«Tre cose sottili sono il maggior sostegno del mondo: il sottil rivolo di latte dalla mammella della mucca dentro il secchio; la foglia sottile del frumento ancora verde sulla terra; il filo sottile sulla mano di una donna industriosa. Tre rumori di prosperità: il muggito di una mucca gonfia di latte; il tintinnio del ferro di una fucina; il fruscio di un aratro.» (The Trials of Ireland, secolo IX)

ERAN VENTUNO: Patri Giannoni u ranni (Rev. Don Giovanni Giannone)

Tornò alla casa del Padre all’alba di uno sciroccoso 19 febbraio del 1979. Aveva 66 anni e da più di un mese era degente presso la divisione di urologia dell’Ospedale Umberto I di Siracusa. 
Per 32 anni, dal 1941 al 1973, fu parroco amato e zelante presso la Basilica di san Sebastiano. Andò via da Palazzolo il 30 giugno, per ritornare a Modica sua città natale. Lì continuò il suo magistero sacerdotale prendendo in cura le anime della parrocchia del “Cuore Immacolato di Maria” nella zona rurale di Crocevie; nel contempo collaborava il parroco della chiesa del Sacro Cuore, nel quartiere omonimo. In questa chiesa il 7 gennaio celebrò la sua ultima messa. P. Giovanni Giannone ha lasciato nell’animo di tutti quelli che lo conobbero un affettuoso e imperituro ricordo per le sue qualità umane e spirituali, per la dedizione al magistero sacerdotale, per il suo modo di fare gioviale, simpatico, accattivante.Entrando a san Sebastiano, ancora oggi, chi l’ha conosciuto, se per un istante lo richiama alla mente, sente risuonare la sua voce argentina, come ancestrale, dall’altare maggiore, dalla sagrestia, dalla canonica. Lo vede ancora, la sera della festa di san Sebastiano, assieme al comm. Bongiorno, sulla vara, in cotta e stola rossa, con quel suo atteggiamento ieratico e amabile allo stesso tempo, con quel sorriso a fior di labbra, gioioso: era veramente un bel vedere, anzi erano tre i bel vedere: san Sebastiano, Padre Giannone e il comm. Bongiorno.
La sua attività pastorale fu sempre intensa e ispirata al servizio della fede e dell’apostolato; l’omelia, il momento di proclamare la parola di Dio, lo appagava e lo esaltava in sommo grado. Chi non ricorda le sue prediche faconde, argute, incisive, pronunciate con quella voce vibrante e robusta che faceva tintinnare vetri e vetrini di tutte e dieci le ninfe di Murano da lui fatte installare. I fedeli, rapiti,  lo ascoltavano in religioso silenzio, timorati. Chi non ricorda  la sua voce tenorile e intonata nelle messe cantate, nel Magnificat, durante i vari riti liturgici? Chi non ricorda la sua Passione del Signore cantata la Domenica delle Palme, il Regina Coeli, l’Agnello di Dio? Chi non lo rivede ancora nell’altare maggiore, con la splendida pianeta a brusche dorate, genuflettersi compuntamente davanti al tabernacolo in una chiesa tutta assorta e attenta?
Ti ricordi Turuzzu (don Angelo Caligiore) le fredde serate d’inverno passate nel salone-catacombale di san Sebastiano a giocare a ping pong, a domino, a shangai, a Monopoli, a bigliardino, a preparare i presepi, a organizzare la pesca di beneficenza per il Natale, per la Pasqua? E lui padre Giovanni Giannone, assieme a don Giovanni Giannone (u nnicu, dal 1950 al 1960 vice parroco a san Sebastiano) tutti e due sempre presenti, pronti ad aiutarci, a giocare con noi, a farci crescere (tu poi sei cresciuto più di tutti, sei diventato prete, parroco, e nientemeno successore del nostro patri Giannoni u ranni. Chi te lo doveva dire?) ad impegnarsi per farci diventare uomini: fiamma bianca, verde, rossa, aspirante: la percorremmo tutta la “carriera” dell’Azione Cattolica assieme ai nostri coetanei del nostro quartiere. Ma… erano altri tempi e la domenica le chiese erano piene come un uovo… e la televisione la si vedeva nei bar il giovedì e il sabato sera.
Padre Giannone non era però solo un prete dalle alte qualità umane e spirituali, era anche un uomo caritatevole, tollerante, colto, al passo con i tempi. Aveva una visione ampia e chiara della vita che seppe affrontare con grande equilibrio e saggezza; seguiva con vivo interesse quanto accadeva nel mondo, le problematiche più attuali, la politica, si teneva aggiornato, gli piaceva leggere il giornale. Nella bella stagione lo si vedeva passeggiare da solo sul sagrato, con il breviario in mano a recitare l’Affiziu o a leggere il quotidiano arrivato fresco fresco. In inverno, con le giornate di sole si trasferiva sul ballatoio vetrato e lì pregando e passeggiando si crogiolava beato. Era abitudinario e tutti i giorni era solito fare le solite sedute: da Muddura, dai Calaciuri, da Paolino Casamichele, si fumava una bella sigaretta, faceva quattro passi in piazza con gli amici: gli piaceva coltivare il dialogo e l’amicizia, la diplomazia. Intratteneva rapporti con tutti, con persone della strada e con uomini di cultura, con persone vicine alla chiesa e con altre non propriamente tali e da tutti era visto con simpatia e deferenza.
