«Tre cose sottili sono il maggior sostegno del mondo: il sottil rivolo di latte dalla mammella della mucca dentro il secchio; la foglia sottile del frumento ancora verde sulla terra; il filo sottile sulla mano di una donna industriosa. Tre rumori di prosperità: il muggito di una mucca gonfia di latte; il tintinnio del ferro di una fucina; il fruscio di un aratro.» (The Trials of Ireland, secolo IX)

Luigi Faraci, artista dell’oro

E l’Immacolata, con la sua dolce e sinuosa facciata barocca, sta lì, come pronta ad ergersi a protezione di questa minuscola location

La lavorazione dell’oro è un’arte che trae le sue origini in tempi remotissimi. La sontuosa maschera funeraria del re egizio Tuthankhamon scomparso nel 1349 a. C., realizzata in oro massiccio unitamente alla bara, è un magnifico esempio della millenaria lavorazione artigianale del nobile metallo. Nelle necropoli egizie sono stati rinvenuti gioielli che risalgono al sesto millennio a. C. e poi, sempre in Africa, gioielli che risalgono a 40.000 anni fa e poi altri monili databili intorno 75.000 anni fa, sino ai reperti trovati in Algeria e in Israele che risalgono a 100.000 anni fa e che, al momento, sono ritenuti i primi gioielli dell’umanità nonché testimoni delle prime tracce della cultura umana. La storia dell’uomo e dell’intera umanità va ad intrecciarsi, dunque, con la storia dell’oro. Più tardi, molto più tardi, a cavallo tra la rivoluzione francese e quella industriale, la diffusione dell’arte orafa raggiunse il massimo sviluppo, grazie anche alla elaborazione di nuovi strumenti meccanici, utilissimi per la realizzazione di gioielli sempre più rifiniti. 

 

L’arte orafa di Luigi Faraci

Salendo lungo il “Corso” a destra, fin dove termina, all’ultimo, proprio all’ultimo numero civico, al 166, là, c’è il laboratorio di Luigi Faraci. Luogo appartato, quasi segreto, ricco di fascinazioni, da scoprire. E l’Immacolata, con la sua dolce e sinuosa facciata barocca, sta lì, come pronta ad ergersi a protezione di questa minuscola location, composta da tre minuscoli vani, dove, il maestro orafo Luigi mette sul banco tutta la sua bravura e il suo estro.

“Nato in mezzo all’oro”, vista la tradizione familiare nel campo della vendita dei preziosi sin dal 1968, Luigi,dopo un periodo di studio a Vicenza, la capitale dell'oro e dei gioielli, nel 1980 si trasferisce a Catania e all’ombra del Fortino frequenta la bottega orafa Zappalà (Cuoddu tortu). Un’esperienza fondamentale che lo forma dal punto di vista dell’abilità manuale e artistica e nel contempo gli fa acquisire i trucchi del mestiere. Più tardi si mette in proprio a Palazzolo, tuttavia per un certo periodo, continua a lavorare part-time presso la bottega del suo vecchio maestro catanese.  

«Sono 21 anni che faccio il mestiere di orafo» esordisce Luigi «e quindi posso ben dire di avere un congruo patrimonio di conoscenze sul campo, tale da consentirmi esiti sempre più lusinghieri. Per questa materia ci vuole creatività, pazienza, passione, altrimenti non si migliora. Io penso che la filosofia del vero artigiano orafo di oggi,  così come pure dell’artigiano di ieri, deve essere quella di esprimere in un oggetto tutta la sua creatività e la sua esperienza manuale, senza tener conto dei tempi e dei costi.

Agli inizi del mestiere, mi sono cimentato, manco a dirlo, nella realizzazione in oro degli stemmi dei quattro santi più festeggiati a Palazzolo, e poi nella riproduzione in miniatura delle loro statue.

A proposito dello stemma di san Paolo devo dire che mi è successo un fatto alquanto strano. Dopo avere realizzato la spada e le coroncine, dovevo tirare il filo a mezzaluna per modellare il piccolo serpente che si attorciglia attorno alla spada. In fusione non riuscivo a fissare né lo spessore, né la lunghezza giusta. Prova e riprova, alla fine ho invocato tra me e me il Santo affinché mi desse una mano. Non so né come né perché, fatto sta che, nella stiratura successiva la mezzaluna si è girata a forma di molla e si è bloccata al punto giusto. Sembrava proprio un serpentello, perfetto! Ho realizzato pure la statua di Maria santissima della Stella, di Militello Val di Catania. Ho riprodotto in oro la moneta coniata in Akrai raffigurante Demetra, e anche alcune maschere del teatro antico. Ho realizzato un piccolo Budda, e dietro ordinazione anche un… fallo in oro.

