«Tre cose sottili sono il maggior sostegno del mondo: il sottil rivolo di latte dalla mammella della mucca dentro il secchio; la foglia sottile del frumento ancora verde sulla terra; il filo sottile sulla mano di una donna industriosa. Tre rumori di prosperità: il muggito di una mucca gonfia di latte; il tintinnio del ferro di una fucina; il fruscio di un aratro.» (The Trials of Ireland, secolo IX)

A volte ritornano. Le cavallette migratrici

 …Eran un terribile flaggello: per dovunque passavano distruggevano, vigne, olivi, seminati, giardini...


La Locusta migratoria o cavalletta migratrice è un insetto alato con arti posteriori atti al salto, è fornita di antenne corte e tozze e ha un apparato boccale masticatore ben sviluppato.



Si nutre di vegetali ed è distribuita in tutto il mondo, ovunque cresca vegetazione. Le migrazioni di questo insetto, che si sposta in sciami sterminati, non sono prevedibili né dal punto di vista temporale né per quanto riguarda direzione e mete. In Italia le regioni più colpite sono le parti meridionali e le isole. Le femmine depongono le uova in autunno, in buchi scavati nel terreno; le uova si schiudono in primavera, gli individui giovani raggiungono la maturità in luglio o agosto. Proprio nel mese di agosto di due anni fa, il 15, Matera fu inaspettatamente invasa da uno esercito di questo tipo di cavallette che con la loro presenza e con stridii acutissimi seminarono il panico in città e nelle campagne limitrofe. Un vero flagello, un castigo di Dio; dove arrivano distruggono qualsiasi tipo di vegetale.

Le invasioni di questo insetto sono registrate in antichissimi documenti, tra i quali il Vecchio Testamento. Quando il Signore decise di punire il faraone poiché sfruttava gli Ebrei e non voleva lasciarli andare liberi, delle dieci piaghe scelte come punizione contro gli Egiziani, una era costituita proprio dalle cavallette: “…Esse coprirono l’intera regione così che oscurarono il cielo. Divorarono tutta la vegetazione del suolo e tutti i frutti degli alberi che erano stati risparmiati dalla grandine. In tutto l’Egitto il verde degli alberi e dei campi scomparvero completamente.” (Es, 10,15).

 

Cavallette scongiuri ed esorcismi

E’ chiaro che in ogni tempo si è cercato di combattere con qualsiasi mezzo, questo insetto così pernicioso. I Greci e i Latini contavano sul dio Apollo che, per gli speciali poteri che aveva nel respingere le cavallette, veniva appellato anche con l’epiteto di Parnapios.

I cristiani, a partire dal mondo antico e ancora fino ad oggi, contro i flagelli e le calamità si raccomandano al proprio Santo di fiducia o si mettono sotto la protezione della santa Chiesa. Essa, nei suoi manuali sugli esorcismi e nei breviari delle preghiere e delle benedizioni, riporta orazioni, scongiuri e maledizioni ad hoc contro qualsiasi catastrofe, cavallette comprese. Addirittura, nei casi più gravi e ostinati l’antidoto “maledizione” era impartito, come ci fa sapere anche Pitrè, dagli stessi vescovi e arcivescovi. Un’altra alternativa, sicuramente la più efficace e la più praticata, consisteva nel  distruggere gli insetti (e anche le uova e le larve): “Nel 1231, essendo le campagne infestate dalle cavallette, Federico II ordinò che ogni cittadino, prima del levar del sole, ne dovesse raccogliere quattro tumoli da consegnarsi ai giurati perché le bruciassero” (A. Italia, 1940).

Quando nel 1542 le cavallette invasero la città di Salemi incominciando a distruggere campagne e raccolti, gli abitanti si rivolsero al loro patrono san Biagio e gli insetti furono respinti grazie all’intervento del santo. Da allora, a san Biagio oltre ai protettorati già acquisiti (gola, peste, semina, animali) gli fu riconosciuta anche la capacità di proteggere dalle cavallette. In questa città, pertanto, il 2 febbraio, oltre ai cuddureddi che simboleggiano  la gola e l’esofago e vengono confezionati a mo’ di grazia ricevuta, si preparano anche dei pani a forma di cavallette in ricordo di quella devastante invasione.

