Due storiche rivolte per il frumento a
Palazzolo: “La memorabile ribellione”
del 1° agosto 1677 e “I gravi incidenti” del 16 dicembre 1944
PALAZZOLO ACREIDE. Quando la
fame e la speculazione diventano intollerabili il popolo si ribella e scende in
piazza per protestare. E’ il momento in cui può succedere di tutto. Bastano
poche teste calde per trasformare l’agitazione in tumulti e scontri con serie
conseguenze per le persone e le cose: morti, feriti, assalti di popolo ai
magazzini colmi di derrate, assalti ai palazzi dei nobili, a quelli
istituzionali, giustizia sommaria, insomma, da una parte e dall'altra.
In questo numero del CDI e nel prossimo desideriamo riproporre due episodi
di rivolta popolare a Palazzolo che hanno come denominatore comune il frumento,
una volta il più vessato fra tutti i prodotti della campagna ma fondamentale
bene di consumo per la nostra civiltà mediterranea, nonchè merce di scambio
(leggi denaro contante) per la classe contadina, fino a qualche decennio fa:
con esso saldava i conti in sospeso con il fabbro o con il mastro d’ascia, con
il calzolaio, con il muratore, il barbiere, con i vari fornitori.
CARESTIE
E RIVOLTE
Relativamente a questo primo episodio,
fra l’altro, ci siamo serviti della
“Selva” di fra Giacinto Leone, un manoscritto recentemente stampato a
cura di Emanuele Messina, e del saggio di Vincenzo Mormina e Tonino Grimaldi
pubblicato in “Studi Acrensi 1” a cura dell’I.S.A.
Malgrado la Sicilia sia stata il
“granaio” di Roma e del Mediterraneo (nel nostro piccolo Palazzolo fu definita
da N. Zocco il più importante granaio
della provincia), ciò nonostante e per diversi motivi, malannate, cattivi
governi, incetta, mete (prezzo imposto) troppo alte, è stata sempre afflitta da
una cronica insufficienza di frumento con conseguenze drammatiche soprattutto
per le classi più povere.
Il 12 maggio 1443, per la scarsezza del grano, il popolo
di Siracusa assalì i giurati e troncò la testa ad uno di essi, tale Mazziotta
Prinzi. “Homines et mulieres fame periunt
et cadunt in terram mortui” faceva sapere, l’8 maggio del 1542, un
emissario di Noto al regio Consiglio di Siracusa, supplicando in ginocchio un
soccorso in frumento per la sua città. Nel 1646 Siracusa fu di nuovo colpita
dalla carestia (è noto a tutti il prodigio avvenuto in quell’anno per
intercessione di Santa Lucia che all’improvviso fece arrivare dal nulla nel
porto della città alcune navi cariche di grano), ma anche dalle epidemie e
dalle insostenibili tassazioni del governo spagnolo.
L’anno dopo, il 19 maggio 1647 fu la volta di Palermo (ma
in seguito i tumulti si estesero a tutta la Sicilia) con la rivoluzione per le
“pagnotte ridotte” capitanata da Giuseppe D’Alessio. Poi, di Agrigento, dove il
popolo si sollevò contro il Vescovo: i facinorosi minacciavano il saccheggio
del suo palazzo, perché il prelato teneva i magazzini chiusi per affamare la
città. Intervenne il marchese di Montaperto il quale fece decapitare i più
turbolenti.
A partire dal 1672, in Sicilia fu di nuovo angustiata da
scarsezza del raccolto. Nel 1673, malannata grande, lo Straticò di Messina, per
sobillare il popolo, fece spargere di notte tracce di frumento davanti ai
palazzi dei cittadini più facoltosi per far intendere che costoro lo estraevano
di nascosto per venderlo all’estero, addebitando così la penuria del frumento
agli incettatori e alla negligenza del Senato.
1° AGOSTO 1677: AD IDDI AD IDDI
Anche Palazzolo fu
interessato dal ritorno di queste malannate dovute non soltanto alla
insufficienza del raccolto ma pure al malgoverno della oligarchia municipale e
alle speculazioni dei profittatori detentori del potere economico con i granai
pieni e sempre in attesa della nuova meta che lievitava di giorno in giorno.
