«Tre cose sottili sono il maggior sostegno del mondo: il sottil rivolo di latte dalla mammella della mucca dentro il secchio; la foglia sottile del frumento ancora verde sulla terra; il filo sottile sulla mano di una donna industriosa. Tre rumori di prosperità: il muggito di una mucca gonfia di latte; il tintinnio del ferro di una fucina; il fruscio di un aratro.» (The Trials of Ireland, secolo IX)

I bombardamenti del luglio 1943 a Palazzolo

Il drammatico racconto di un testimone del tempo: il prof. Erminio Pricone

È il drammatico racconto di un cittadino palazzolese testimone del tempo: il prof. Erminio Pricone. Il dattiloscritto mi fu affidato con la più ampia facoltà di disporne come e quando avrei voluto. Nel più assoluto rispetto della memoria di chi più non è, ho ritenuto opportuno pubblicarlo così come, allora (il 6 giugno 2000), mi fu consegnato.

Sul questo stesso Blog si potrà leggere un mio articolo già pubblicato su "Il Corriere degli Iblei" dal titolo "Luglio 1943: cinquant'anni fa una lapide in memoria". La lapide, come è noto, fu apposta all'inizio del Corso Vittorio Emanuele per onorare le vittime innocenti di questa gravissima e indimenticabile tragedia compiutasi a Palazzolo nello spazio di 24 ore.

Nello Blancato

 


 

9,10 LUGLIO 1943: BOMBE SULLA CITTÀ.

Era un caldo pomeriggio di un luglio caldo e afoso. In quel periodo i negozianti, in attesa di clienti, solevano sedere all'ombra, davanti i rispettivi negozi.

Dove ha sede l'attuale Banco di Sicilia, c'era un vecchio edificio con vari negozi sottostanti. In uno di questi si trovava il negozio di radio e dischi di Paolino Casamichele. Stavamo seduti davanti la porta, cercando in po' di refrigerio all'ombra del palazzo: io, Paolo Casamichele e il mio padrino Sebastiano Carta. I discorsi erano sempre gli stessi: la guerra che andava male per l'Italia, i continui bombardamenti aerei, i generi alimentari che si faceva fatica a trovare.

Erano circa le ore diciotto e quindici. Si sentiva in lontananza il già conosciuto rombo degli aerei nemici che, quotidianamente, sorvolavano Palazzolo, per scaricare il loro micidiale carico di bombe su Catania, Augusta o su altre basi militari. Ormai tutti avevamo fatto l'abitudine a questi passaggi, considerandoci, chissà poi perchè, immuni da qualsiasi pericolo. Eppure Palazzolo era una base militare di una certa importanza.

Infatti c'erano di stanza, in pieno centro del paese, l'intero 75° Fanteria, con relativi comandi di reggimento e di divisione, un autoparco e uno squadrone di carri armati M3 parcheggiati dentro la villa comunale, un reparto di telecomunicazioni germanico, reparti logistici e di sanità, con rispettivo ospedale, posto dentro il convento dei Padri Cappuccini. Pertanto v'erano motivi sufficienti per stare in allarme.

Invece, il paese sembrava sempre in festa, per la presenza costante dei militari, la cui fanfara, tutte le domeniche, suonava in piazza.

Il rombo degli aerei si avvicinava sempre più e infine sbucarono sopra i tetti provenienti da sud, probabilmente dall'Africa. Volavano a bassa quota ed io iniziai il conteggio: due, quattro, dieci, sedici, trentadue... Erano appena spariti dallo spazio di cielo sopra di noi, quando... un tremendo boato si scaricò sulle nostre teste. Saltammo tutti dentro il negozio, anche il ragioniere Cassarino che in quel momento passava di lì, e stringendoci sui muri, spaventatissimi, pregavamo in silenzio. Il bombardamento continuava implacabile.

Intanto la polvere sollevata dalle abitazioni distrutte, oscurò il sole; il Corso, immediatamente, si riempì di detriti, volavano grosse pietre e pezzi di travi. La morte era scesa sullo sventurato paese.

Alla prima, seguì la seconda ondata di bombardieri che, indisturbati, scaricarono il loro micidiale carico mortale. Gli Americani usavano bombardare senza mirare il bersaglio, al contrario degli Inglesi, per cui i loro bombardamenti a tappeto centravano indifferentemente obiettivi civili e militari.

Così al terzo anno di guerra anche Palazzolo ebbe il suo battesimo di distruzione e di morte, preludio all'imminente invasione della Sicilia.

 

DOPO IL PRIMO BOMBARDAMENTO

Allontanatisi i bombardieri, e terminato il terrorizzante rumore delle deflagrazioni, un silenzio sepolcrale scese sulla città. Mi affacciai preoccupatissimo alla porta del negozio e, ancora, non volevo credere a quanto era appena successo.

Il mio pensiero andò alla mia famiglia. Cosa sarà successo a miei?