Nel 1618, secondo quanto riferisce ancora Alessandro Italia, il Commissario dello “Stato” di Modica per distruggere le cavallette che avevano invaso la contrada consigliava di: "…portare lenzuoli, scosuti nel mezzo, ed appuntare sacchi sotto l’apertura, e distendendoli in terra,… cacciar li grilli a quella volta, e quando il lenzuolo sarà ben coverto, prenderlo per le punte et tirandolo in alto far che ricadano dall’apertura nel sacco… ; l’altro (metodo, n.d.a.) è, ammazzarli con sacchi bagnati dove si trovano ammonzillati insieme… li quali poi si abruciano in carcare o forni di mattoni…”. In questa occasione si ricorse anche ad un esorcista, il domenicano padre Litterio Sollima. Le cavallette, però, malgrado salmi, preghiere e scongiuri, non se ne diedero per inteso. Scomparvero a loro comodità: dopo compiuti gli amori.

Nel 1638 nelle contrade di Palermo “si fece la maledizione dei grilli, per il gran danno che facevano nella campagna” (Pitrè, 1880). Anche “il Martedì Santo, a 16 d’aprile 1658, si fece la maledizione delli grilli fuori la Porta Nuova, perché ne la Pianura di Palermo e nell’altre quasi di tutta la Sicilia ve n’era gran quantità…” (Pitrè, 1880). A sostegno, il Senato palermitano si procurò anche una ingente quantità di terra proveniente da Mineo, estratta dal sito in cui si crede sepolto il corpo di S. Agrippina, e la fece spargere nelle campagne infestate con buoni risultati. L’11 luglio del 1710 e il 4 maggio dell’anno successivo, a Palermo “Si fece la processione con Capitolo e Clero e Senato; e cantandosi le litanie s’andò fuori Porta Nuova ove s’interdissero dall’Arcivescovo le locuste” (Pitrè, 1880).

Nel 1687 le cavallette ricomparvero nella marina di Scicli, arrecando gravissimi danni. L’anno successivo, allo stato di ninfe, invasero le campagne di Modica, Ragusa e Siracusa. Qui, in contrada Pantanelli, i Siracusani si attrezzarono per raccoglierle e poi distruggerle. 

Nella diocesi di Siracusa, il 30 luglio 1696 “S. Ecc. ordina ai vescovi, e questi a tutti gli Ecclesiastici a raccogliere i grilli, e bruciare i luoghi ove hanno fatto dimora per distruggere la cova. Eran un terribile flaggello: per dovunque passavano distruggevano, vigne, olivi, seminati, giardini ecc. Ordinò ancora una comunione e una tassa per far uomini a concorrere alla destruzione di quelle bestie cotanto nocevoli …” (P. G. Farina, 1869). Sempre a Siracusa, tre anni dopo “ un immenso esercito di locuste occupò l’aria ed il sole;… il Vescovo D. Asdrubale Termini… fatta breve orazione avanti il Sagramento, pigliò dal Tabernacolo, la Pisside colla SS. Eucharistia,  e portatosi davanti la porta maggiore della chiesa, benedisse con essa l’aria; e all’istante sparirono le locuste…” (A. Mongitore, 1731). Lo stesso Mons. Termini nel 1713, per ordine del Governo, comanda al Consiglio del comune di Palazzolo di formare una deputazione di un sacerdote e tre laici per fare raccogliere le uova delle cavallette. 

 

Il grillo di san  Giovanni

Oggi la lotta contro le cavallette si porta avanti con diverse tecniche: si arano i terreni infestati di uova e di larve; contro le stesse si usano barriere di tela ed esche avvelenate; per la distruzione degli sciami si può ricorrere a gas tossici sparsi con aeromobili e, nei casi gravi, anche a lanciafiamme.

C’è però un tipo di cavalletta appartenente alla famiglia dei grillidi che la tradizione vuole che non si debba uccidere altrimenti si va incontro a sventure, è il grillo di san Giovanni, così chiamato in ricordo del Battista quando rimase per quaranta giorni nel deserto ed ebbe a sua disposizione come cibo cavallette e grilli. Questo tipo di grillo, una volta catturato lo si custodisce e se ne ha cura, perché un giorno, in caso di necessità potrà ridarci la salute perduta. Gli stessi grilli, a Firenze, durante la popolare “festa del grillo” nel giorno dell’Ascensione, vengono catturati in gran numero e imprigionati in apposite gabbiette.

2 commenti:

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