La più antica testimonianza del
culto di S. Lucia è una epigrafe greca del V sec., rinvenuta presso il cimitero
di S. Giovanni in Siracusa.
La data della festa, fissata al 13 dicembre giorno comprovato della
morte della santa, risale al 1620, anno in cui furono esposti al pubblico per
la prima volta il simulacro argenteo e la cassa processionale. Per quest’opera
furono impiegati ben settanta chili d’argento, tanto che il Senato siracusano
fu costretto a chiedere l’autorizzazione al vicerè per potere “fundere e
reducere in massa” una certa quantità di monete antiche.
Lucia fu martirizzata da Diocleziano presumibilmente nel 304, all’età
di 21 anni. Nata a Siracusa, fin dalla prima gioventù erogò ai poveri tutto il
suo patrimonio e si consacrò a Dio; nondimeno il prefetto Pascasio, su denuncia
del fidanzato deluso, le impose l’abiura e, al rifiuto della giovane, comandò
ai soldati di condurla in un luogo di malaffare per farla prostituire. Ma, né i
soldati, né le due coppie di buoi a cui fu legata, riuscirono a trascinarla via
da casa.
Scampata miracolosamente al disonore, fu condannata al rogo e sebbene
fosse stata imbrattata con pece e resina uscì completamente indenne dalle
fiamme. Pascasio infine ordinò al carnefice di trafiggerla: le fu conficcato un
pugnale nel collo.
Fra i tanti martìri subiti, probabilmente non vi fu proprio quello
dell’accecamento. Questa leggenda, raffigurata ampiamente nelle opere dei
grandi pittori, si consolidò molto più tardi (circa dieci secoli dopo) ed è
conosciuta con diverse varianti. La più accreditata vuole che sia stata la
stessa Lucia a cavarsi gli occhi per mandarli in un piatto d’argento a
Pascasio, ma, subito dopo, per un miracoloso intervento di Dio (o dell’arcangelo
Gabriele), le furono rimessi al loro posto e ritornarono più splendenti di
prima. E’ una credenza che può derivare dal traslato dell’etimo popolare affine
a luce e quindi, siccome Lucia aveva degli occhi grandi e pieni di Luce, finì
con l’essere invocata come protettrice della vista. Persino Dante, afflitto da
certi disturbi agli occhi, si rivolse devotamente a Lei per aiutarlo a guarire
e poi una seconda volta quando la “Donna gentile” affidò a Lucia il delicato
compito di scegliere una guida per Lui stesso che si accingeva a scendere negli
inferi.
Le tradizioni locali
Come da noi per i morti e altrove per la Befana, in molte parti
d’Italia è S. Lucia che nella notte tra il 12 e il 13 dicembre porta i doni ai
bambini: scende dal camino con un asinello carico di regali e va a depositarli
in una scarpa lucidata messa bene in vista.
In alcuni centri della Sicilia persiste ancora la tradizione dei
fuochi: al passaggio della processione, agli incroci delle strade, vengono
accesi grandi falò come una volta, quando si usava “facere farias seu
vampariglias pro diva Lucia, …” a ricordo del martirio sul rogo o a scopo
propiziatorio.
Il giorno di S. Lucia ci si astiene dal mangiare pasta e pane, si
prepara invece la “cuccìa”, frumento bollito e condito in vari modi a seconda
dei gusti e delle zone. Questa usanza, vivissima in tutta l’isola, sta a
ricordare il miracolo delle navi cariche
di frumento approdate a Siracusa durante la carestia del 1646.
A Canicattini e in altri centri si preparano piccoli pani rituali
chiamati “uocci” di S. Lucia; benedetti, vengono distribuiti ai fedeli che li
conservano con grande devozione. A Modica, prima di essere consumate, si
adagiano sulle palpebre i “cucciteddi”, sottili sfogli in miniatura, benedette
in chiesa. Nel secolo scorso, quando le campagne del Siracusano abbondavano di
vigneti, dalle nostre parti si preparava un piatto chiamato “occhiali di S.
Lucia”: erano dei lunghi maccheroni figurati messi a cuocere nel vinocotto.
Orazioni e pratiche per gli occhi
Alla “Santa della luce” si raccomandano coloro i quali accusano
affezioni agli occhi: blefariti, congiuntiviti, oftalmie, occhi “sbintati”, “pisciati”, “cacati”, “micciusi”, ecc.
Per guarire dal “polipo” degli occhi (pterigio) esiste uno scongiuro
con una infinità di varianti il quale deve essere ripetuto per sette giorni
solo da persone “abilitate” dalla Santa o da quelle nate il 13 dicembre. Eccone
una versione assai comune nella zona iblea:
“Santa Lucia / ‘nto mari stapìa, / oru tagghiava e argentu cusìa. / Passau lu
Signuri cu Maria: / “Chi ài Lucia?” / “Ch’agghia aviri matri mia? / Trasiu lu
purpu ‘nta vista mia: / “Vattinni a lu me uortu / e cogghi pampini di bibbina e
di finocciu. / Cu li me manu li ciantai, / cu li me peri li scarpisai / s’è
purpu si nu va / s’è-ssancu squagghirà”.
A questo scongiuro si accompagnano le pratiche, anche queste variabili
da zona a zona. Mentre si recita, si può tagliare il “polipo” aprendo e
chiudendo le forbici accanto all’occhio malato, oppure si sfiora l’organo con
uno spicchio d’aglio dove è incisa una croce e, segnandosi tre volte in
ginocchio, si ripete l’orazione; si può anche prendere un polipetto vivo e
avvicinandolo all’occhio lo si trafigge con tre colpi di coltello oppure si
strofina nell’occhio un ramoscello di finocchio o di verbena, ambedue ritenuti
dalla medicina popolare ottimi rimedi per detergere e rinfrescare gli occhi.
IL CORRIERE DEGLI IBLEI, novembre 1995
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