Non esitò un solo istante a ringraziare  il Commissario prefettizio Branca per il suo intervento provvidenziale in occasione dei gravi incidenti per la penuria di frumento occorsi il 16 dicembre 1945 a Palazzolo: “Nel momento in cui la nostra isola e la nostra città in particolare attraversano una crisi e una preoccupante inquietudine che sono sfociate nei dolorosi fatti del 16 dicembre (1945),  Parroci e sacerdoti di Palazzolo … mi hanno dato incarico di comunicarle la loro decisa volontà di collaborazione, con tutte le forme della loro attività pastorale che investe direttamente le coscienze del popolo, ad una fattiva opera di pacificazione di ricostruzione morale…. Colgo l’occasione per augurare a Lei ogni bene e un proficuo lavoro a beneficio del popolo. Con distinti ossequi: Sac. Giovanni Giannone Parroco di S. Sebastiano”. 
Fronte larga, spaziosa, pochissimi capelli ingrigiti ai lati, una bella faccia, rotonda, dai lineamenti delicati e dal colorito rosa sfumato; gli occhi castani con un accenno di fossetta al mento, assomigliava tutto alla madre. Alto, figura signorile, sguardo fermo, sempre in talare: ti metteva subito a tuo agio e in soggezione nello stesso tempo, ma questa era immediatamente superata dalla sua battuta pronta, scherzosa, sottilmente ironica, dalla sigaretta che ti offriva, dal suo linguaggio colloquiale, schietto. Aveva un buon rapporto con tutti, fedeli e non, parrocchiani e non, e da tutti per il suo naturale carisma, era rispettato e tenuto nella massima considerazione.
A partire dal mese di luglio, partecipava, assieme alla commissione dei festeggiamenti di san Sebastiano, al porta a porta per la tradizionale questua per la festa. La sua presenza e il suo stile garbato predisponevano sicuramente alla generosità i fedeli, e la sera il cassiere, al tirar delle somme, ne aveva puntualmente conferma. Anche il passaggio al Corso della commissione era un bel vedere: Padre Giannone al centro, davanti, con le mani affondate, come d’abitudine, nelle tasche della tonaca, con quel suo elegante incedere e dietro tutto il codazzo a fargli da cornice: uno spettacolo! Questa bella coreografia, un pomeriggio d’estate, la notò in lontananza Vicinzinieddu Lapira, sarto da don Raffaele Miano, intento a lavorare assieme agli altri colleghi sul marciapiedi davanti la bottega al civico 113 (il fratello Ciccinu, sarto anche lui, era sempre sul Corso al n. 98): “Don Raffaele sta arrivando Padre Giannone con la commissione, ca m’affari?”. “Ricitici ca nun ci sugnu!” fu la pronta risposta del mastro, comunista e sanpaolese doc, e andò subito a nascondersi dietro la tenda dello spogliatoio. Se non ché, siccome gli uscivano i piedi da sotto la tenda salì sopra un ciruni, ma essendo alto gli usciva la testa da sopra e allora si abbassò e si mise a ccuccumieddu. Arrivò il corteo: “Picciuotti, buongiuornu,… chi si rici?… U mastru unn’è?” esordì subito Padre Giannone con una certa nonchalance. Lapira gli fece cenno con la mano di avvicinarsi e sempre a gesti, ammiccando, lo fece accomodare dentro, quindi rapido come un felino aprì il “siparo” e tutto contento, con un sorriso tra il sadico e il sornione, glielo svelò senza pietà: “Cca c’è u mastru!”: sulla scena, in primissimo piano c’era don Raffieli tutto rappiccinato, coccoloni, con la faccia che gli quagliava per la vergogna.

Finita la festa, dopo il 10 agosto, senza aspettare nemmeno la conclusione dell’ottavario, Padre Giannone con la macchina seria assieme alla madre e alla cugina Maria Rosa, andava in ferie a Modica, in villeggiatura nella sua casetta di campagna di contrada Biddiu (evidentemente era esausto per la festa, ma soprattutto per aver dovuto tenere a bada i tanti membri della commissione dei festeggiamenti che era ed è ancora l’impresa più difficile).  Lì stava a rilassarsi e a ritemprarsi, per dieci, quindici giorni: rientrava dopo l’ottava, circa una settimana dopo della velata di san Sebastiano. Di questa sua abituale assenza alla chiusura dei festeggiamenti del Santo, qualcuno se ne doleva e se ne lamentava, ma gliela perdonava subito, perché fra tanti meriti che aveva un peccato veniale come questo era facilmente scusabile.

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