I Palazzolesi lo chiamavano don Pinu pensando che fosse il diminutivo di Giuseppe. In realtà Pino
era il cognome e Giuseppe il nome, in famiglia e dagli intimi era chiamato Pippinu.
Era stato carabiniere: alto, tutto d’un pezzo, di
corporatura robusta, dal portamento deciso e un po’ imponente, autoritario ed
autorevole nello stesso tempo, aveva le gambe ad arco, da cavallerizzo. Una
bella faccia rassicurante, dalle folte sopracciglia e con un naso grosso e dei pelini
proprio sulla punta, e un sorriso, con un diastèma agli incisivi che aggiungeva
fascino al carisma. Pochissimi capelli, quasi calvo, con una accentuata canizie
sulle tempie e una sfumatura bassa tutta intorno che dalla nuca continuava con
dei batuffolini sale e pepe sotto la camicia fino alle spalle. Portava bretelle
(e cinto erniario) sia d’estate che d’inverno. Nativo di Francofonte, nel 1927
rilevò il bar “Bordieri” al n. 41 del Corso Vittorio Emanuele. Più tardi, nel
1935 si trasferì al civico 69 utilizzando i due vani sul Corso per il bar e il
resto per abitarci. Due anni dopo si trasferì al n. 17, sempre al Corso e
sempre sullo stesso lato.
Lo stanzone con la volta a botte era diviso in due da
un tramezzo vetrato e ingiallito dal fumo: davanti il bar, appresso la sala da
gioco. Dietro c’era un ammezzatino e quindi il laboratorio. Superata la porta a
molle tipo saloon, all’entrata a
sinistra si trovava l’insormontabile bancone frigorifero azzurro marca “Verbano”
con sopra l’ancora più insormontabile e fumigante macchina da caffè “San
Marco”, su cui svettava una Nike alata. Il caffè si comprava crudo, si tostava
con l’atturraturi a mano, si macinava
a mano e a mano si pompava l’acqua (prima che entrasse in esercizio
l’acquedotto comunale) per la caldaia della macchina espressa.
Dietro il banco della mescita, tre scaffali bicolori,
beige e verde pisello divisi per settori. Nel primo erano allineate le
bottiglie dei liquori, dei punch, dei vermouth, con relativi bicchieri e
bicchierini. Lo scaffale di centro conteneva pacchetti di cacao in polvere, di
biscotti Oswego (gallette) e wafer. Appresso c’era il terzo scaffale alle
spalle della cassa e contiguo al tramezzo: era occupato da bocce piene di
confetti, caramelle e cioccolatini e da boccettine di essenze per rosoli. Sulla
cassa l’immancabile boccia con le caramelline “San Giacomo” a lire una cadauna
e il Resoldor (“Ah, come respiro!”);
accanto, sul bancone, il vassoio con le paste secche, alla crema, i cannoli e
il motorino cacciamosche. Davanti alla
cassa una vetrina strettissima e lunga fragrante di totò (specialità della casa), savoiardi, amaretti e dolci di
mandorla: tutta produzione locale confezionata da don Pinu collaborato dalla moglie Lucietta e dalla cognata Paolina,
diventata moglie di secondo letto dopo la scomparsa della prima.
La sala bar era arredata con due divani in ràmino
appoggiati alla parete lunga e quattro tavoli in ferro con piano in marmo
grigio, di cui uno sempre occupato già di prima mattina, da accaniti giocatori
di dama, quindi le sedie coordinate con i divani. Alle pareti due grandi
specchi con sbiadite vetrofanie: Espresso Bonomelli, Ferro China Bisleri, Baci
Perugina.
Al centro un lampadario tardo liberty con cinque teste
di grifoni a bocca aperta da cui pendevano cinque lampadine. Accanto il
Petromax e, sempre pendenti dal soffitto, tre, quattro carte moschicida,
mielate e aperte come un rullino fotografico, con grappoli di mosche d’annata
che sembrava che dormissero.
