"I maniscalchi
non possono ferrare le vetture) nè salassarle o medicarle nelle strade, ma in
luoghi ritirati e rinchiusi da muri. Il sangue però non possono versarlo a
terra, ma raccoglierlo nei tinelli".
Il "Fiorino" è diventato la sua officina
itinerante, attrezzato di tutto quanto può servire per la ferratura dei
cavalli. E, come il signor
D'Angelo, il maniscalco che abbiamo
visto all'opera oggi, allo stesso modo sono organizzati più o meno gli altri
suoi colleghi.
Il vero declino di questo mestiere è iniziato pressappoco
a metà degli anni sessanta, quando, in pieno boom economico, l’auto si
affermava come prodotto di massa. Cavalli, muli e asini in qualità
di bestie da soma o da traino, venivano messi da parte per essere
definitivamente rimpiazzati dai più potenti "cavalli" sviluppati dai motori degli autoveicoli.
La parola maniscalco era quasi sempre sinonimo di fabbro;
questo artigiano, difatti, oltre ai ferri per le cavalcature ,costruiva, di
solito, gli strumenti più comuni in uso presso i contadini: falci, zappe, zappuddi, rasuli, accette, vomeri e gioghi per gli aratri, ecc.
Mentre i fabbri più rifiniti e più abili nell'arte della
forgiatura del ferro battuto (per tutti, Prazio a Siracusa, i Mascinunzii e i Chicchiriddi a Palazzolo), facevano esclusivamente i fabbri.
Le officine dei maniscalchi erano strategicamente
dislocate, per motivi pratici e
logistici, agli ingressi dei centri urbani. I contadini, quando la domenica
venivano in paese, la prima sosta, per abitudine, la facevano dal maniscalco
(anche se non dovevano ferrare): una spuntatina e una pettinata alla criniera,
una leggera strigliatina, controllo degli zoccoli. Poi, andavano dal barbiere
di fiducia e anche lì facevano la fila, mentre la bestia, legata alla staccia, aspettava pazientemente fuori
in attesa che il padrone si rasasse.
Il maniscalco di una volta però, oltre che a fare il
fabbro, a foggiare e ad applicare il ferro agli equini, era anche capace di
diagnosticare e curare le malattie più comuni di questi animali, compresi bovini
e ovini; era in grado di eseguire semplici operazioni chirurgiche o di fare il
dentista degli equini.
Il medico degli animali
Era insomma il medico degli animali, e difatti, a quel
che si dice, erano numerosi gli studenti in veterinaria, che, ancora fino ad
una quarantina di anni fa, facevano pratica presso i maniscalchi più esperienti
e abili in questo campo.
Giuseppe Pitrè nel suo "La famiglia, la casa, la
vita del popolo siciliano" riporta: "Maniscalco... medico degli animali
da soma, che cura come ha imparato dal padre, dal nonno: con purganti,
decozioni, lavaggi, impiastri, cerotti, vescicanti, salassi e simili...".
E in effetti i maniscalchi più esperti le espletavano
tutte, queste funzioni.
Castravano con l'apposita tenaglia o con le stecche;
cauterizzavano con i ferri da cauterio la scurzania
una grave lesione (actinomicosi) che colpiva in faccia bovini e ovini e altre
infezioni; sgonfiavano i bovini affetti da meteorismo affondando il tre quarti nella fossa del fianco sinistro per arrivare
fino al rumine oppure introducendo una mano unta nell’intestino estraevano le
feci e stasavano le uscite naturali ingorgate; salassavano gli animali affetti
da polmonite o troppo grassi applicando la balestra
nel giugulare; asportavano, con un fil di seta o cauterizzando, le verruche, cèusi, che si formavano sulla zampe
degli equini, curavano la scabbia. Per chiudere le ferite si usava il miele o
un ferro caldo, oppure si applicava un'erba con forte potere emostatico, u pilurussieddu.
La ferratura si faceva a caldo ed era tale e tanta
l'attività di questi artigiani che i
Comuni per motivi d’igiene, disciplinavano tale mestiere con norme specifiche e
particolari. Riportiamo a mo' di esempio l'articolo 12, Capo Primo, dei
"Regolamenti Municipali di Palazzolo A." del 1865: "I maniscalchi non possono ferrare le
vetture (sic) nè salassarle o medicarle nelle strade, ma in luoghi ritirati e
rinchiusi da muri. Il sangue però non possono versarlo a terra, ma raccoglierlo
nei tinelli".
