«Tre cose sottili sono il maggior sostegno del mondo: il sottil rivolo di latte dalla mammella della mucca dentro il secchio; la foglia sottile del frumento ancora verde sulla terra; il filo sottile sulla mano di una donna industriosa. Tre rumori di prosperità: il muggito di una mucca gonfia di latte; il tintinnio del ferro di una fucina; il fruscio di un aratro.» (The Trials of Ireland, secolo IX)

Quando via Monastero diventava una "Las Vegas" nostrana

A  MARGINE DELLA FESTA DI SAN SEBASTIANO



PALAZZOLO ACREIDE - Le quattro feste religiose che in estate si celebrano a Palazzolo richiamano tantissima gente del posto e dai  paesi vicini. In particolare, i festeggiamenti del 10 agosto in onore di San Sebastiano nel cuore dell'alta stagione fanno registrare un enorme afflusso di forestieri e di emigrati che ritornano per le ferie. I bancarellari in questa festa, secondo la vecchia consuetudine, piazzano tavoli e bancarelle di giocattoli e di merce varia sui marciapiedi del Corso.

Fino ad una quarantina d'anni fa per la stessa ricorrenza veniva pure un'altra tipologia di bancarellari: erano i "venditori di pie illusioni". Erano quelli dei giochi (e giochetti) cioè, e del tiro a segno e si piazzavano tutti in via Monastero. Questa strada per tre giorni diventava una sorta di "Las Vegas" locale, capace di calamitare ragazzini, giovani e anche adulti; aveva lo stesso richiamo della mitica "voce che inonda di diletto il core" delle omeriche sirene ammaliatrici, con la sola differenza che ai Nostri non passava nemmeno per la testa di mettersi i tappi negli orecchi o di farsi legare all'albero maestro come ebbe a fare l'astuto Odisseo.


Sul lato sinistro dell'attuale fontanella, all'angolo di Palazzo Iudica, si piazzava con un tavolinetto "U Vizzinisi", un signore pelatissimo, dagli occhi grigi e dall'espressione dura, legnosa. Sul piano del tavolo era montato un arco scemo dal quale, sospesa ad una catenella, oscillava una palla di legno che "ipnotizzava" chiunque passasse. Il gioco consisteva nel lanciare in avanti la palla e colpire al ritorno il birillo posato alla base dell'arco. La posta in gioco era cinque volte la puntata. Prima di farti giocare, "U Vizzinisi" eseguiva lui stesso dei colpi dimostrativi: anche ad occhi chiusi era in grado di abbattere regolarmente il birillo. Semplicissimo. Provare per credere, un colpo dieci lire. Si teneva la palla in mano, si prendeva la mira, si calcolava la traiettoria, ma, la  palla, mai che al ritorno andasse a colpire il birillo, nemmeno per sbaglio. Si provava, si riprovava ma sempre con lo stesso risultato.

Appresso, un altro tipo con un altro piccolo tavolo al centro del quale era dipinto un cerchio bianco con il diametro di circa 30 cm. Ti metteva in mano sei  dischetti e dovevi andare a coprire completamente il cerchio: il dischetto una volta posizionato non si poteva spostare. Un colpo dieci lire, posta in gioco uno a cinque. A scopo dimostrativo provava lui stesso, il "titolare", e i sei dischetti posati rapidamente sul  cerchio lo coprivano per intero. Facilissimo. Si puntava e si provava, si ripuntava e si riprovava, ma, come per una sorta di maleficio, il cerchio non veniva mai completamente coperto dai sei "piccolissimi" dischetti di zinco. Restava sempre un lembo di bianco, scoperto. Un giro dieci lire, cinque cinquanta lire.

Accanto, un altro tavolo sgangherato "gestito" da un "catanese" che teneva in mano e in bella mostra un mazzo di allettanti banconote. Il gioco? Era quello classico delle tre carte, ancora oggi in uso e caratterizzato dalle repentine scomparse del saltimbanco con il malloppo al seguito, non appena l'aria diventa "pesante". Questa vince, questa perde, il re passa al centro, il cavallo a destra, la donna a sinistra, il re a destra, il cavallo a sinistra; scopertura di carte: questa vince, questa  perde, incrocio di carte e di mani, turbinìo, dov'è il re? Il "compare" di passaggio, "catanese" anche lui, con una zampata felina andava a scaraventare la sua puntata sul suo re, bloccandolo. Era proprio la carta giusta. Pagamento della vincita: cinque volte la puntata. Il "povero" gestore dopo tre quattro giri con il "fortunato" e abile avventore, rischiava la bancarotta. Ma, peggio per lui! Il capannello diventava consistente. Questa vince, questa perde, la donna, il cavallo, il re,  scopertura di carte, altro giro di valzer, il re è qua, il cavallo e lì, la donna... e chi se ne impipa, dov'è il re? Gli occhi, i tuoi occhi, incollati al re dal primo all'ultimo istante, non potevano tradirti. Zampata con puntata sul re. Roba da non crederci, il re si trovava da un'altra parte, in quella opposta. Altro giro, altri vincitori.

Appresso c'era il tavolinetto con il gioco dei dadi artatamente e rumorosamente sballottati dall'imbonitore dentro un bicchiere di alluminio, e un po' più in là un altro tavolo più grande con una specie di roulette rudimentale. Un disco con numeri in rosso e nero diviso a spicchi per mezzo di chiodini conficcati sulla circonferenza. Al centro, collegata ad un asse verticale, un'asta girevole con ad una estremità il calamo di una penna di gallina. Si puntava sull'incerata figurata che riportava esattamente i numeri e i colori del disco. Il "croupier" girava l'asta e dopo un po' la penna si fermava tra un chiodo e l'altro: quello era il settore vincente. "Firrialoru" lo chiama Pitrè:  "E' una specie di roulette ad uso e consumo del calamelaro e quasi  sempre a danno del giocatore poco abile ed esperto...".

Sul lato destro, subito dopo l'orinatoio, si piazzavano i baracchini con il tiro a segno e con il tiro a bersaglio costituito, quest'ultimo, esclusivamente da pacchetti di Wafers "Biancaneve" (era sempre e solo questa la marca). Difficilmente però si assaggiavano questi biscotti, e non perchè fossero dei "reperti" di antica data, ma piuttosto perchè, appena colpiti col tappo di sughero e abbattuti, si barattavano subito con cinque colpi "franchi", e tutto andava in gloria di S. Sebastiano. Anche al tiro a segno si sparava con carabine ad aria compressa che schizzavano un proiettile chiamato piumino: era una punta metallica con un ciuffettino di pelurie coloratissime che ti facevano impazzire: verde, rosso, giallo, blu, una meraviglia! Un gioco pericolosissimo, ma questo non importava a nessuno.

Alla mezzanotte del 10 agosto, poi, i mulunara, allocati sotto i portici dal lato di via C. Alberto, rompevano gli indugi e si mettevano a "vanniari" a squarciagola invadendo la via Monastero armati di coltelli sulle cui punte, a mo' di trofeo, rosseggiavano profondi tasselli di angurie di "Lentini". Le iperboli sul colore, sul gusto e sul prezzo del melone si sprecavano veramente. Erano gli ultimi scampoli di atmosfera della festa. San Sebastiano era già rientrato dalla processione serale e la gente si avviava verso "Palazzu" per assistere allo spettacolo finale dei fuochi pirotecnici. Subito dopo, le bancarelle incominciavano a sbaraccare e anche la via Monastero ritornava ad essere quella di tutti i giorni.

  Il Corriere degli Iblei, luglio-agosto 1998

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