Nel 1955 con l’avvento della tv, il tramezzo color
nicotina divenne girevole per formare un’unica grande sala con le sedie
schierate come al cinema. Il giovedì (Lascia o raddoppia?) e il sabato (Il
Musichiere), verso le h. 20 incominciavano ad arrivare i primi spettatori, che
si accaparravano anche i posti per amici e parenti. La consumazione,
obbligatoria, veniva maggiorata del 20 % .
Malgrado la conduzione del bar-pasticceria fosse assai
impegnativa, don Pinu era pure
occupato su un altro fronte: assieme a Rizza (don Mmastianu Capitanu), e a Gentile, mandava
avanti una fabbrica di gassose (quelle
con la pallina) in via Nicolò Zocco. Ma il suo chiodo fisso però era la
campagna, tanto che a Palazzolo circolava il seguente detto: “u Bossu - era il gestore dell’altro bar
(“Italia”) sotto la chiesa di San Sebastiano - accatta segghi e Pinu accatta tirrinu”, per significare che don Pinu, che non aveva figli, tutti i suoi
soldi li spendeva (meglio, li sprecava) per la campagna.
Venuto in possesso di un vasto terreno in contrada
“Sambuco” sulla piana di Buccheri lui, originario di Francofonte, si era
intestardito ad impiantare un giardino di aranci e pretendeva di trasformare
quella pietraia sciarosa e fredda in un eden biblico. Una scommessa con sè
stesso. Spianamenti, opere di irrigazione, ghiebbia,
muri, recinzioni, strade, insomma tutto quello che occorreva. Ogni anno gli
aranci si ammantavano di zagara ma subito dopo, a quella altitudine, il freddo
e gli aquilonari bruciavano tutto e impedivano l’allegagione. Ma lui don Pinu, irremovibile: cambiava il cultivar,
ripiantava, innestava, potava, pumpiava,
concimava, irrigava. All’epoca della fioritura fiori a bizzeffe come la nebbia,
che lì in quella zona è anche di casa, e frutti pochi, pochi, piccoli,
rachitici e acri come limoni.
Il retro del bancone proseguiva con un corridoio
nascosto alla vista che introduceva negli locali retrostanti. In questo
corridoio era piazzato il grosso motore del frigorifero, il cui incessante
rollio nei pomeriggi d’estate, nella contròra, metteva una dolce sonnolenza. A
sinistra, dieci scalini a salire portavano in un ammezzato che fungeva da
deposito e da contingente stanza da letto per il riposo pomeridiano o per le
emergenze. Poco avanti, si scendevano quattro scalini e si entrava nel
laboratorio comunicante all’esterno con il ronco Miano. Lo spazio di questo
cortile era provvidenziale per tutte quelle operazioni che non si potevano
svolgere dentro, anzi, con la bella stagione diventava un vero laboratorio a
cielo aperto: la frantumazione delle lastre di ghiaccio per le stufe fredde di araba memoria, la sgusciatura delle
mandorle, l’asciugatura al sole delle palummeddi
di pastaforte, le operazioni di carico e scarico con la lapa, che prima di comprare una fiammante “600” bianca gli serviva
anche per andare ‘o Sambucu e per i
lunedì di Pasqua.
All’interno, alla sinistra della porta che dava sul
cortile, c’era un grande frigorifero da laboratorio con quattro grandi pozzi e
attrezzato di gelatiera “cattabriga”. Quando questi attrezzi non esistevano o erano poco diffusi, la
preparazione del gelato e delle granite era una impresa che richiedeva molto
tempo e fatica. Preparata la stufa, un mezzo tino con un contenitore cilindrico
(pozzo) circondato da una cortina di ghiaccio e sale, si introduceva a poco a
poco la dose del gelato e quindi si afferrava con le mani il bordo del pozzo e
si incominciava a farlo ruotare (in mezzo al ghiaccio) di circa 180°: mezzo
giro a destra, mezzo giro a sinistra, scrostando di continuo la miscela che si
rapprendeva sulle pareti e aggiungendone altra fino a quando agghiacciava tutta. Me lo ricordo ancora
lo zio Pippinu, zio acquisito di chi
scrive, a partire da San Giuseppe con i suoi robusti avambracci pelosi immersi
dentro il pozzo, a quagliare gelati
di primo mattino. Di quel frigorifero, tre pozzi erano pieni di pezzi
duri, di cassate gelato, di pinguini in formelle ecc., il quarto pozzetto, era
tassativamente riservato alla cacciagione del cav. Puglisi, il padrone di casa:
lepri, pernici, tortore, conigli, il ben di Dio.
