Il personaggio in questione è l'arabo Ased ibn al Furat il quale il 14 giugno dell'827 con un potente esercito era sbarcato a Mazara e da lì, aprendosi la strada verso Siracusa, aveva iniziato la conquista dell'isola.
Durante il vano assedio a
Siracusa, conquistata solo nell'878, gli Arabi o Saraceni, così chiamati
dall'arabo sharkium cioè orientale (a tutt’oggi una
contrada di Palazzolo conserva questo toponimo), fecero diverse incursioni nei
territori di Acre fino a distruggerla unitamente al borgo di Santa Lucia di
Mendola.
Palermo cadde nel1'831, Modica
nell'846, Ragusa nell'848, Castrogiovanni nell'859, Noto nell'864, Taormina nel
902. Palermo, diventata la loro nuova capitale, assunse al tempo stesso
l'aspetto di una metropoli orientale e diventò Balarm.
I Saraceni giungevano di notte, e una volta sbarcati compivano terribili
scorrerie. Nei primi tempi della loro espansione, dunque, recarono gravi danni
in Sicilia, ma ben presto sentirono interesse e ammirazione per la cultura del
popolo con cui erano venuti a contatto, e a poco a poco, sfruttando anche le
caratteristiche originarie della loro stirpe, la assimilarono apportandovi originali contributi che ancora oggi esercitano
il loro influsso.
I nuovi conquistatori
suddivisero amministrativamente la Sicilia in tre Valli: Val di Mazara, Val di
Demone, Val di Noto (Val, dall'arabo Wali
sta per Governatore). Tale suddivisione durò sino al 1817 quando la Sicilia fu
suddivisa in sette Intendenze. Come capoluogo del Val di Noto fu scelta Siracusa.
L'arabo nel dialetto e nella
toponomastica locale
Nell'isola, oltre alle
espressioni linguistiche in uso, derivate dal latino e dal greco, iniziò ad
imporsi pertanto anche la lingua araba. Molti sono i vocaboli arabi introdotti e conservati
ancora oggi nella nostra lingua e in particolar modo nel dialetto siciliano: ghiebbia, vasca per irrigazione (gabiya); saia, canale di irrigazione (saquija);
margiu, palude, (marg); zzotta, frusta (sawt); zzàccanu, porcile, (sakan);
smammànicu, strano, (marmara); mammaluccu, sciocco, (mamluk); giufà, balordo, (djuhà, (le storie di Giufà
sono di matrice araba); iarrusu,
pederasta, (arus); sciara, terreno lavico, (sa'ra+harra); giarra, giara (giarrah); fùnnucu, fondaco (funduq); coffa, cesta, (coffa); tammusu, stanza a piano terra, (damùs);
tannura, focolare rudimentale, (tennura); vavaluci, lumaca, (babaluci);
nzaredda, fettuccia di carta, (zareda), ecc.
E ancora resistono benissimo
anche i vari toponimi comincianti per cala, qal'at
(castello): Calascibetta, Calatafimi, Caltagirone, o comincianti con rahal (casale): Racalmuto, Ragalna,
Regalbuto, o con gebel (monte):
Gibilmanna. Gibellina, Mongibello.
Dalle nostre parti sono tanti i
nomi di luoghi che hanno l’etimo di origine araba: Buccheri, Buscemi, la stessa
Palazzolo viene ricordata da Edrisi con il nome di Balansûl, corruzione araba del nome latino Palatiolum, e poi le contrade di Mezzogregorio, Rigolizia, Gaitanì,
Pianette, e di nuovo rahal: Rahalbaranis: Santa Lucia di Mendola; Rahal balata: Ddieri di Bauly.
La civiltà araba
Il popolo arabo o musulmano,
oltre ad essere estremamente fedele alla propria
cultura religiosa, fu anche amante dell'arte. Il suo linguaggio artistico ed
espressivo fu molto articolato e a poco a poco si sostituì a quello di
derivazione classica. Gli artisti si specializzarono in bizzarre decorazioni
policrome e aniconiche (arabeschi) poiché era loro severamente proibito dipingere
o scolpire la figura umana per timore che ricadessero nell’idolatria.
