Per 32 anni, dal 1941 al 1973, fu parroco amato e zelante presso la Basilica di san Sebastiano. Andò via da Palazzolo il 30 giugno, per ritornare a Modica sua città natale. Lì continuò il suo magistero sacerdotale prendendo in cura le anime della parrocchia del “Cuore Immacolato di Maria” nella zona rurale di Crocevie; nel contempo collaborava il parroco della chiesa del Sacro Cuore, nel quartiere omonimo. In questa chiesa il 7 gennaio celebrò la sua ultima messa. P. Giovanni Giannone ha lasciato nell’animo di tutti quelli che lo conobbero un affettuoso e imperituro ricordo per le sue qualità umane e spirituali, per la dedizione al magistero sacerdotale, per il suo modo di fare gioviale, simpatico, accattivante.Entrando a san Sebastiano, ancora oggi, chi l’ha conosciuto, se per un istante lo richiama alla mente, sente risuonare la sua voce argentina, come ancestrale, dall’altare maggiore, dalla sagrestia, dalla canonica. Lo vede ancora, la sera della festa di san Sebastiano, assieme al comm. Bongiorno, sulla vara, in cotta e stola rossa, con quel suo atteggiamento ieratico e amabile allo stesso tempo, con quel sorriso a fior di labbra, gioioso: era veramente un bel vedere, anzi erano tre i bel vedere: san Sebastiano, Padre Giannone e il comm. Bongiorno.
La sua attività pastorale fu sempre intensa e ispirata al servizio della fede e dell’apostolato; l’omelia, il momento di proclamare la parola di Dio, lo appagava e lo esaltava in sommo grado. Chi non ricorda le sue prediche faconde, argute, incisive, pronunciate con quella voce vibrante e robusta che faceva tintinnare vetri e vetrini di tutte e dieci le ninfe di Murano da lui fatte installare. I fedeli, rapiti, lo ascoltavano in religioso silenzio, timorati. Chi non ricorda la sua voce tenorile e intonata nelle messe cantate, nel Magnificat, durante i vari riti liturgici? Chi non ricorda la sua Passione del Signore cantata la Domenica delle Palme, il Regina Coeli, l’Agnello di Dio? Chi non lo rivede ancora nell’altare maggiore, con la splendida pianeta a brusche dorate, genuflettersi compuntamente davanti al tabernacolo in una chiesa tutta assorta e attenta?
Ti ricordi Turuzzu (don Angelo Caligiore) le fredde serate d’inverno passate nel salone-catacombale di san Sebastiano a giocare a ping pong, a domino, a shangai, a Monopoli, a bigliardino, a preparare i presepi, a organizzare la pesca di beneficenza per il Natale, per la Pasqua? E lui padre Giovanni Giannone, assieme a don Giovanni Giannone (u nnicu, dal 1950 al 1960 vice parroco a san Sebastiano) tutti e due sempre presenti, pronti ad aiutarci, a giocare con noi, a farci crescere (tu poi sei cresciuto più di tutti, sei diventato prete, parroco, e nientemeno successore del nostro patri Giannoni u ranni. Chi te lo doveva dire?) ad impegnarsi per farci diventare uomini: fiamma bianca, verde, rossa, aspirante: la percorremmo tutta la “carriera” dell’Azione Cattolica assieme ai nostri coetanei del nostro quartiere. Ma… erano altri tempi e la domenica le chiese erano piene come un uovo… e la televisione la si vedeva nei bar il giovedì e il sabato sera.
Padre Giannone non era però solo un prete dalle alte qualità umane e spirituali, era anche un uomo caritatevole, tollerante, colto, al passo con i tempi. Aveva una visione ampia e chiara della vita che seppe affrontare con grande equilibrio e saggezza; seguiva con vivo interesse quanto accadeva nel mondo, le problematiche più attuali, la politica, si teneva aggiornato, gli piaceva leggere il giornale. Nella bella stagione lo si vedeva passeggiare da solo sul sagrato, con il breviario in mano a recitare l’Affiziu o a leggere il quotidiano arrivato fresco fresco. In inverno, con le giornate di sole si trasferiva sul ballatoio vetrato e lì pregando e passeggiando si crogiolava beato. Era abitudinario e tutti i giorni era solito fare le solite sedute: da Muddura, dai Calaciuri, da Paolino Casamichele, si fumava una bella sigaretta, faceva quattro passi in piazza con gli amici: gli piaceva coltivare il dialogo e l’amicizia, la diplomazia. Intratteneva rapporti con tutti, con persone della strada e con uomini di cultura, con persone vicine alla chiesa e con altre non propriamente tali e da tutti era visto con simpatia e deferenza.
