...il
santo è già partito per sfrecciare lungo le strade e le traverse del paese
"inseguito" da centinaia di devoti...
Fin dall'epoca precristiana i Romani nel periodo in cui
cade la festa di sant'Antonio celebravano cerimonie lustrali per purificare gli
uomini, gli animali, i campi.
Circa cento anni dopo la morte del santo anacoreta,
avvenuta il 17 gennaio del 356, questi riti agricoli di purificazione furono
"cristianizzati" e trasferiti nella festa di sant'Antonio divenuta a
poco a poco una delle più popolari fra i contadini.
Nato in Egitto da una famiglia benestante, Antonio
decise di dedicarsi ad una vita ascetica e di rispettare la regola
dell'"ora et labora". Fu però afflitto da continue tentazioni
diaboliche che quasi sempre riuscì a vincere grazie alla forza della preghiera.
Recatosi nel deserto vi rimase per venti anni scegliendo per dimora un vecchio
fortino abbandonato. Si nutriva del pane che gli calavano dal tetto due volte all'anno
e si dissetava ad una fonte che sgorgava all'interno del rudere. Dopo si ritirò
in un luogo ancora più isolato, nella Tebaide, dove riuscì a vincere
definitivamente tutte le tentazioni e dove fu conosciuto per le sue virtù
taumaturgiche, per i suoi miracoli e per le profezie che regolarmente si
avveravano.
Le reliquie, dopo diverse vicende, nel secolo XI
arrivarono in Francia alla Motte-Saint-Didier. Qui si sparse la voce che
queste, assieme al grasso del maiale, avevano il potere di curare i malati di ignis
sacer, diventato poi "fuoco di sant'Antonio". Per tale motivo, nel posto, fu
costruita una chiesa e un ospedale e venne
fondato l'Ordine degli Antoniani. Costoro avevano il privilegio di
allevare liberamente i maiali per le strade purchè avessero una campanella al
collo.
La religiosità popolare, pertanto, attribuì al padre del
monachesimo il patronato sui maiali (a Palazzolo in effetti è chiamato sant'Antoniu re puorci). Di conseguenza
era assai diffusa dalle nostre parti l'usanza di chiamare confidenzialmente il
porco con lo stesso nome del suo protettore: 'Ntoni, 'Ntoniu. Tale vezzo blasfematorio viene però stigmatizzato
da P. G. Farina: "Vi è ancora (siamo nel 1864) il brutto uso di chiamare i
neri col nome di Antonio: ed hanno S. Antonio per protettore di quegli immondi
animali". Era inevitabile che il santo diventasse pure il patrono dei
fabbricanti di spazzole, anticamente fatte con setole; per estensione è
diventato poi il protettore di tutti gli altri animali domestici.
Ma sant'Antonio per la sua fama di vincitore delle
potenze diaboliche e del male, fu chiamato anche il "custode
dell'inferno" e quindi "padrone del fuoco", di quello vero e di
quello metaforico (herpes). A questa
funzione è collegata l'usanza di incendiare nel giorno della festa, grandi
cataste di legna con valenza purificatrice. Se poi le ceneri vengono asperse
nei campi assumono un funzione fecondatrice, se conservate diventavano veri e
propri talismani.
Feste e devozioni
Sant'Antonio
abate è uno dei santi più popolari e più festeggiati e molti sono ancora oggi i
devoti che chiedono grazie e lo invocano. A Buccheri viene festeggiato in
chiesa con un triduo di preghiere e riti e poi il giorno della festa si
effettua la processione del simulacro per le vie del paese con la banda e i
fuochi pirotecnici. Sino ad un paio di decenni fa, in caso d'incendio, i
Buccheresi portavano il simulacro del santo al cospetto del fuoco recitando
preghiere ed invocazioni. Quando l'incendio bruciava in campagna, si usciva il
fercolo sul sagrato e lo si posizionava in direzione del fuoco pregando e
invocando protezione.