L'architettura è caratterizzata dalla nitida essenzialità dei volumi ma anche
da notevoli invenzioni tecniche e strutturali come il sistema delle volte e
degli archi ad ogiva o lobati.
Gli Arabi ebbero scrittori e
poeti eccellenti. Tra tutti vogliamo citare il più grande poeta arabo-siculo:
Ibn Hamdis. Nato a Siracusa intorno al 1055, visse a Noto, ma giovanissimo fu
costretto a scappare in Tunisia a causa della conquista normanna. Morì nel 1133
nell'isola di Maiorca. Compose oltre 6.000 versi (Canzoniere) traboccanti di
nostalgia per la patria perduta. Della sua terra ricorderà soprattutto la
dimora: "La custodisca Allah una
casa in Noto / e su di essa si aprano le nuvole! / La ricordo ogni sera e
fluenti le lacrime mi sgorgano per lei...".
Nel campo musicale gli Arabi
inventarono il rabab che,
perfezionato divenne il violino, poi l'oboe e infine l'eut da cui ebbero origine i vari tipi di liuti e di arpe.
Gli Arabi si distinsero anche
nella geografia (Edrisi, Ibn Hawqal, Ibn Battutah, fra i tanti),
nell'astronomia, nella medicina (inventarono gli anestetici e scoprirono nuovi
farmaci), nella chimica, nella matematica (inventarono lo zero e introdussero
le cifre "arabe"). Inventarono la storta e l'alambicco, impiantarono
le grandi tonnare.
Furono i primi a studiare
un'applicazione più sistematica della ruota ad acqua e del mulino a vento;
furono bravissimi nell'arte del vasellame, nell'industria della carta, nella
legatura dei libri, nella produzione di stoffe pregiate, di profumi,
nell'industria vetraria.
Agricoltura e gastronomia
La Sicilia, dunque, sotto la
dominazione araba diventò territorio ricco di risorse e anche di bellezze.
L'agricoltura ebbe un grande rilancio grazie al frazionamento del latifondo in
piccoli appezzamenti che permisero la trasformazione della coltura da estensiva
in intensiva.
Gli Arabi seppero regolare il
corso dei fiumi con ingegnosi sistemi di irrigazione tali da rendere fertilissime
le terre. Introdussero nuove colture prima sconosciute in Europa e migliorarono
i dispositivi tecnici atti a svilupparle. Delle colture ricordiamo: gli agrumi
("Godi degli aranci che hai colto / la
loro presenza è presenza della felicità... / Benvenute le guance dei rami / benvenute
le stelle degli alberi! / Si direbbe che il cielo abbia piovuto oro puro / e la
terra ce ne abbia foggiato sfere lucenti", versi di autore arabo),
l'albicocco, il gelso, il riso, l'asparago, il carciofo, lo zafferano, l'anice,
il sesamo, la canna da zucchero (Cannamele); e poi il gelsomino, l'hennè (o
henna, pianta usata per tingere di rosso), il cotone, la canapa, il lino, la
seta.
Introdotto il gelso moro, ceusu niuru, fu facile intensificare la
cultura del baco da seta, iniziata già sotto l'imperatore Giustiniano, grazie
anche ad una incubazione veramente singolare delle uova di tale insetto: "...Si ritrova una certa sorta di semenza di
vermi di color tra il rosso e il nero... Questa semenza dunque... raccolta in
una sottilissima pezza di lino, si tiene calda tra le mammelle delle donne...
".
Gli Arabi furono abilissimi
anche nella gastronomia: a loro si deve l'opulenta cassata (dalla voce araba quas'at, grande scodella); fanno poi la
loro comparsa la cubbàita
(gghiugghiulena), dolcissimo torrone di miele con semi di sesamo e mandorle
il cui nome originale arabo è qubbayta e
i nucatuli, dalla parola araba naqal, l’equivalente dei nostri ciascuna; inventarono il gelido nettare chiamato sciarbàt, padre del sorbetto, e poi il cùscus, gli arancini di riso
colorati allo zafferano, le crespelle o sfinci
dall'etimo arabo sfang e tante altre
prelibatezze.
IL CORRIERE
DEGLI IBLEI, novembre, 2000.
Riferimenti
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U. Rizzitano, Storia degli Arabi dall'epoca preislamica ad oggi, Palermo,
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