Corsi a chiudere il mio negozio, senza riuscirvi, perchè i detriti ne ostacolavano la chiusura. Stavo per andare via, allorchè una voce lontana mi chiamò. All'angolo di via Maddalena, vidi il mio carissimo amico Meno Caligiore, con la faccia imbrattata di sangue, accompagnato da un militare, che se ne andò appena mi avvicinai.

Non sapevo che fare, ero in ansia per la mia famiglia, ma non potevo abbandonare il mio amico ferito. Ci avviammo verso l'infermeria che si trovava nelle vicinanze. Qui vidi arrivare i primi feriti e qualche cadavere.

Ero sempre più spaventato. Cercavo d'interessare qualche ufficiale medico, ma la confusione cresceva e nessuno interveniva.

Il tenente Buonavolontà, che poi sposò una signorina del luogo, della famiglia Messina, andava avanti e indietro sbigottito e senza meta.

Non potendo cavare un ragno dal buco, lavai le ferite con l'acqua di una botte e mi accorsi che, per fortuna, il sangue proveniva da numerose escoriazioni del cuoio capelluto. Visto che non c'era nulla di grave, andammo via con l'intento di accompagnarlo a casa sua.

Fu allora che incominciai a rendermi parzialmente conto dei danni arrecati dalle bombe, vedendo le prime abitazioni rase al suolo. La prima fu quella di don Ciccio Infantino CUCO, sulle cui macerie dovemmo passare.

Verso la piazza s. Michele incontrammo Capriotti Giosefatte, a cui affidai il mio amico, essendo quello un suo parente e un vicino di casa.

 


Fui felice di poter, infine, volare verso casa. Mia madre e mia sorella mi attendevano; per fortuna tutto era in ordine.

Raccattammo qualcosa e ci avviammo verso la zona archeologica, dove trovavasi mio padre, che tutti i pomeriggi si recava nella nostra vigna.

Il tragitto fu faticosissimo, essendo la mulattiera totalmente impraticabile, mentre le gambe molle per la paura, si rifiutavano di camminare.

Sempre più ci s'incontrava con altra gente che fuggiva in campagna e qualche ferito. Ricordo, in particolare, il mio amico Turuzzo Magro (Varrachedda) con la faccia annerita come un africano e la maggiore delle sorelle Zampetti, che aveva le braccia e le mani bendate, perchè s'era ferita calandosi dal balcone centrale del Municipio, lungo i fili spezzati e scoperti della luce, assieme a parecchie altre colleghe.

Mio padre fu felice del nostro arrivo e ci raccontò che, mentre  guardava il bombardamento, il paese si coprì di un polverone che saliva al cielo e vide letteralmente esplodere il villino del parroco Calleri (ora del dott. Luigi Lantieri) al Santicello, uccidendo un'intera famiglia di Siracusani che, credendo di salvarsi dalla guerra, si erano trasferiti a Palazzolo credendolo più sicuro.

 


Pensavamo di essere soli. Invece a poco a poco incominciarono ad arrivare parenti ed amici, per cui verso sera ci ritrovammo una sessantina di persone circa. Naturalmente non c'era posto per tutti, per cui ci accomodammo come meglio si poteva in quella tragica circostanza.

Purtroppo i miei zii Corallo-Mazzeo erano venuti su senza aver potuto ritrovare il figliolo più piccolo di tre anni, sparito durante il bombardamento.

Il suo cadaverino fu ritrovato sotto le macerie, quando queste furono rimosse, mentre il suo compagnetto di giochi rimase indenne, Papa Felice.

Il caldo torrido del giorno appena trascorso, improvvisamente, durate la notte, si trasformò in un freddo quasi polare, che mise a dura prova la resistenza di tutti quelli che eravamo sul terrazzo a contemplare increduli e terrorizzati l'orizzonte verso Siracusa.

Eravamo privi di qualsiasi notizia sugli avvenimenti che stavano per travolgerci. Il cielo di Siracusa e di tutta la costa sud-orientale era in fiamme. Un bagliore rossastro e un lampeggiamento ininterrotto si vedeva all'orizzonte e tutto ciò durò fino all'alba.

In mattinata ci trasferimmo dentro la Necropoli dell'antica Acre e la massa dei fuggiaschi che, intanto, era enormemente aumentata, prese posto dentro gli antichi loculi funerari. Ogni famiglia vi si sistemò come in un proprio appartamento. Mischiati tra i civili, c'erano non pochi militari e, specialmente, un reparto ciclista.

In mattinata nella nostra stessa grotta, si riunì lo stato maggiore del 75° Fanteria, di cui ricordo il generale Greco e il colonnello Morettini che, dispiegando una carta topografica della zona, discutevano sul modo di opporre qualche resistenza.

Infatti, poco dopo, il reparto si allontanò per ritornare dopo alcune ore completamente disfatto. In zona Bibbinello s'era scontrato con l'avanguardia dell'8° Armata britannica e il reparto ciclista si squagliò senza opporre resistenza.

