«Tre cose sottili sono il maggior sostegno del mondo: il sottil rivolo di latte dalla mammella della mucca dentro il secchio; la foglia sottile del frumento ancora verde sulla terra; il filo sottile sulla mano di una donna industriosa. Tre rumori di prosperità: il muggito di una mucca gonfia di latte; il tintinnio del ferro di una fucina; il fruscio di un aratro.» (The Trials of Ireland, secolo IX)

Pòspiri e pùspireri, tabbaccu e tabbaccheri

 …a Palazzolo per qualche tempo fu operante una fabbrica di fiammiferi da cucina. “Il Semaforo”, giornale locale fondato dall’avv. Rosario Branca, ne diede notizia con un certo risalto…

dal web

Pòspiri e pùspireri    

Si deve a John Walker, l’invenzione (accidentale) dei fiammiferi familiari. Non il John Walker del leggendario whisky scozzese, ma un semplice farmacista inglese: era l’anno 1826, circa due secoli orsono [1].

La capocchia di tali fiammiferi, con lo stelo di legno e imbevuta di zolfo, conteneva clorato di potassio e solfuro di antimonio. Dieci anni dopo circa, il solfuro di antimonio per il suo scarso potere di accensione fu sostituito con il fosforo bianco, più facilmente infiammabile. Da allora iniziò la vera e propria produzione commerciale su scala mondiale. La miscela fu poi perfezionata con l’eliminazione del clorato di potassio, rivelatosi esplodente se miscelato al fosforo e ad altre sostanze [2]. L’Illustrazione popolare segnala a tal proposito alcuni gravi incidenti causati dall’uso di questi fiammiferi esplosivi. Ad un signore, ustionato al braccio, prima gli fu amputata la mano e in seguito il braccio; un altro colpito al viso perdette un occhio; un altro ancora rimase inabile al lavoro per sei mesi perché ustionato in più parti del corpo [3]. Anche il fosforo bianco, tuttavia, in quanto altamente tossico, nel 1884 fu sostituito dal fosforo rosso.

Più tardi entrarono in produzione i minerva (fiammiferi piatti, detti anche “a pettine”) e poi gli svedesi, entrambi conosciuti come fiammiferi di sicurezza [4]. In ogni caso, sicurezza a parte, Le svedesi sono meglio dei fiammiferi” sosteneva Marcello Marchesi, e per di più non sono piatte aggiungiamo noi. In seguito arrivarono i cerini (con stelo di carta cerata), produzione tipicamente italiana.

 

I fiammiferi di legno o da cucina si accendono sfregandoli sulla striscia ruvida collocata all’esterno della scatola e composta di vetro macinato finissimo. Nelle vecchie osterie, le pareti erano provviste di solito da strisce di carta vetrata, collocate a portata di mano, per evitare ai fumatori di sfregare gli zolfanelli direttamente sui muri.

A proposito della ruvidità, della durezza della carta vetrata, dalle nostre parti, quando si vuole biasimare una persona troppo sfacciata, dalla faccia tosta, si fa ricorso con tono sarcastico al seguente modo di dire: C’avi na facci ca si cci ponu addumari i pospiri i lignu!” (Ha una faccia “così stagnata” che gli si possono sfregare i fiammiferi da cucina!). Questa frase fa il paio con un’altra più o meno simile e che recita così: “C’avi na facci ca si cci ponu scacciari i pulici a due a due!” (Ha una faccia “di tale durezza” che gli si possono schiacciare le pulci a due a due!).


In Sicilia c’erano ben tre fabbriche attive per la produzione dei fiammiferi di legno: due a Catania (I.S.F.A). e una a Valguarnera (S.F.A.S.), tutte e tre affiliate alla S.A.F.F.A., a sua volta associata al C.I.F. (Consorzio Industrie Fiammiferi) [5].

La fabbrica di Valguarnera era stata messa su nel 1946 da Filippo Faraci, un industriale di Mazzarino: dava lavoro a circa 40 operai, soprattutto donne [6]. Lo zolfo proveniva dalla vicina miniera di Floristella mentre il legno per gli steli arrivava dalle contrade Bellia e Rossomanno, ricche di pioppi e alberi similari (da un solo tronco d’albero si ottengono in media 60mila bastoncini). Dal 1996 la quota di produzione dei fiammiferi assegnata alla Sicilia passa tutta alla ISFA e la SFAS di Valguarnera, naturalmente, è costretta a chiudere [7]. Qualche anno dopo smette pure la ISFA di Catania; infine anche la casa madre, la SAFFA, nel 2001 dopo la chiusura degli altri stabilimenti chiude la sua grande fabbrica di Magenta [8].