Nel 1677, la crisi raggiunse livelli insopportabili: le classi più povere
languivano sotto la sferza della fame e finirono con il nutrire un vero e
proprio sentimento di avversione nei confronti degli abbienti e di chi gestiva
il potere. Bastava quindi un qualsiasi malinteso o pretesto per scatenare una
rivolta con conseguenze terribili. E’ quello che successe nella nostra città la
domenica del 1° d’Agosto del 1677: “…ad
ore 21. in circa, li Giurati nella piazza pubblicarono la meta del frumento: di
massaro, e mercante a ragione di tarì 4 e grana 10. Per tutto l’anno a tarì 5,
che per intenderla era concorsa gran quantità d’uomini e per lo stesso motivo
uscirono dalla Chiesa de’ PP. Domenicani molte donne gridando volere la meta
del frumento a tarì 3. Li giurati s’accostarono alle donne per quietarle, e non
causare tumulto: uno di quella plebe numerosa pubblicò, che li Giurati
s’accostarono alle donne per metterle in carcere: in ciò sentire incominciarono
a gridare ad iddi, ad iddi (nelle sommosse il grido della plebe era sempre
contro i governanti e contro gli affamatori, n.d.a.).
Li Giurati, e tutti
l’Officiali votanti in vedere la plebe montata in bestia a passi veloci
fuggirono nella Chiesa della SS. Nunziata, e chiuse le porte salvarono la vita…
La plebe numerosa di 400 persone in circa tra uomini e donne strepitosamente
gridava, e minacciava di volere abbruciare le case de’ Giurati, e Segreto:…
Diedero fuoco alla casa del Dottor Vincenzo Messina Giurato: doppo alla casa di
Notar Paolo Calendoli Segreto: dove attentarono di bruciare li contratti, e
scritture pubbliche… Occorsero li RR: Sacerdoti, e Religiosi per estinguere tal
fuoco acceso ne’ cuori della plebe infuriata, ma senza profitto; perché un
religioso cappuccino fù buttato nelle fiamme da uno de’ tumultuanti… Presero
ripiego di uscire il SS: Sagramento… ma la plebe nella calda passione gli perdè
ogni riverenza, perché buttando pietre sopra il baldacchino fù bisogno che il
sacerdote s’avesse ritirato in Chiesa… la gente inferocita scorreva le strade
con fiaccole accese minacciando e gridando voler il frumento a tarì tre: Li
Giurati…ad ore 6 di notte uscirono dalla Chiesa: e per strade insolite,
saltando muri, e case: alcuni se ne andarono a nascondersi; altri si portarono
a Buscema…”
CARBONE E BOLOGNA
“Lunedì mattina à 2
agosto dalla plebe si unirono 50 in circa gridando per le strade di voler
scassare il magazzeno del suddetto notaro Calendoli gli fu però aperto e si
pigliarono 60 salme di frumento pagandolo a tarì tre lo tumolo…”
Intanto, i Giurati che erano rimasti assediati sul campanile
dell’Annunziata, prima di darsela a gambe avevano mandato una lettera con
richiesta di aiuto al Conte di Regalmuto, Vicario generale in Noto, che a volo mandò a Palazzolo il capitano don
Giuseppe Giandiere (o Granieri) con 40 uomini e 40 cavalli il quale “la sera di notte à 2 agosto… ne catturò
molti… Blandano Carbone, Filippo e Paolo Bologna fratelli, spararono tre colpi
di scopetta alli quali risposero li soldati con altre tre scopettate, e
seguitandoli catturarono a Blandano Carbone e Paolo Bologna, non potendo
giungere a Filippo… nella notte stessa furono strangolati, e la matina tre
Agosto giorno di Martedì furono trovati uno appeso all’albero (di bagolaro,
n.d.a.) nella Piazza e l’altro diviso in
quarti appesi nelli capi delle strade… (così) s’incusse timore à tumultuanti si quietò la plebe, e la meta del
frumento pubblicata dalli Giurati ebbe il suo valore tutto l’anno…”. La
versione di padre Giacinto Leone, testimone non diretto dell’evento perché nato
nel 1693, alla luce dei documenti d’archivio compulsati dagli autori del saggio
di cui sopra, viene in parte inficiata per i tempi e nelle dinamiche, ma, in
ogni caso la sostanza non cambia: la fame è sempre quella; il teatro degli
avvenimenti anche: la piazza degli Uffizi (oggi piazza Umberto), la chiesa di
S. Domenico (oggi edificio secolare), la chiesa dell’Annunziata; gli stessi
sono gli attori: la povera gente e i detentori del potere politico ed
economico; gli stessi i protagonisti, i due più
delinquenti: Blandano Carbone e Paolo Bologna.
Corriere degli Iblei, novembre 2004
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