«Tre cose sottili sono il maggior sostegno del mondo: il sottil rivolo di latte dalla mammella della mucca dentro il secchio; la foglia sottile del frumento ancora verde sulla terra; il filo sottile sulla mano di una donna industriosa. Tre rumori di prosperità: il muggito di una mucca gonfia di latte; il tintinnio del ferro di una fucina; il fruscio di un aratro.» (The Trials of Ireland, secolo IX)

ERAN vENTUNO: Don ‘Mmastianu u Sangiuvannaru circa ri muonucu (Sebastiano Valvo)



Nelle lunghe mattinate di primavera la voce bassa e stentorea di don  Mmastianu penetrava fin recessi più intimi delle case ed era come un annuncio ufficiale della buona stagione. 

Don ‘Mmastianu u Sangiuvannaru faceva l'ortolano e nel contempo vendeva le primizie (quelle vere, al tempo giusto, maturate al sole) e i prodotti freschi dell'orto girando per il paese. La sua vanniata animava le strade di Palazzolo e faceva parte integrante di quell'atmosfera familiare che caratterizzava il modus vivendi dei piccoli centri dove tutto diventa consueto: le persone, i segni, i suoni, le voci.

Il collaboratore più prezioso di don ‘Mmastianu era l'asino; anzi le asine erano due: la sua e quella del fratello. Una settimana girava con la sua e l'altra settimana con la scecca grande del fratello Salvatore, essendo con quest'ultimo in società al cinquanta per cento. Entrambi erano gelosissimi ognuno della propria cavalcatura ed entrambi coltivavano l’orto di loro proprietà in contrada S. Giovanni. Da questo toponimo gli derivava il soprannome di Sangiuvannari, a cui più tardi fu aggiunto l'altro appellativo di circa ri monucu, per distinguerli dai Sangiuvannari barbaini, e da quelli di contrada Purbella. Questo soprannome di rinforzo, circa ri muonucu (cresta di monaco), gli derivava dal fatto che in una delle grotte ricadenti nei suddetti orti c’è un graffito raffigurante un monaco, sulla cui testa campeggia una vistosa aureola, somigliante, più che altro, ad una cresta di gallo, da cui: circa ri muonucu.
L’orto era  nu diliziu. L’abbondanza dell’acqua proveniente dal fiumiciattolo di san Giovanni permetteva l’adacquamento degli ortaggi e favoriva la crescita degli alberi e la produzione dei frutti: gelsi neri, bianchi, nocciole, melagrane, nespole, ciliegie, uva, fichi, fichi d’India, noci, loti. Poi,  il prezioso organico delle due asine, diligentemente assumatu e sapientemente distribuito, completava l’opera: tutto cresceva rigoglioso e al naturale.
Don Mmastianu iniziava il suo giro quotidiano sempre dal quartiere Palazzo. Ai fianchi dell'asina erano legati due grandi corbelli, alti quanto un uomo. Da questi, tirava fuori - come da un cilindro magico - ogni sorta di verdura fresca e qualche volta, a turno, anche qualcuno dei suoi marmocchi quando si ostinavano a volergli andare appresso. Durante il giro, raramente scendeva dalla bestia; stando in groppa, era capace di compiere qualsiasi operazione: pescare la verdura richiesta, riscuotere il denaro, tirare fuori dai taschini del gilè gli spiccioli per il resto.
L'umido degli orti gli era entrato fin nell'essenza delle ossa. L’artrite reumatoide, partita dal piede e diagnosticatagli a quei tempi da un rinomato aggiustaossa di Canicattini come mancatura,  gli mangiava la mani e le gambe compromettendogli senza rimedio la funzionalità articolare. E allora, il fratello si occupava dei lavori più pesanti, piantava, zappava, scirbava, irrigava, e lui, invece, aveva cura del confezionamento degli ortaggi appena colti: ammazzolava i broccoli, i trunza, l'indivia, la lattuga, le foglie di tenerume; confezionava i fagiolini in cartocci fatti con foglie di fico o di cavolo; impilava la merce dentro la cruvedda. Andavano d’amore e d’accordo, e il fratello, non si risparmiava di certo.
Dopo mangiato, nei pomeriggi d’estate, tutti e due si mettevano e a riposare per un’oretta nella grotta del “monaco” e lì schiacciavano un pisolino ristorati dalla frescura del San Giovanni e dalla roccia pregna di umidità. La sera poi, al termine di una giornata di lavoro, si sedevano sui due ccippi sotto il fico davanti la grotta, e lì avveniva la spartizione. Don Mmastianu tirava fuori i soldi dalla bbunaca, li scaraventava sulla bbuffittina e incominciava: “50 lire a te, 50 lire a me; 10 lire a te, 10 lire a me, 5 lire a te, 5 lire a me…”.
Era alto, magro, un po' contratto e incurvito dai dolori e dal mestiere. Aveva degli occhi neri e mansueti e una faccia lunga e incavata, scarna, dall’espressione bonaria ma dai tratti decisi, incorniciata da folte sopracciglia e da una barba nera e ispida ammazza-Gillette, una barba che sembrava una siepe bruciata di fresco, dentro la quale di tanto in tanto si spegneva un sorriso malinconico, appena abbozzato. Portava di solito una coppola che, per la vecchiezza e per l'umidità, anch'essa era diventata curva tale e quale una tegola e le poche volte che se la toglieva metteva in mostra una testa seminuda bianca lattea, in contrasto con il viso e il collo color mogano bruciati dal sole e dal lavoro.  
Nonostante la malattia progressiva e fortemente debilitante, don ‘Mmastianu era un lavoratore infaticabile e da buon padre riusciva a mantenere la moglie e i quattro figli maschi con grande dignità e con grandi sacrifici viste le sue precarie condizioni di salute. 
La vanniata di don ‘Mmastianu u Sangiuvannaru circa ri monucu - era assolutamente inconfondibile, sia per la difficile comprensione di alcune parole e sia per la particolare modulazione, che, nel finale, assumeva una tonalità quasi sommessa. Ricordo che da ragazzo ho avuto un lampo di soddisfazione, quando, finalmente sono riuscito a decifrare le parole che per tanto tempo mi erano state assolutamente incomprensibili. Ancora oggi, a distanza di tantissimi anni, mi fanno eco dentro gli orecchi: ‘a fasuliedda tennira (il fagiolino), ‘a 'nsalata (la lattuga), ‘a tinniriumi (i tenerumi di zucca, le cime), i trunzidda tienniri, (i cavoli),  ‘u cicuriuni (la cicoria a foglie larghe).
Oggi  la sua voce non riecheggia più per le strade di Palazzolo, e, assieme alla sua, si avverte pure la mancanza delle vanniate degli altri ambulanti locali che davano una intima nota di folklore e di costume alle nostre strade e alle nostre piazze.

2 commenti:

Unknown ha detto...

Meraviglioso, nulla e niente potrà riprodurre tale tratto della vita comune dei nostri tempi, tratteggi della natura, tutto vero ed autentico, essenziale, umano, semplice, bello, gioioso, pur nelle condizioni di apparente e vera povertà, ma di una ricchezza sociale immensa. Eravano noi! Grazie all'autore.

Dio non dimentica nessuno ha detto...



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