A tal proposito giova ricordare che anche a Palazzolo per qualche tempo fu operante una fabbrica di fiammiferi da cucina. Il Semaforo, giornale locale fondato dall’avv. Rosario Branca, ne dà notizia con un certo risalto:


Sorgono le industrie. Un operaio, un lavoratore, dopo lo sbarco Alleato ideò di impiantare nel nostro comune una fabbrica di fiammiferi. Superando ostacoli burocratici e difficoltà di ogni genere non lievi, vi è riuscito e la sua industria fiorisce, progredisce, si afferma.

All’audace sig. Castrogiovanni tutta la riconoscenza dei lavoratori e l’incoraggiamento della cittadinanza e de “Il Semaforo” [9].

 

A dire di qualche testimone, dalla memoria lunga, tale fabbrica fu impiantata in un basso dell’ex convento dei Domenicani in piazza Umberto I. Malgrado la carica di ottimismo mostrata dal cronista, la fabbrica tuttavia non ebbe vita lunga.  


Le vecchie scatole originali dei fiammiferi erano arricchite da così pregevoli illustrazioni da diventare in seguito materia di collezionismo. La tematica dei bozzetti spaziava nei campi più disparati: scene umoristiche, di vita nobiliare, la serie dei grandi musicisti, degli scienziati, degli uomini politici, la storia di Giuseppe Garibaldi e così via. [10].  

Anche in Sicilia le scatole per i fiammiferi diventarono oggetto di collezione e con tanto di mostre. Non però quelle originali prodotte dalle fabbriche, quanto i manufatti in legno usciti dalle mani dei contadini. L’arte lignea dei nostri pastori dispone di una nutrita quantità di lavoretti più o meno spontanei, incisi semplicemente con un coltellino, tra cui anche le scatolette porta-fiammiferi: pùspireri.

Giuseppe Pitrè, nel “Catalogo Illustrato della Mostra Etnografica Siciliana del 1891-82, tra gli oggetti di uso domestico incisi dai pastori, presenta un porta-fiammiferi di Castrogiovanni [11] fattogli pervenire dal prof. Salvatore Salomone-Marino. Lo stesso prof. sottolinea:


“[…] è la classe dei pastori in genere quella che specialmente si dedica alle belle arti; e si capisce, perché solo i pastori costringe il duro mestiere a passare le lunghe ore di tutt’i giorni nell’inattivo e monotono silenzio de’ campi.[…] Essi pertanto mettono a profitto queste ore solitarie e tranquille rallegrandole ed occupandole con la musica e con geniali lavori artistici [...]” [12].


Antonino Uccello, nel presentare nel 1967 il catalogo della mostra “Sull’arte lignea dei pastori” organizzata dal “Museo Nazionale di Palazzo Bellomo” di Siracusa, riprende la tematica in questione. In particolare Uccello analizza e descrive minuziosamente i dettagli delle scene incise su alcuni manufatti lignei, soffermandosi in particolare sulle due facce del coperchio di una delle quattro pùspireri in mostra e, nello specifico, quella proveniente da Avola. Santi Luigi Agnello, a tal proposito, ebbe a scrivere: “…sia pure in forma necessariamente sintetica [si tratta di] …un’indagine critica meditata su queste interessanti manifestazioni figurative… [13].   

da A. Uccello, 1967

Tabbaccu e tabbaccheri

Oltre al tabacco da fumo che fornisce nicotina all’organismo tramite combustione, esiste pure il tabacco masticatorio e quello da fiuto, questi ultimi destinati ormai a non molti fruitori.  

In ogni caso il tabacco fa male, e in particolare quello da fumo, per cui “Il modo migliore per smettere di fumare è portare con sé dei fiammiferi bagnati “. Tale aforisma però, come si può capire, oggi è diventato obsoleto, com’è d’altronde pleonastico il seguente proverbio “igienico”, in voga ai tempi del colera del 1837: “Mancia suppa / Fuma pippa / Lassa a Peppa / Ca ‘u culera nun t’acciappa”. (Mangia pane e vino, / fuma la pipa, / lascia a Pippina (evita amplessi), / e così il colera non ti coglie” [14]. Sempre contro il colera possono essere utili i clisteri di tabacco [15].

