Cci rissi 'u surci â nuci: "rammi tiempu ca ti pierciu"
Dalla settimana prima di S. Michele alla prima decade di ottobre: è questo più o meno il periodo propizio per la raccolta delle noci dalle nostre parti; il mallo va in maturità e lascia libero il guscio, pronto per essere bacchiato.
Anche le gazze e i topi si danno un gran daffare per
fare incetta del delizioso frutto. Le gazze artigliato l'oggetto del loro
desiderio volano alto e quindi lo lasciano cadere in modo da far spaccare il
guscio e così piombare immediatamente sul gheriglio. A volte non centrano
l'obiettivo e allora il seme giace in mezzo al terreno: in quel punto nasce una
nuova pianta.
I topi, specialmente fino a qualche decennio fa quando
nelle campagne la frutta si raccoglieva completamente tutta e si faceva piazza
pulita, si ostinavano a rosicchiare sistematicamente e con pazienza certosina il
guscio (da qui il famoso detto:" Cci
rissi 'u surci â nuci: "rammi tiempu ca ti pierciu") fino a
quando arrivavano al gheriglio di cui vanno letteralmente pazzi.
Il noce cresce bene in collina. Nella nostra placca,
quella iblea, predilige le "cave", calcaree, bianche, sublimate
dalla frescura di torrenti e di fiumi
frammentati da candidi letti carsici e invisibili per lunghi tratti (il caso dell'Anapo,
"invisibile", è emblematico).
Un tempo quest'albero era immancabile vicino alle case
di campagna, ma oggi l'usanza si sta perdendo perchè il noce, con la maestosità della sua chioma, può creare
qualche problema. E' una pianta che entra nelle nostre case sotto forma di
mobili, di frutta, di liquori, di medicinali, di sostanze coloranti, e una
volta anche sotto forma di olio; un olio dal colore chiaro e dal gusto quasi
inesistente, ma buono per chi non disponeva d'altro. E' noto a questo proposito
l'episodio del miracolo delle noci nel capolavoro del Manzoni: "...
dopo un così gran fatto la cerca delle
noci rendeva tanto che un benefattore, mosso a compassione del povero
cercatore, fece al convento la carità di un asino, che aiutasse a portare le
noci a casa. E si faceva tant'olio che ogni povero veniva a prenderne, secondo
il suo bisogno". Per di più, il panello residuo delle noci torchiate è un
ottimo foraggio per il bestiame.
Il legno, compatto ed elastico e dalle bellissime
venature brunate, veniva impiegato per fabbricare mobili di grande pregio:
tavoli, canterani, cassapanche, armadi e casserizi
di sacrestie, vecchi telai per la tessitura. Inoltre, per la sua durata e
resistenza, veniva usato anche dai carradori per la costruzione di quelle parti
del carretto soggette a maggiore usura. Oggi, comunque, in questo campo il noce
nostrano è stato surrogato da quello del Tanganica, ma è chiaro che il
confronto non regge.
Per quanto riguarda il frutto e il suo valore
commerciale, bisogna ricordare che fino ad un paio di decenni fa, a Palazzolo,
nella settimana di S. Michele e anche prima, arrivavano i
"Napoletani", vale a dire grossi mediatori e commercianti di noci che
ne compravano intere partite per spedirle in Campania, dove pulite e imbiancate
diventavano "noci di Sorrento". Una riprova, questa, dell'ottima
qualità e del mercato che hanno le nostre noci.
Haiu
quattru figghi 'n cammisedda
Le noci vanno bacchiate e raccolte durante le giornate
asciutte e se possibile al mattino presto o alla sera, perchè il caldo
eccessivo fa perdere il candore del gheriglio che diviene subito scuro. Ed è
meglio se la bacchiatura avviene in due riprese, a distanza di 10-15 giorni,
perchè i marruna, cioè le noci ancora
fortemente attaccate al mallo e al ramo, avranno il tempo di maturare e di
aprirsi anche loro. In ogni caso è sempre consigliabile eliminare rapidamente
il mallo, anche se a farne la spese saranno le dita delle mani che vengono irrimediabilmente
macchiate dal tannino.
