«Tre cose sottili sono il maggior sostegno del mondo: il sottil rivolo di latte dalla mammella della mucca dentro il secchio; la foglia sottile del frumento ancora verde sulla terra; il filo sottile sulla mano di una donna industriosa. Tre rumori di prosperità: il muggito di una mucca gonfia di latte; il tintinnio del ferro di una fucina; il fruscio di un aratro.» (The Trials of Ireland, secolo IX)

Le noci di Palazzolo come quelle di Sorrento

 Cci rissi 'u surci â nuci: "rammi tiempu ca ti pierciu"

Dalla settimana prima di S. Michele alla prima decade di ottobre: è questo più o meno il periodo propizio per la raccolta delle noci dalle nostre parti; il mallo va in maturità e lascia libero il guscio, pronto per essere bacchiato. 


Anche le gazze e i topi si danno un gran daffare per fare incetta del delizioso frutto. Le gazze artigliato l'oggetto del loro desiderio volano alto e quindi lo lasciano cadere in modo da far spaccare il guscio e così piombare immediatamente sul gheriglio. A volte non centrano l'obiettivo e allora il seme giace in mezzo al terreno: in quel punto nasce una nuova pianta. 

I topi, specialmente fino a qualche decennio fa quando nelle campagne la frutta si raccoglieva completamente tutta e si faceva piazza pulita, si ostinavano a rosicchiare sistematicamente e con pazienza certosina il guscio (da qui il famoso detto:" Cci rissi 'u surci â nuci: "rammi tiempu ca ti pierciu") fino a quando arrivavano al gheriglio di cui vanno letteralmente pazzi. 

Il noce cresce bene in collina. Nella nostra placca, quella iblea, predilige le "cave", calcaree, bianche, sublimate dalla  frescura di torrenti e di fiumi frammentati da candidi letti carsici e invisibili per lunghi tratti (il caso dell'Anapo, "invisibile", è emblematico).

Un tempo quest'albero era immancabile vicino alle case di campagna, ma oggi l'usanza si sta perdendo perchè il noce, con la  maestosità della sua chioma, può creare qualche problema. E' una pianta che entra nelle nostre case sotto forma di mobili, di frutta, di liquori, di medicinali, di sostanze coloranti, e una volta anche sotto forma di olio; un olio dal colore chiaro e dal gusto quasi inesistente, ma buono per chi non disponeva d'altro. E' noto a questo proposito l'episodio del miracolo delle noci nel capolavoro del Manzoni: "... dopo  un così gran fatto la cerca delle noci rendeva tanto che un benefattore, mosso a compassione del povero cercatore, fece al convento la carità di un asino, che aiutasse a portare le noci a casa. E si faceva tant'olio che ogni povero veniva a prenderne, secondo il suo bisogno". Per di più, il panello residuo delle noci torchiate è un ottimo foraggio per il bestiame.

Il legno, compatto ed elastico e dalle bellissime venature brunate, veniva impiegato per fabbricare mobili di grande pregio: tavoli, canterani, cassapanche, armadi e casserizi di sacrestie, vecchi telai per la tessitura. Inoltre, per la sua durata e resistenza, veniva usato anche dai carradori per la costruzione di quelle parti del carretto soggette a maggiore usura. Oggi, comunque, in questo campo il noce nostrano è stato surrogato da quello del Tanganica, ma è chiaro che il confronto non regge.

Per quanto riguarda il frutto e il suo valore commerciale, bisogna ricordare che fino ad un paio di decenni fa, a Palazzolo, nella settimana di S. Michele e anche prima, arrivavano i "Napoletani", vale a dire grossi mediatori e commercianti di noci che ne compravano intere partite per spedirle in Campania, dove pulite e imbiancate diventavano "noci di Sorrento". Una riprova, questa, dell'ottima qualità e del mercato che hanno le nostre noci.

 

Haiu quattru figghi 'n cammisedda

Le noci vanno bacchiate e raccolte durante le giornate asciutte e se possibile al mattino presto o alla sera, perchè il caldo eccessivo fa perdere il candore del gheriglio che diviene subito scuro. Ed è meglio se la bacchiatura avviene in due riprese, a distanza di 10-15 giorni, perchè i marruna, cioè le noci ancora fortemente attaccate al mallo e al ramo, avranno il tempo di maturare e di aprirsi anche loro. In ogni caso è sempre consigliabile eliminare rapidamente il mallo, anche se a farne la spese saranno le dita delle mani che vengono irrimediabilmente macchiate dal tannino.

