rappresenta un periodo di digiuno,
continenza e austerità (la parola Carnevale
deriva probabilmente dal latino medievale carne levare, cioè "togliere la
carne" dalla dieta, in osservanza al divieto cattolico di mangiare carne
nei quaranta giorni di quaresima). Una
volta questa ineludibile cesura era annunciata dai lunghi rintocchi della
campana che suonava a mortorio. E’ il momento in cui si passa dalla "gioia sfrenata" alla "penitenza
disciplinata”: Alla rottura
dell’ufficialità, al disordine rituale temporaneo, subentra la restaurazione
dell’ordine permanente.
Il martedi’ grasso
L’ultimo giorno di Carnevale la tradizione vuole che si trascorra in
famiglia: “Natali e Pasqua cu ccu voi, U
sdirrimarti fallu cu li tuoi”. A questo proposito si racconta una leggenda.
Al tempo degli Ebrei l’ultimo giorno di Carnevale cadeva di sabato. Un pecoraio
che stava ritornando a casa si rese conto che non sarebbe arrivato in tempo per
trascorrere tale giorno in famiglia. Allora si rivolse al Signore e questi gli
concesse altri tre giorni (i tre giorni del pecoraio); il poveruomo così il “martedì grasso” (così
detto per l'uso di consumare pasti a base di carne e grassi) poté festeggiarlo
a casa con i parenti dove, per tradizione, l’attendevano i maccarruni ri casa nella madia con il sugo di maiale e ‘nciliati nella ricotta, a sasizza
e le ultime "reliquie" del maiale, il tutto accompagnato da
abbondanti libagioni e brindisi a ripetizione. Era questo anche il giorno in
cui le famiglie più agiate mandavano agli indigenti cibarie di ogni sorta o li
invitavano a casa loro.
A Palazzolo il "martedì grasso", si conclude con la terza ed ultima sfilata dei carri e dei gruppi in maschera, con la sagra della salsiccia autoctona, dei cavatieddi al sugo, del crostino di trota, del cannolo ecc. e con il ballo, all’aperto prima e al chiuso a notte tarda. All’alba, si prendono d’assalto le pasticcerie più rinomate per consumare i cornetti caldi appena sfornati, e magari ci si incontra con chi sorbisce il canonico caffè prima di andare a lavorare. Parecchi decenni fa, sempre a Palazzolo, dopo le sfilate dei carretti, delle lape, delle giardinette scappottabili e dei carri allegorici, al rintocco di mezzanotte, si bruciava il Re Carnevale del Comune. U nannu, con la testa imbottita di petardi, veniva bruciato all'imbocco di via S. Sebastiano. Prima dell’esecuzione la vittima veniva sottoposta a un sommario processo con la presenza del notaio, della morte, del diavolo, ecc. quindi il "Cicciu Strattu" di turno, nella parte della madre di Carnevale, entrava in scena piangendo e gemendo, confortato ora da una "riputatrice", ora da un’altra e, tra pianti, lamenti e strepiti, si celebrava così la fine con il rito della cremazione. In questa circostanza, a Chiaramonte Gulfi si cantava il seguente epicedio: "Cantannu va la piula Supra li campanara,… Ciancitulu, ciancitulu Ccu ciantu scunzulatu: Lu beddu Carnuvali, Lu Patri e ‘ntaulatu… Ciancitulu, ciancitulu, ‘Uccieri e tavirnari, Facitici lu rièpitu, Staffieri e manuali…” (S. A. Guastella, 1887).
A Palazzolo il "martedì grasso", si conclude con la terza ed ultima sfilata dei carri e dei gruppi in maschera, con la sagra della salsiccia autoctona, dei cavatieddi al sugo, del crostino di trota, del cannolo ecc. e con il ballo, all’aperto prima e al chiuso a notte tarda. All’alba, si prendono d’assalto le pasticcerie più rinomate per consumare i cornetti caldi appena sfornati, e magari ci si incontra con chi sorbisce il canonico caffè prima di andare a lavorare. Parecchi decenni fa, sempre a Palazzolo, dopo le sfilate dei carretti, delle lape, delle giardinette scappottabili e dei carri allegorici, al rintocco di mezzanotte, si bruciava il Re Carnevale del Comune. U nannu, con la testa imbottita di petardi, veniva bruciato all'imbocco di via S. Sebastiano. Prima dell’esecuzione la vittima veniva sottoposta a un sommario processo con la presenza del notaio, della morte, del diavolo, ecc. quindi il "Cicciu Strattu" di turno, nella parte della madre di Carnevale, entrava in scena piangendo e gemendo, confortato ora da una "riputatrice", ora da un’altra e, tra pianti, lamenti e strepiti, si celebrava così la fine con il rito della cremazione. In questa circostanza, a Chiaramonte Gulfi si cantava il seguente epicedio: "Cantannu va la piula Supra li campanara,… Ciancitulu, ciancitulu Ccu ciantu scunzulatu: Lu beddu Carnuvali, Lu Patri e ‘ntaulatu… Ciancitulu, ciancitulu, ‘Uccieri e tavirnari, Facitici lu rièpitu, Staffieri e manuali…” (S. A. Guastella, 1887).