La mia produzione è eterogenea e spazia dal sacro al profano, santi, chiese, mitologie, collane, orecchini, anelli, spille, riproduzioni da foto, incisioni su lastre, su piastrine, loghi, stemmi, ecc. Ho creato il Clown d’Oro per il Festival internazionale del Circo che ogni anno si svolge a Siracusa. Ho coniato il trofeo “Papiro d’Oro” e “Papiro d’Argento” per il Premio Letterario Internazionale che, da più di dieci anni, si tiene a Siracusa, organizzato da una associazione di poeti e scrittori. E’ un papiro stilizzato, in oro 750 e in argento 925: sono orgoglioso di queste due mie “creature”. In ogni caso, qualsiasi manufatto, inventato o meno, ma realizzato a mano, diventa un’opera unica, anche se poi è riprodotto in serie; però, mai e poi mai un pezzo costruito artigianalmente è perfettamente uguale all’altro.  

Un'altra bella soddisfazione mi è stata data da un signore vicentino. Questi, avendo visto in vetrina un paio di preziosi orecchini a ciondolo con raffigurata una testa di Medusa in pasta vitrea, ed essendo il laboratorio chiuso perché c'era la festa di san Sebastiano, al suo rientro a Vicenza, dico Vicenza, mi ha chiamato per telefono e mi ha chiesto di spedirgli i due gioielli in contrassegno. Sono gratificazioni che ti stimolano e ti danno linfa vitale. Recentemente ho realizzato l’aureola e la spada di san Paolo che andrà a completare la statua in gesso, realizzata da Seby Leone, per conto del nuovo mulino “San Paolo” di contrada Saraceni. Lo stesso lavoro (aureola e frecce) ho eseguito per un san Sebastiano, ora collocato in una edicola nel quartiere convento. Ho pure realizzato in microfusione una raffinata collezione di gioielli caratterizzata da complicati intrecci su cui ho montato la Simetite, vale a dire l’ambra siciliana che, tra tutte, è una delle ambre più belle e più rare.  

Il mio è un lavoro artigianale al cento per cento. I semilavorati, chiusure, ganci, mollette,» fatti a macchina, li uso solo per le riparazioni, per avere sicurezza e funzionalità. I miei gioielli oltre che ai privati sono destinati alle oreficerie e ai grossisti».   

 

Luigi, in che cosa consiste la microfusione?  

«Fino ad una trentina di anni fa gli orafi nella tecnica della fusione usavano l’osso di seppia anche se la microfusione “a cera persa” è di origine antichissima e risale addirittura alle civiltà mesopotamiche e agli egiziani, se non prima. Oggi il successo di questa antica tecnica è dovuto alla possibilità di produrre in serie un considerevole numero di piccoli oggetti fusi in oro in una sola colata, con un risparmio di tempo ed una elevata qualità di esecuzione.  

Partendo da un’idea viene realizzato un modello in metallo povero, il quale si inserisce in uno stampo in gomma speciale che fungerà da matrice quando si inietta la cera orafa. Il modellino in cera ottenuto si chiude in un cilindro riempito di una miscela di acqua e gesso, dopodichè si mette nell’apposito forno elettrico, la cera va via e rimane e il calco in gesso dentro cui verrà versato l’oro liquido per la fusione. Il calco si conserva per la riproduzione di altri manufatti simili».    

 

Quali sono i ferri del mestiere più usati?

«Molti strumenti, usati dall'orafo artigiano di oggi, sono ancora tali e quali quelli in uso, ad esempio, in una bottega rinascimentale o agli inizi del secolo scorso. La lima nelle sue varie versioni, piatta o tonda o mezza tonda è l’attrezzo per eccellenza, poi c’è il seghetto, la serie dei martelletti, pinze, trapani e trapanini, morsetti, bulini, tenaglie, la briglia, il calibro. Di saldatori ce ne sono di tantissimi tipi, quello a gas è il più usato. E’ fornito di un cannello a soffio per dare pressione alla fiamma.

Tutti questi strumenti col passare del tempo divengono parte di noi stessi, c’è una sorta di adattamento fisiologico: tra lo strumento e la mano si stabilisce una specie di simbiosi. Per quanto riguarda le “macchine” c’è il vulcanizzatore per le gomme, il pantografo, l’iniettore di cera, il saldatore per la cera, il pantografo collegato al computer, la lucidatrice, l’aspiratore per aspirare le polveri d’oro; c’è il laminatoio elettrico per tirare il metallo a filo, a lastre, c’è il forno per la ricottura dei cilindri di gesso, per le colature della cera, ecc.

Infinec’è il punzone identificativo che serve per imprimere il titolo del metallo, ad esempio oro 750, argento 800, 925, ecc.».

 

IL CORRIERE DEGLI IBLEI, Novembre, 2009

3 commenti:

muscolino giovanni ha detto...

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