I gherigli hanno un altissimo valore nutritivo e si consumano sia allo stato fresco (e in questo caso si spiluccano sfiziosamente spogliandoli a poco a poco della loro cammisedda), sia come frutta secca. Appena raccolte, le noci vanno prontamente essiccate per mantenere chiaro il colore di questa pellicina (cica) che ricopre il gheriglio e per evitare un'eccessiva umidità causa di muffe. Quando il guscio risulta scuro si sbianca immergendolo per mezzo minuto in una soluzione di ipoclorito diluito con acqua. Si mettono quindi ad essiccare sempre a terra all'ombra, in locali asciutti e ventilati e si rivoltano almeno una volta al giorno. Le noci sono pronte per essere conservate nel momento in cui le membrane legnose che suddividono il gheriglio non sono più molli e carnose ma sono diventate secche e fragili. Assieme alle castagne e ai fichi secchi, erano i doni immancabili che i morti in Sicilia lasciavano ai bambini nella notte tra il 1° e il 2 novembre. A Palazzolo, inoltre, il primo novembre era tradizione consumare la pasta con le noci, come ci fa sapere padre Giacinto Farina nella sua Selva: "Ognissanti. Nel ceto basso vi è l'uso dei maccheroni colle noci...".    

Per rimanere sempre nella zona iblea, a Modica, per Natale, vengono confezionati i "nucatili", dolci con ripieno costituito esclusivamente da pasta di noci tritate. Si tratta di una variante dei nostri "ciascuna", ripieni, questi, di fichi secchi.

Il nocino, invece, è un liquore che appartiene di striscio alla nostra tradizione. In ogni caso, per un nocino corposo, morbido e filante, ecco gli ingredienti: noci acerbe con relativo mallo, alcool puro, vino bianco secco, acquavite, zucchero, chiodi di garofano, corteccia di cannella, miele e acqua. Lasciare maturare e riposare in cantina per più di un anno.

Ma, il "nocino" è anche un gioco fatto con le noci appena bacchiate, già conosciuto fin dai tempi di Plinio, e che a Canicattini, i ragazzi fino a qualche  anno fa praticavano per S. Michele: si sovrappongono e si mettono in riga gruppi di tre, quattro noci (i micchiri) contro i quali si lancia un'altra noce (u baddu): si vincono tutte le noci che cadono dal castelletto.

    

Ogni sabato streghe e diavoli sotto il noce

Secondo la credenza popolare il noce è un albero maledetto: chi pianta alberi di noci è destinato a morire appena il tronco diventa grosso quanto la sua testa (meglio aspettare che siano le gazze a "piantarlo"!). Inoltre quest'albero ha una grande attrazione per i fulmini e i tuoni contro i quali ci si può difendere solo portandosi dietro come amuleto una noce a tre nodi, precedentemente benedetta da un sacerdote.

Ancora. Siccome "u nuci noci" (il noce nuoce), chi si pone sotto la sua ombra, per difendersi dal caldo, verrà subito assalito da febbre malariche e da cattivo umore contro i quali, stranamente, l'antidoto migliore risulta essere proprio una decozione di noci.

Secondo altre ancestrali credenze, alcuni alberi sono dimora degli spiriti e quindi sono dotati di ombre o anime; talvolta anzi si ritiene  siano le stesse anime dei morti a dar vita agli alberi. Questi spiriti, in genere, preferiscono prendere dimora in grandi alberi fronzuti, maestosi, e quando il vento agita le foglie si crede di sentirne la voce.

Spiriti e streghe, senza fissa dimora, tutti i sabati vanno immancabilmente a tenere i loro conciliaboli sotto un noce.

Ora, essendo la Campania la regione con il maggiore quantitativo di noci, proprio lì, e precisamente a Benevento, esisterebbe un noce prediletto che mantiene il primato su tutti gli altri.

Sotto quest'albero periodicamente, si ritrovano a presenziare congressi e simposi, moltitudini di streghe, fate e diavoli provenienti da tutte le parti ( il liquore Strega, che ancora si produce a Benevento e dà il nome al famoso Premio Strega, prende il nome da questa antica leggenda).

Per cui, quando si vuole significare che in un posto c'è molta confusione e baraonda si esclama: "E chi cc'è, u nuci ri Beneventu?!"  È l'equivalente, pressappoco, di un'altra frase assai familiare a Palazzolo e che suona così: "E chi cc'è, u cèusu ri Papài?!"

 IL CORRIERE DEGLI IBLEI,  ottobre 1996

2 commenti:

muscolino giovanni ha detto...

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