Alla destra degli scalini c’erano un paio di armadi
stipati di frutta candita, macedonia, “diavolina”, cannelle, essenze,
barattoli, aromi, stampi, bottiglioni di bagna,
il mastello con lo strutto, la boccia con l’ammoniaca, i sacchetti con l’amido
e appresso u bìlicu. Quasi al centro
della stanza un grande biliardo dismesso il cui piano di ardesia fungeva da
tavolo. A sinistra un vecchio canterano pieno di carta stampata, merletti per
cassate, “pirottini” per dolci, stecchini per i pinguini, carta per i gelati da
sformare; sopra il piano un mortaio di marmo, un altro di rame, calchi di
terracotta, di gesso, di zolfo, il grande macinacaffè verde a ruota; appresso,
superato lo spigolo, un lavabo di “scaglietta” con rubinetto al muro, il cesso
(ricavato nel sottoscala del mezzanino) e quindi il forno elettrico con a terra
i sacchi di zucchero e di farina.
La grande vasca di eternit piena d’acqua, stava tra il
forno e il wc. In questa, ogni giorno, l’acqualuoru
di fiducia versava un carico completo di acqua, composto da 20 quartare di zinco. Questa benedetta
acqua però, in rapporto al consumo effettivo, finiva sempre troppo presto. Don Pinu, sbirru, fu assalito dal sospetto. Un bel giorno, prima che
arrivasse l’acqualuoru si nascose nel
cesso, al buio, e dietro lo spioncino della porticina si mise ad origliare: l’acqualuoru versava due brocche d’acqua
per volta dentro l’eternit però in una delle due l’acqua era solo virtuale
perché il galantuomo, strada facendo, si vendeva metà dell’acqua commissionata
alle clienti occasionali. Cambiato acqualuoru,
da quel giorno l’acqua bastò.
Sempre a proposito di acqua, ogni anno prima della festa di san
Sebastiano, lo zio faceva inalbare con la calce le pareti del laboratorio. Don Paulieddu uocci rossi, una volta,
completato il lavoro, ebbe la felice idea di sciacquare la scupitta, senza dire
niente a nessuno, nella bacinella
collocata sotto il rubinetto della vasca per raccogliere il gocciolio e che
conteneva acqua pulita. La stessa acqua fu poi utilizzata inconsapevolmente
proprio il giorno della festa per cuocervi gli spaghetti al sugo. A tavola
grande imbarazzo. L’interrogativo che arrovellava i commensali era: “Se il sugo
è stato fatto con la carne di vaccina chi glieli porta i ‘nziti del porco in mezzo agli spaghetti?”.
3 commenti:
Offerta seria: interessata a un prestito a breve e lungo termine tra individui, da 5 a 30 anni, a seconda dell'importo scelto. Con un tasso di interesse del 3%. Disponibile per soddisfare questi clienti fino a 3 giorni.
Informazioni: (ccjc010@gmail.com)
Offerta seria: interessata a un prestito a breve e lungo termine tra individui, da 5 a 30 anni, a seconda dell'importo scelto. Con un tasso di interesse del 3%. Disponibile per soddisfare questi clienti fino a 3 giorni.
Informazioni: (ccjc010@gmail.com)
Get help for all your financial problems. Contact Union Solutions to access a wide range of loan facilities. Contact for more information: financialserviceoffer876@gmail.com whats-App +918929509036 Dr James Eric Finance Pvt Ltd Thanks
Posta un commento