La ferratura degli equini
Il
lavoro primario del maniscalco era però la ferratura degli equini che si
praticava mediamente una volta al mese. I maniscalchi dell'ultima generazione,
oggi si limitano a compiere esclusivamente questa operazione; la cura delle
patologie animali è oggi demandata al vero medico degli animali che è il
veterinario. La balestra, il tre quarti, la tenaglia per castrare, a scalidda e la piccola forgia, sono diventati vecchi cimeli
arrugginiti e inutili.
Per ferrare bisogna essere almeno in due: il maniscalco e
l'aiutante che tiene lo zoccolo. Nei tempi andati presenziava una terza
persona, l'apprendista, addetto a porgere gli strumenti "al mastro" e l'aiutante era di solito
il contadino stesso, proprietario del quadrupede.
Mentre il maniscalco lavora, l'aiutante tiene ben ferma
la zampa dell'equino, cercando di mantenerlo quieto, smanacciandolo o
accarezzandolo. Quando l'animale è particolarmente irrequieto, si applica la
mordacchia "u truccituri",
una specie di strumento di tortura che, stringendo il labbro superiore del
cavallo, riduce l'animale a più miti consigli.
Schiodato e sferrato il cavallo, con la tenaglia ri taggghiari e con il cutiddazzu si asporta l'esuberanza
cornea, quindi, usando la rosetta, ruoscila,
uno strumento affilatissimo, si passa al pareggiamento e alla rasatura dello
zoccolo.
La scelta del ferro da applicare a freddo, avviene
dopo ripetute prove, fatte sullo zoccolo predisposto dell'animale ,proprio come
quando si provano le scarpe: il ferro, pronto in tutte le misure e forme (a
pianella, a pantofola, a lunetta, a mezzaluna, a catena, a ciambella, per tutti
i piedi, ecc.), si deve adattare con estrema precisione all'orlo plantare.
L'eventuale "barbetta" o cresta servirà a tenere più saldo il ferro
allo zoccolo.
Gli appositi chiodi a testa quadrata si piantano
trasversalmente, in modo da farli fuoriuscire dalle parte esterna dell'unghia,
poi si tagliano e si ribattono. Con la raspa si passa infine all'operazione
finale di limatura e di rifinitura, facendo poggiare lo zoccolo dell'animale su
un rudimentale treppiedi, cippu.
Nei centri ad economia agricola, il maniscalco veniva
remunerato in frumento e ad anno: tratteneva per sè il grano occorrente al
fabbisogno della famiglia e il resto lo vendeva in contanti.
Le prestazioni inerenti la patologia animale non erano
regolate da tariffe ufficiali e venivano effettuate sempre a titolo di favore.
Il contadino, poi, in occasione delle principali festività, contraccambiava la
cortesia con presenti a base di formaggio, ricotta, uova, polli o quant'altro
poteva offrire la campagna. Scomparse le botteghe dei maniscalchi, è scomparsa
questa primordiale forma di baratto.
Oggi i pochi maniscalchi rimasti ferrano i cavalli al
loro domicilio, presso privati o nei maneggi; solo cavalli dunque, i muli sono spariti e i pochi asini rimasti a
poco a poco muoiono d'inedia o di vecchiaia.
Di conseguenza, il
maniscalco è di casa nei maneggi e in quei centri tradizionalmente ricchi di
fervore atavico per i cavalli: Floridia, Avola e Canicattini per le nostre
latitudini.
CAMMINO, settimanale di informazione e di opinione, 9 febbraio1992
1 commento:
A causa del COVID-19 ho perso tutto e grazie a dio ho ritrovato il mio sorriso ed è stato grazie al signore Pierre Michel, che ho ricevuto un prestito di 65000 EURO e due miei colleghi hanno anche ricevuto prestiti da quest'uomo senza alcuna difficoltà. È con il signore Pierre Michel, che la vita mi sorride di nuovo: è un uomo semplice e comprensivo.
Ecco la sua E-mail : combaluzierp443@gmail.com
Posta un commento