Il tabacco da fumo inoltre è un ottimo rimedio contro i geloni: si applicano, sulla parte, delle foglie triturate ed imbevute di olio di oliva [16]; contro la carie si introduce nel foro un pizzico di tabacco [17].


Il tabacco a corda o masticatorio serve ad aumentare la salivazione ma soprattutto ad assorbire nicotina. Le sputacchiere di un tempo, presso i barbieri, presso le osterie, nei locali pubblici (ma anche presso i privati), servivano non solo ad accogliere sputi ed espettorazioni, ma anche il tabacco masticato e poi espulso.  

C’era pure chi era solito sputarlo sui muri, come Mauro Mortara uno dei personaggi del romanzo pirandelliano “I vecchi e i giovani”: “…gli era piaciuto riveder nel muro l’impronta degli sputi gialli di tabacco masticato, che, stando a giacer sul letto, era solito scaraventare alla faccia dei nemici della patria…” [18].  


Tabacchiari: inalare con frequenza tabacco da fiuto. Il tabacco da fiuto o da naso o starnutorio fornisce nicotina all'organismo in maniera estremamente rapida lasciando nelle cavità nasali e nelle vie respiratore superiori un piacevole sentore di mentolo, di arancia e altro: viene inalato col naso depositandone un pizzico nel dorso della mano e aspirando, oppure portandolo direttamente alle narici con il pollice e l’indice.

Oggi, per gli incalliti appassionati, esiste una vastissima scelta di tabacchi da fiuto assai raffinati, laddove una volta la scelta era limitata: c’era ‘u tabbaccu i nasu comune e c’era quello di qualità superiore, riservato a pochi. In Sicilia era assai apprezzato il Palermo, altrimenti detto “Sant’Antonino” (quello col giglio), coltivato nel palermitano fin dal 1765.

dal web

Tabacchièra s. f. –Piccola scatola di varia forma e materia, tascabile, destinata a contenere tabacco da fiuto, in uso dal sec. 17°, che dalle corti passò alla borghesia e si diffuse poi anche fra il popolo [19].                          E difatti: “…l’anno che don Jaco era andato a Roma le aveva portato una corona benedetta e una tabacchiera col ritratto del Santo Padre…” [20].

In questa sede, oggetto della nostra attenzione sono comunque i manufatti popolari. Tralasciamo quindi di parlare delle tabacchiere di lusso in oro o in argento e di altri materiali più o meno pregiati, con incisioni e decori per i gusti più raffinati. Ci occupiamo invece delle tabacchiere usate dalle classi popolari e realizzate dai contadini e in modo particolare dai pastori: “…e pertanto, col suo coltellino, taglia un pezzo di legno duro e secco, lo riquadra, o attonda o incava… e ne fabbrica un cucchiajo, una ciotola, un porta-foglio, una tabacchiera, un porta-fiammiferi…”.  …” [21].

Tabacchiera in osso (collezione N. B.)

Nel Catalogo Illustrato della citata Mostra del 1891-92, Pitrè presenta due tabacchiere in legno di bossolo, di cui in una sono rappresentati gli emblemi della Passione di Gesù Cristo. Un’altra tabacchiera in mostra e presente in quel Catalogo è quella del bovaro Giuseppe Gambino di Cinisi. S. Salomone-Marino nel 1865 ebbe modo di assistere alla incisione a punta di coltello del coperchio di quella tabacchiera: in un tempo record di appena venti minuti, venne raffigurato un Crocifisso circondato da un nugolo di testine di angioletti [22].

Molto alla buona e assai diffusa era invece la tabacchiera ricavata dalla buccia essiccata d’arancia, di limone o di bergamotto. Si rivoltano le due mezze bucce di uno di questi agrumi tagliato a metà, si fanno essiccare e poi si sovrappongono, dando ad esse la forma di una scatolina rotonda con il relativo coperchietto. L’olio essenziale contenuto nella scorza rilasciava per qualche tempo stuzzicanti aromi e inebrianti profumi.