Il 17 gennaio,
giorno della festa, ancora oggi in moltissimi centri, sul sagrato delle chiese
dedicate al santo, si portano a benedire animali domestici e da soma con le
criniere e le code intrecciate di nastri coloratissimi. A Palazzolo fino ai
primi decenni del secolo questa benedizione veniva impartita con modalità
insolite e spettacolari, subito dopo la messa cantata celebrata nella chiesa di
sant'Antonio. Ecco la cronaca registrata nella "Selva" dal nostro
cappuccino: "... la benedizione degli animali si fa il giorno del santo
con qualche clamore: giacchè i cavalcanti avuta la prima benedizione corrono
attorno alla solita via a tutta lena e chi di loro appare il primo, nella seconda benedizione si crede il novo
Achille, e spesso strampazzano a terra e
succede qualche cosa di più. La benedizione indicata è triplice e triplice la
corsa...".
A questo rito, volgarmente detto "a cursa re
scecchi" e scomparso nei primi decenni di questo secolo, seguiva una
luminaria fatta dai ragazzi con delle torce confezionate con steli di
ampelodesmo, dello stesso tipo di quelle che si utilizzano oggi a Cassaro per
la processione serale di sant'Antuninu.
Le ciaccare
(torce) distribuite a centinaia vengono accese ad un grande falò nel quadrivio
antistante la chiesa. Finita la messa, si sciolgono le campane e il piccolo
simulacro, in spalla a quattro giovani devoti, appare dalla porta centrale.
Inizia lo scampanellio dei portatori e un attimo dopo il santo è già partito
per sfrecciare lungo le strade e le traverse del paese "inseguito" da
centinaia di fedeli grandi e piccoli inneggianti e con le ciaccare fiammeggianti. Dopo circa un'ora il santo rispunta dalla
parte opposta da dove è partito e, in discesa, con un rush finale, conclude la
sua "folle" corsa: ripassa davanti al falò e si arresta sul sagrato.
I processionanti a mano a mano che arrivano, sempre di corsa e trafelati,
lanciano le ciaccare nel grande falò
che continuerà a bruciare per tutta la serata.
A Cassaro è ormai scomparso da tempo il rito del mataccinu: uno o più ragazzi si sdraiavano
per terra vicino al falò facendo finta di essere morti. Gli altri dopo avere
girato attorno, saltato e inscenata una pantomima con gesti e lamentazioni, afferravano
i mataccini (morticini) e li
buttavano in aria riprendendoli tra le braccia tra il suono della banda e
l'allegria generale.
Alla ciaccariata segue
u cialibbru cioè la vendita all'asta
di dolci e pietanze varie, nonchè di primizie, vino, olio di oliva, conigli
polli, ecc.
A Buscemi, a Buccheri, a Cassaro, a Canicattini a Noto,
a Palazzolo e in tantissimi altri centri isolani, il 17 gennaio, ma anche il 13
giugno festa di S. Antonio da Padova, si confezionano dei panuzzi votivi per essere portati in chiesa e benedetti. Dopo la
messa si offrono ai presenti, ai poveri o ai vicini di casa. Prima di
consumarli si recita un Pater, un'Ave Maria e un Gloria.
E' ancora è vivissima, inoltre, in Sicilia e in tutto il
bacino del Mediterraneo, la tradizione della cuccia, pietanza di antichissime origini legata ai riti
propiziatori delle civiltà cerealicole. Questo piatto devozionale a base di
grano, che si condisce in tantissimi modi, si consuma il giorno di sant'Antonio
e si offre a parenti ed amici, ma si somministra anche agli animali per
proteggerli dalle malattie. A seconda delle zone si consuma anche in occasione
di altre festività religiose: per Santa Lucia, per San Biagio, per la Natività
di Maria, nel giorno dei defunti, ecc.
IL CORRIERE DEGLI IBLEI, gennaio
1999
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