"Beddi cannola di Carnalivari, megghiu vuccuni a
lu munnu un ci nn'è... Cui li disprezza è un gran curnutu affè!".
Il
nome di questo delizioso dolce siciliano deriva dal latino "canneolus" e significa "internodo
della canna", cioè lo spazio che nella canna passa tra un nodo e l'altro.
Si tratta di un fustino, lungo 15
cm e largo 3 circa, attorno a cui vengono accartocciati
i dischetti di sfoglia (le cialde) prima di andare a finire nel padellone con
lo strutto.
Questi
cannelli tradizionali per il loro uso prolungato finivano con il bruciacchiarsi
e quindi oggi, per una questione di praticità e soprattutto di igiene, sono stati
sostituiti da cilindretti in metallo.
Tuttavia,
pare che la cialda, quando viene avvolta
al cannello tradizionale attraverso cui traspira l'ardore bollente dell'olio sia
più buona perchè cuoce in modo uniforme anche all'interno.
Per
Pitrè il cannolo è "la corona del pranzo carnevalesco", scrive
infatti: "Senza il cannòlu che cosa è il banchetto carnevalesco se non
un mangiare senza bere, un murare a secco, lo stare al buio in una
conversazione?".
E
a sostegno di tale teoria nel suo "Usi e costumi credenze e pregiudizi del
popolo siciliano" riporta una gustosa ottava composta da un
poeta-sacerdote siciliano nell'anno 1685, intitolata per l'appunto "A favore de' cannoli di
Carnevale": "Beddi cannola di Carnilivari/megghiu vuccuni a lu munnu un ci nn'è/Sù biniditti spisi li
dinari,/Ogni cannolu è scettru di ogni Re;/Arrivanu li donni a disirtari;/Lu
cannolu è la virga di Mosè;/Cui nun ni mancia, si fazza ammazzari,/Cui li
disprezza è un gran curnutu affè!" (Bei cannoli di Carnevale,
/migliore boccone al mondo non c'è,/sono bene spesi i soldi,/ogni cannolo è
scettro di ogni Re;/ arrivano le donne ad abortire;/il cannolo è la verga di
Mosè;/chi non ne mangia si faccia ammazzare,/chi li disprezza è un gran cornuto
davvero!).
La
cialda si prepara con farina doppio zero, strutto, zucchero, albume, un pizzico
di sale, una strizzata di succo di limone per intenerirla e vino stravecchio
per donarle un colore vagamente rosè. La pasta si stira fino ad ottenere una
sfoglia tirata al punto giusto, nè troppo sottile nè troppo spessa; quindi con
uno stampo si ricavano dei dischetti del diametro di 10 cm che andranno ad
avvolgere, con i lembi leggermente sovrapposti e pennellati da un collante a
base di albume d'uovo, i cannelli precedentemente unti di strutto.
Le scorce
, fritte rigorosamente in abbondante sugna di maiale, saranno pronte quando
assumeranno il classico colore dorato. Appena fredde, per liberarle, si tengono
delicatamente con le dita della mano sinistra e con la destra si dà un colpetto
ad una delle due estremità del cannello che schizzerà via senza opporre
resistenza.
Per
la cialda sono parecchie le varianti e gli ingredienti che si possono
intercambiare, lo stesso vale per il ripieno che, oltre ad essere di ricotta,
può essere di crema pasticciera o alla cioccolata oppure mezzo e mezzo.
La
ricotta però è la farcia d'elezione di questo dolce carnevalesco il cui consumo
ormai non è limitato solo al periodo di Carnevale (a Palazzolo in tale
circostanza se ne consumano a migliaia) ma è strettamente legato alla stagione
della ricotta che grossomodo va da ottobre a giugno. La ricotta può essere di
pecora (meglio) o di vacca, ma deve essere fresca, cremosa. E i pascoli dei
monti Iblei, quelli di Jeli il pastore, ancora arcaici, incontaminati,
pullulanti di mandrie e di armenti, sono ideali perché danno una ricotta
grassa, saporita, non gessosa, che lascia in bocca un sapore pieno e corposo.
La
ricotta fresca, ancora fumante, si lascia per qualche ora in quarantena dentro
un sacco di tela bianca, a scolare fino a quando perde tutto il siero, quindi
si aggiunge dello zucchero in ragione di 300 g per chilo, una manciatina di cannella,
una di vaniglia, e si amalgama fino ad ottenere una pasta omogenea ed esente da
grumi. Si introduce nel cannolo con l'apposita sacca a poche attrezzata di bocchetta o, in mancanza, con un coltello
senza punta.
Infine
si passa al maquillage: prima si "incipria" tutto il corpo con una
abbondante spolverata di zucchero a velo strisciato da un sottilissimo filo di
cannella e poi si "truccano" i nivei occhi con graniglia di mandorla
abbrustolita o di pistacchio, o di cioccolato oppure con mezza ciliegia candita
o con filetti di scorza d’arancia.
Per
gustare appieno e in simbiosi le fragranze della cialda e della farcia bisogna
riempire i cannoli un'oretta prima di consumarli, per dare modo al ripieno di
aggredire dolcemente, con i suoi umori, l'eccessiva croccantezza dell'involucro.
Un
bicchierino di Strega o di Millefiori Cucchi (ad avercelo!), poi, si sposa a
meraviglia con questa prelibatezza tutta siciliana.
Meridiano14, febbraio-marzo 2011
1 commento:
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