I gherigli hanno un altissimo valore nutritivo e si
consumano sia allo stato fresco (e in questo caso si spiluccano sfiziosamente
spogliandoli a poco a poco della loro cammisedda),
sia come frutta secca. Appena raccolte, le noci vanno prontamente essiccate per
mantenere chiaro il colore di questa pellicina (cica) che ricopre il gheriglio
e per evitare un'eccessiva umidità causa di muffe. Quando il guscio risulta
scuro si sbianca immergendolo per mezzo minuto in una soluzione di ipoclorito
diluito con acqua. Si mettono quindi ad essiccare sempre a terra all'ombra, in locali
asciutti e ventilati e si rivoltano almeno una volta al giorno. Le noci sono
pronte per essere conservate nel momento in cui le membrane legnose che
suddividono il gheriglio non sono più molli e carnose ma sono diventate secche
e fragili. Assieme alle castagne e ai fichi secchi, erano i doni immancabili
che i morti in Sicilia lasciavano ai bambini nella notte tra il 1° e il 2
novembre. A Palazzolo, inoltre, il primo novembre era tradizione consumare la
pasta con le noci, come ci fa sapere padre Giacinto Farina nella sua Selva:
"Ognissanti. Nel ceto basso vi è l'uso dei maccheroni colle
noci...".
Per rimanere sempre nella zona iblea, a Modica, per
Natale, vengono confezionati i "nucatili",
dolci con ripieno costituito esclusivamente da pasta di noci tritate. Si tratta
di una variante dei nostri "ciascuna",
ripieni, questi, di fichi secchi.
Il nocino, invece, è un liquore che appartiene di
striscio alla nostra tradizione. In ogni caso, per un nocino corposo, morbido e
filante, ecco gli ingredienti: noci acerbe con relativo mallo, alcool puro,
vino bianco secco, acquavite, zucchero, chiodi di garofano, corteccia di
cannella, miele e acqua. Lasciare maturare e riposare in cantina per più di un
anno.
Ma, il "nocino" è anche un gioco fatto con le
noci appena bacchiate, già conosciuto fin dai tempi di Plinio, e che a
Canicattini, i ragazzi fino a qualche
anno fa praticavano per S. Michele: si sovrappongono e si mettono in
riga gruppi di tre, quattro noci (i
micchiri) contro i quali si lancia un'altra noce (u baddu): si vincono tutte le noci che cadono dal castelletto.
Ogni
sabato streghe e diavoli sotto il noce
Secondo la credenza popolare il noce è un albero
maledetto: chi pianta alberi di noci è destinato a morire appena il tronco
diventa grosso quanto la sua testa (meglio aspettare che siano le gazze a
"piantarlo"!). Inoltre quest'albero ha una grande attrazione per i
fulmini e i tuoni contro i quali ci si può difendere solo portandosi dietro
come amuleto una noce a tre nodi, precedentemente benedetta da un sacerdote.
Ancora. Siccome "u
nuci noci" (il noce nuoce), chi si pone sotto la sua ombra, per
difendersi dal caldo, verrà subito assalito da febbre malariche e da cattivo
umore contro i quali, stranamente, l'antidoto migliore risulta essere proprio
una decozione di noci.
Secondo altre ancestrali credenze, alcuni alberi sono
dimora degli spiriti e quindi sono dotati di ombre o anime; talvolta anzi si ritiene
siano le stesse anime dei morti a dar
vita agli alberi. Questi spiriti, in genere, preferiscono prendere dimora in
grandi alberi fronzuti, maestosi, e quando il vento agita le foglie si crede di
sentirne la voce.
Spiriti e streghe, senza fissa dimora, tutti i sabati
vanno immancabilmente a tenere i loro conciliaboli sotto un noce.
Ora, essendo la Campania la regione con il maggiore
quantitativo di noci, proprio lì, e precisamente a Benevento, esisterebbe un
noce prediletto che mantiene il primato su tutti gli altri.
Sotto quest'albero periodicamente, si ritrovano a
presenziare congressi e simposi, moltitudini di streghe, fate e diavoli provenienti
da tutte le parti ( il liquore Strega, che
ancora si produce a Benevento e dà il nome al famoso Premio Strega, prende il
nome da questa antica leggenda).
Per cui, quando si vuole significare che in un posto c'è
molta confusione e baraonda si esclama: "E
chi cc'è, u nuci ri Beneventu?!" È l'equivalente, pressappoco, di un'altra
frase assai familiare a Palazzolo e che suona così: "E chi cc'è, u cèusu ri Papài?!"
2 commenti:
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