Non esitò un solo istante a ringraziare il Commissario prefettizio Branca per il suo intervento provvidenziale in occasione dei gravi incidenti per la penuria di frumento occorsi il 16 dicembre 1945 a Palazzolo: “Nel momento in cui la nostra isola e la nostra città in particolare attraversano una crisi e una preoccupante inquietudine che sono sfociate nei dolorosi fatti del 16 dicembre (1945), Parroci e sacerdoti di Palazzolo … mi hanno dato incarico di comunicarle la loro decisa volontà di collaborazione, con tutte le forme della loro attività pastorale che investe direttamente le coscienze del popolo, ad una fattiva opera di pacificazione di ricostruzione morale…. Colgo l’occasione per augurare a Lei ogni bene e un proficuo lavoro a beneficio del popolo. Con distinti ossequi: Sac. Giovanni Giannone Parroco di S. Sebastiano”.
Fronte larga,
spaziosa, pochissimi capelli ingrigiti ai lati, una bella faccia, rotonda, dai
lineamenti delicati e dal colorito rosa sfumato; gli occhi castani con un
accenno di fossetta al mento, assomigliava tutto alla madre. Alto, figura
signorile, sguardo fermo, sempre in talare: ti metteva subito a tuo agio e in
soggezione nello stesso tempo, ma questa era immediatamente superata dalla sua
battuta pronta, scherzosa, sottilmente ironica, dalla sigaretta che ti offriva,
dal suo linguaggio colloquiale, schietto. Aveva un buon rapporto con tutti,
fedeli e non, parrocchiani e non, e da tutti per il suo naturale carisma, era
rispettato e tenuto nella massima considerazione.
A partire dal
mese di luglio, partecipava, assieme alla commissione dei festeggiamenti di san
Sebastiano, al porta a porta per la tradizionale questua per la festa. La sua
presenza e il suo stile garbato predisponevano sicuramente alla generosità i
fedeli, e la sera il cassiere, al tirar delle somme, ne aveva puntualmente
conferma. Anche il passaggio al Corso della commissione era un bel vedere:
Padre Giannone al centro, davanti, con le mani affondate, come d’abitudine,
nelle tasche della tonaca, con quel suo elegante incedere e dietro tutto il
codazzo a fargli da cornice: uno spettacolo! Questa bella coreografia, un pomeriggio
d’estate, la notò in lontananza Vicinzinieddu
Lapira, sarto da don Raffaele Miano, intento a lavorare assieme agli altri
colleghi sul marciapiedi davanti la bottega al civico 113 (il fratello Ciccinu, sarto anche lui, era sempre sul
Corso al n. 98): “Don Raffaele sta arrivando Padre Giannone con la commissione,
ca m’affari?”. “Ricitici ca nun ci sugnu!” fu la pronta risposta del mastro,
comunista e sanpaolese doc, e andò
subito a nascondersi dietro la tenda dello spogliatoio. Se non ché, siccome gli
uscivano i piedi da sotto la tenda salì sopra un ciruni, ma essendo alto gli usciva la testa da sopra e allora si
abbassò e si mise a ccuccumieddu. Arrivò
il corteo: “Picciuotti, buongiuornu,… chi
si rici?… U mastru unn’è?” esordì subito Padre Giannone con una certa
nonchalance. Lapira gli fece cenno con la mano di avvicinarsi e sempre a gesti,
ammiccando, lo fece accomodare dentro, quindi rapido come un felino aprì il
“siparo” e tutto contento, con un sorriso tra il sadico e il sornione, glielo
svelò senza pietà: “Cca c’è u mastru!”:
sulla scena, in primissimo piano c’era don Raffieli
tutto rappiccinato, coccoloni, con la
faccia che gli quagliava per la
vergogna.
Finita la
festa, dopo il 10 agosto, senza aspettare nemmeno la conclusione
dell’ottavario, Padre Giannone con la macchina seria assieme alla madre e alla cugina Maria Rosa, andava in ferie
a Modica, in villeggiatura nella sua casetta di campagna di contrada Biddiu (evidentemente era esausto per la
festa, ma soprattutto per aver dovuto tenere a bada i tanti membri della
commissione dei festeggiamenti che era ed è ancora l’impresa più
difficile). Lì stava a rilassarsi e a
ritemprarsi, per dieci, quindici giorni: rientrava dopo l’ottava, circa una
settimana dopo della velata di san
Sebastiano. Di questa sua abituale assenza alla chiusura dei festeggiamenti del
Santo, qualcuno se ne doleva e se ne lamentava, ma gliela perdonava subito,
perché fra tanti meriti che aveva un peccato veniale come questo era facilmente
scusabile.
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