La tradizione di Natale più radicata e diffusa in Sicilia è quella della
costruzione del presepe. Questa consuetudine ebbe un notevole incremento
soprattutto dopo il terribile sisma del 1693,
quando, per esorcizzare il fenomeno e per tenere vivo il
ricordo della triste esperienza vissuta - " Memorare terremotu et non peccabis" fu il monito ricorrente in
quella temperie - gli appartenenti alle varie classi sociali si sentirono quasi
obbligati ad allestire nelle proprie case, ed anche ad ostentare quando era il
caso, presepi di fogge e di materiali vari, a seconda dello status o
dell'inventiva del creatore.
Tante sono ancora le altre tradizioni natalizie di cui rimane il ricordo o che bene o male resistono e trovano larga diffusione in Sicilia e che, pur diverse da luogo a luogo, danno un aspetto, un sapore caratteristico, al tempo festivo. Le più solide e salde sono quelle gastronomiche - dolciarie, e non solo per un'esigenza di godimento materiale, ma anche per il desiderio di incontro con gli altri che nel banchetto acquista significato di affratellamento e di amicizia.
Tante sono ancora le altre tradizioni natalizie di cui rimane il ricordo o che bene o male resistono e trovano larga diffusione in Sicilia e che, pur diverse da luogo a luogo, danno un aspetto, un sapore caratteristico, al tempo festivo. Le più solide e salde sono quelle gastronomiche - dolciarie, e non solo per un'esigenza di godimento materiale, ma anche per il desiderio di incontro con gli altri che nel banchetto acquista significato di affratellamento e di amicizia.
Tradizione natalizia, peraltro ancora in uso nelle famiglie contadine e
non, era quella del porco, del porco nero. Lo si ammazzava e lo si magnificava!
Per evitare spiate e per non pagare il dazio, l'olocausto si compiva
clandestinamente e con la complicità delle tenebre. Si legava l'animale per le
zampe e si cercava di immobilizzarlo su una specie di tavolo sacrificale
approntato su dei trespoli. Trafitto alla gola, l'animale iniziava a mugghiare
e a sgriddari a più non posso e
tutt'intorno c'era il ballo di S. Vito: chi lo teneva, chi raccoglieva il
sangue zampillante, che attizzava la brace, chi lo scaurava e chi lo spilava
dandogli a raschiare col coltello. Sventrato, veniva fuori, ancora fumante,
"grazia" di Dio a iosa.
Il sangue, insaporito con latte, un po' di zucchero, prezzemolo, noci
pestate e pepe nero, e insaccato dentro il cularinu,
si metteva a bollire e diventava squisito mallegato. Le interiora, arrostite
alla brace, diventavano prelibati bocconcini da consumare subito, oppure,
sposate a tenere cipolline, si trasformavano in succulente padellate. I minzini, diventavano salsiccia pepata
rossa e impastata con vino e finocchietto, oppure lardo salato e pepato nero e
rosso, pancetta, gelatina, strutto, insomma tutto ciò che è possibile rimediare
dal maiale.
Nelle famiglie contadine, la vigilia di Natale si cenava di prima sera
con pietanze a base di baccalà e con 'mpanate
di broccoli o aiti, arricchite con
pezzetti di salsiccia , e poi, mentre le donne preparavano le crespelle, si
stava attorno alla zzuccata (il
ceppo): si spiluccavano lupini, si mangiucchiavano patate e pere succiarduna cotte nella cenere, si
giocava a carte (per fare divertire il Bambinello), si beveva, si parlava. La
brace dello zzuccu doveva durare sino
all'alba (per riscaldare il Bambino Gesù).
Ancora oggi, ma in misura minore rispetto al passato, la settimana che
precede il Natale è dedicata alla preparazione dei dolci e del pane figurato.
Tradizione diffusissima a Palazzolo era quella del pane di Natale chiamato a cucciaredda, a Buccheri cùcchia: "... La gente volgare dà un panuccio bislungo spaccato nelle estremità nella
festa del Bambino..." registrava il Cappuccino Padre Giacinto Farina,
nella sua "Selva". Questo pane veniva regalato ai bambini; alle suocere se ne destinava uno più grande
guarnito di nocciole.
I dolci tipici di Natale della nostra area, con delle varianti da una
zona all'altra, hanno dentro come elemento basale il miele, il celebrato miele
dei monti Iblei. A Palazzolo, i ciascuna
sono i dolci natalizi più diffusi. Sono confezionati in sottile pasta sfoglia
farcita con un impasto di fichi secchi e noci, aromatizzato con scorza di
arancia fresca e ingentilito da una spolverata di cannella. Vengono preparati
pure le ossa dei morti con ripieno di
noci e miele, a ghigghiulena, il
torrone classico o quello bianco, la pagnuccata,
dolce fritto, sempre al miele, che si confeziona anche per altre feste.
Per Natale e per le feste di Carnevale e di Pasqua, a chiusura della
stagione agricola e per la ricorrenza dei santi principali, nei centri ad
economia agricola c'era la consuetudine, da parte dei fittavoli, di recare i carnagghi al padrone. Era questo un uso
molto antico, esteso a tutta la Sicilia e oltre. Le appendizie dovute al
padrone erano espressamente previste nei contratti agrari stipulati con i
gabelloti; in genere erano costituite da capretti, polli, formaggi priminticci, ricottelle, uova, retoni di
paglia frumentina, cofìni di
fichidindia, e così via.
A partire da Santa Lucia, i contadini, osservando le condizioni
meteorologiche dei dodici giorni che mancano alla vigilia di Natale (i Carènnuli), traevano gli auspici per il
tempo che avrebbe caratterizzato i dodici mesi dell'anno successivo, un giorno
per ogni mese dell'anno; era largamente scontato che: Di li carennuli si canusci l'annata (agricola).
A partire dal 16 inizia la novena di Natale. Parecchio tempo fa la novena
precedeva la messa dell'alba. Alle cinque del mattino, al primo rintocco dei
bronzi sacri, i ragazzi balzavano giù dal letto, assonnati e affreddati e
giravano di porta in porta per annunciare la novena: "A nuvena, a nuvena... A nuvena, a nuvena...".
In alcuni centri, mini complessi di musicanti-cantastorie giravano di
porta in porta e, con violino, chitarra e mandolino, suonavano novene popolari, facendo un segno col carbone
sui muri delle case visitate.
Altri tratti folcloristici diffusi erano e sono alcune credenze collegate
alla particolare sacralità della notte di Natale, come quella secondo cui a
mezzanotte le bestie sarebbero in grado di parlare come all'origine dei tempi,
ma nessuno li sente o deve tentare di
sentirle.
Oppure l'altra, per la quale in tale notte è possibile la trasmissione di
formule magiche per esorcizzare malefìci e malattie; oppure l'altra per la
quale fioriscono le erbe e gli alberi si vestono di fronde e si caricano di
frutta e vegetazione che dura soltanto tre secondi, i tre secondi in cui Gesù
venne alla luce; oppure l'altra, ...
IL CORRIERE DEGLI IBLEI, dicembre 1999
2 commenti:
Salve
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