Io avevo tra i militari alcuni conoscenti, con i quali ci s'incontrava al caffè e si giocava al biliardo: i sottufficiali Gentile e Pampalloni che mi confermarono l'avvenuto sbarco, durante la notte, su tutta la costa da Augusta a Gela, delle Armate Britanniche ed Americane.

L'8° Armata inglese, sbarcata a Pachino, si diresse verso Noto e Palazzolo, dove entrò dopo un lungo cannoneggiamento nel pomeriggio del 12 luglio 1943.

Intanto la mattina del 10 luglio, un secondo e più massiccio bombardamento aereo di velivoli americani, scaricò, ancora, tonnellate di bombe sul martoriato paese, uccidendo altri civili e numerosi militari. Fra questi notai numerosi reduci dal fronte russo, riconoscibili dalla decorazione tedesca della Croce di Ferro, che avevano sul risvolto della giubba.

Non si è mai saputo il numero esatto delle vittime dei due bombardamenti: si disse che ci furono700 morti, fra cui 130 civili.

L'8° Armata britannica fu bloccata dai reparti dell'Asse nella piana di Catania, dove subì notevolissime perdite durante 23 giorni di aspra lotta.

Ricordo l'incessante passaggio di truppe che dalla zona dello sbarco si dirigevano verso il fronte e il doloroso rifluire verso il mare di colonne di ambulanze, che trasportavano i feriti verso le navi ospedali, che ripartivano verso la Tunisia.

Noi civili eravamo, ancora, privi di notizie certe, non essendoci la corrente elettrica per ascoltare la radio.

Non posso dimenticare il mio sgomento, quando, per la prima volta,vidi transitare dal Corso i mastodontici carri armati inglesi, che con i loro cannoni puntati, sfioravano i balconi delle case, mentre i carristi fuori dalle torrette , facevano il classico segnale a "V" di vittoria di Churchill e, pertanto, non potevo fare a meno di confrontarli con i lillipuziani M3 italiani, che avevamo soprannominato "scatolette di sardine"

Erminio Pricone 

Pubblicato su Iblon, giornale online luglio 2013

5 commenti:

Paolo D'Angelo ha detto...

Io, Paolo D'Angelo, avevo nove anni e questo racconto, l'ho vissuto in Piazza Pretura, dove adesso c'è la piazzola spartitraffico e lì contavo gli aerei, come i giorni precedenti quando gli aerei, come nel racconto di Pricone, passavano diretti altrove a bombardare. Vicino a me c'era l'accalappiacani col cappio a spalla e berretto con per fregio AC. Secondo me si chiamava Vicienzu, il quale mi illustrava il tipo di aerei: caccia, bombardieri. Iniziato il bombardamento lui si mise a correre imboccando Via Nazionale. Io terrorizzato gli correvo a contatto del gomito sx e senza accorgermi passai liscio davanti al portone di casa mia civ. 3. L'accalappiacani svoltò a dx per Via Margherita diretto in diagonale a sx verso Via Savoia dove abitava. Io sempre al suo fianco. Cadde la casa di dex di Digrano (Trentanove) e ci rimase sotto, mentre io entrai in casa di Bonaiuto (benzina o cummentu) senza in graffio. Finito il bombardamento andai a Vardia e mi riunii a mia madre e mia sorella davanti a Mirinu, dove intanto giunse mio padre, proveniente dai cappuccini dove era pompiere. Tutti insieme ci avviammo verso la Vanedda Larga, oggi Via IV Novembre.

Pina Pirruccio ha detto...

quando e' venuto il borbamento io have 10 anni e, mi ricordo quando anno borbandato Palazzolo era di pomeriggio io ero fuore a giocare la nonna era seduta fuore al fresco ale ore 16 dope siame andat a passare la notte in ona grotta il giorno dopo siamo andati in campagna vicinoil teatro grecoscusa se non scrivo bene io abito in America e, non mi ricordo tanto la lingua italian

PINA PIRRUCCIO

Anonimo ha detto...

Mia nonna mi ha sempre raccontato il giorno del bombardamento. Mi diceva sempre che aveva 8 anni e solo oggi che scopro la data, faccio il conto e corrisponde esattamente. Sua mamma le aveva chiesto di andare a comprare dei pomodori, e nel tragitto del ritorno iniziato o i bombardamenti. Per cui lei, Marianna Carbone, una bimba di soli 8 anni, ha cercato riparo e visto il suo paese andare in PZ. Quando il frastuono fini', uscì dal piccolo rifugio che aveva trovato e cercò di ritrovare la strada di casa, ma era molto difficile perché tanti punti di riferimento erano spariti. Così iniziò a piangere, pensando di essere sola. La madre, Vincenza Ficara, la cercò tra le nuove strade di detriti e sollevando sassi di tanto in tanto, temendo il peggio. Quando la vide sana e salva, l'abbraccio di gioia fu tra le più forti emozioni della vita di entrambe. Racconto oggi questa storia perché resti per sempre.

Lisa Magrin ha detto...


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