Quindi si continuava a ballare nei veglioni all’aperto, al cinema Sardo, all’Odeon, alla Spelonca e in tutti i locali disponibili fino all’alba. In alcuni centri addirittura il divertimento continuava il mercoledì delle Ceneri con l’appendice del Carnevalone: la gente in questo giorno si recava in campagna per consumare quello che era avanzato del baccanale carnevalesco.
Il mercoledi’ delle ceneri
Il rito della cremazione del "Nannu" segna la fine del caos
e l'inizio dell'ordine, preannunciato dall'entrata della Quaresima, incarnata a
sua volta, secondo la tradizione popolare, da una vecchia magra e
dimessa. In certe zone il Mercoledì delle Ceneri la “vecchia di quaresima”
viene esposta appesa ad un filo teso sulle finestre delle abitazioni. Ai piedi
c’è un’arancia o una patata con infilate sette penne di gallina. E’ usanza ogni
sabato a mezzogiorno togliere una penna. Il sabato santo si strappa l’ultima
penna e si brucia il fantoccio.
Dalla mezzanotte del martedì grasso, dunque, ha inizio la Quaresima,
tempo di penitenza e di preghiera. Quando la Chiesa, fin dai suoi primissimi
albori, prese coscienza che la Pasqua costituiva il vertice sommo della sua
vita, la solennità delle solennità, introdusse un periodo di quaranta giorni
(sull’esempio di Mosé ed Elia, i quali
dopo un digiuno di quaranta giorni furono ammessi alla visione di Dio) di
intensa preparazione a tale solennità, un lungo periodo di serio impegno
ascetico.
Ancora oggi, dunque, la Chiesa, nel primo giorno di tale tempo, invita
tutti i cristiani ad un atto di umiltà con l’imposizione delle ceneri (ottenute
dai rami di olivo benedetti l'anno precedente nella domenica della palme):
durante la celebrazione della messa, il sacerdote mette un pizzico di cenere sul capo dei fedeli accompagnando il
rito con la seguente formula: “Ricordati che sei polvere e polvere ritornerai”
oppure “Convertiti e credi al vangelo”.
L'imposizione delle ceneri sul capo dei fedeli risale al Vecchio
Testamento, ed è una pratica assunta dal rituale ebraico. Certamente dall’VIII
secolo la comunità cristiana di Roma, per tradizione, faceva una processione
recandosi alla prima messa di Quaresima cantando un’antifona che conteneva le
parole “Vestiamoci di sacco e copriamoci
di cenere”. Sempre in epoca medievale per i penitenti pubblici era previsto
un rito particolare: “Nel primo giorno
della quaresima - scrive il nostro Alessandro Italia - tutti coloro ai quali era stata imposta penitenza pubblica dovevano
presentarsi davanti la porta della cattedrale, al vescovo, sacco induti, nudis
pedibus, vultibus in terra prostratis. (il sacco era una sopraveste sordida, il
cilicio, un tessuto di lana caprina a forma di camicia che si portava sulla
carne nuda). Il Vescovo li introduceva nella chiesa… imponeva sopra di loro le
mani, li aspergeva di acqua benedetta, e dopo la cenere metteva sul loro capo
una corona di spine, detta anche cilicio e diceva che come Adamo fu cacciato
dal Paradiso Terrestre, così essi dovevano essere cacciati dalla Chiesa …”
(in alcuni casi anche l’altare veniva ricoperto di sacco).
Quando poi il papa Urbano II, nel Sinodo di Benevento del 1091,
prescrisse tale rito penitenziale per tutti i fedeli, tutta la Chiesa lo fece
osservare e continua a farlo ancora oggi tenendo conto degli aggiornamenti che
si sono succeduti nel corso dei secoli.
IL CORRIERE DEGLI IBLEI, febbraio 2003.
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