Ed è proprio di quel genere la tabacchiera che, nella commedia ‘U riffanti di Nino Martoglio, Mastru Delfu promette â zâ Monica quando le fa la


“…Senza fari tanti chiacchiri... da persone serie, e pratiche, comu semu nui... nni vulemu 'ncucchiari?...   

… Nn'accattamu 'na bedda casa ccu 'a vigna e ccu l'orto, 'u puddaru, 'a cunigghiera, i palummi, nespuli giappuni, pumadoru, mulinciani, pipì, cucuzzeddi di quaranta jorna ... 'u vinuzzu di chiddu bonu, a vui 'na tabacchera di bergamottu, china di Sant' Antoniu di prima qualità, a mia 'na pipicedda c'hav'a pariri un vapurettu... e campamu cent'anni... Chi ci aspittati?...” [23].  

Vista la logorrea irrefrenabile di Mastru Delfu, tanto per restare in argomento, il seguente modo di dire “Essiri tuttu chiacchiri e tabbaccheri di lignu” calza proprio a pennello. Basta solo cambiare la tabacchiera di legno con una tabacchiera di bergamotto.




Note

[1] Cfr. https://it.wikipedia.org› wiki> fiammifero>.  Consultato il 15 dicembre 2021.

[2] Cfr. https://salutoalsole.forumfree.it/?t=68208794. Consultato il 18 dicembre 2021.

[3] L’Illustrazione Popolare, vol. II°, n.18, 30.06.1870, p.142.

[4] Cfr. https://salutoalsole.forumfree.it/?t=68208794. Consultato il 16 dicembre 2021.

[5] Cfr. CONSORZIO INDUSTRIE FIAMMIFERI DATI GENERALI ...https://www.concurrences.com › IMG › pdf. Consultato il 19 dicembre 2021.

[6] Cfr. Le zolfare di Floristella e la Pirrera -        ForumFreehttps://valguarnera.forumfree.it. Consultato il 17 dicembre 2021.

[7] Cfr.CONSORZIO INDUSTRIE FIAMMIFERI DATI GENERALI ...https://www.concurrences.com › IMG › pdf. Consultato il 20 dicembre 2021.

[8] Cfr.CONSORZIO INDUSTRIE FIAMMIFERI DATI GENERALI ...https://www.concurrences.com › IMG › pdf. Consultato il 15 dicembre 2021.

[9] Il Semaforo, Anno I, n.7-8, 18 giugno,1944.

[10] Cfr. Fiammiferi, l'archivio Saffa salvato da un ex operaio - Gusto ...https://www.gustotabacco.it › accessori › fiammiferi-arc. Consultato il 20 dicembre 2021.

[11] G. Pitrè, Catalogo Illustrato della Mostra Etnografica Siciliana, s.e. stab. tip. Virzì, Palermo, 1892, p. 22, n. 51.  

[12] S. Salomone-Marino, Costumi ed usanze dei contadini in Sicilia, Arnaldo Forni editore, anast. Palermo, 1897, p. 326.

[13] A. Uccello, Sull’arte lignea dei pastori, Siracusa, EPT, 1967, s.p.

[14] G. Pitrè, Medicina popolare siciliana (1896), Reprint, Palermo,1992, p.352.

[15] Cfr. G. Pitrè, Medicina popolare siciliana… op. cit., ibidem.

[16] Cfr. G. Pitrè, Medicina popolare siciliana… op. cit., p.309.

[17] Cfr. G. Pitrè, Medicina popolare siciliana… op. cit., p. 236.

[18] L. Pirandello, I vecchi e i giovani (1913), Milano, Opportuniy Boock, 1995, p. 298.

[19] Cfr. https://www.google.com/search?q=treccani+tabacchiera&rlz. Consultato il 15 gennaio 2022.

[20] L. Pirandello, I vecchi e i giovani… p.291.

[21] S. Salomone-Marino, Costumi ed usanze dei contadini in Sicilia… op. cit., pp. 329, 330.

[22] Cfr. S. Salomone-Marino, Costumi ed usanze dei contadini in Sicilia… op. cit., p.331.

[23] Martoglio Nino – 'U Riffanti -https://copioni.corrierespettacolo.it ›. Consultato il 5 gennaio 2022. Vedi pure N. Falcone, Almanaccu sicilianu, Gioisa Marea (Messina), Pungitopo, 1983, p. 15.







3 commenti:

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