«Tre cose sottili sono il maggior sostegno del mondo: il sottil rivolo di latte dalla mammella della mucca dentro il secchio; la foglia sottile del frumento ancora verde sulla terra; il filo sottile sulla mano di una donna industriosa. Tre rumori di prosperità: il muggito di una mucca gonfia di latte; il tintinnio del ferro di una fucina; il fruscio di un aratro.» (The Trials of Ireland, secolo IX)

Via Nicolò Zocco n. 21: Tessuti Lorenzo Miano

…simile a una madre badessa stava seduta in un angolo a sinistra dell’ingresso, e dava arenzia e chiacchiera ai vari clienti in attesa di essere serviti…



Mettere il piede dentro questo negozio storico di Palazzolo vuol dire fare un tuffo nel passato, quello remoto. 


Qui dentro il tempo si è fermato. Stoffe, scampoli, matapolli, tricot, tovagliati, camicie, sono come reliquie custodite in un reliquario. Tutto è immerso in una fresca e rilassante quiete, qui, Oreste e le stoffe in pezza riposano in pace ormai, queste ultime senza lo stress di essere tirate giù dagli scaffali decine di volte al giorno, srotolate, toccate, spiegazzate da sapienti mani femminili; osservate, confrontate, soppesate e poi. superata la prova, con un colpo secco, zaaaff!, lacerate senza pietà (poveri percalli!) a mani nude o tagliate con le forbici.
Riposano, le forbici, ormai grippate, riposa il metro rigido (di legno) sul piano del bancone, riposa l'equivalente riportato a tacche sul bordo del retro bancone. La roba a 190 (£) al metro, per vestagliette e camicie da notte, anche se lusingata e nobilitata dal prezzo rivalutato cinquanta volte oggi € 5,00 al metro), rimane negletta e semisrotolata nel suo tavoloccio.
Sono stoffe-reliquie con sulle spalle diversi lustri di storia del costume e degli usi, in grado di parlarci di un mondo ormai scomparso, travolto dalla fretta e dall'usa e getta. Potendolo fare, farebbero l'elogio di una società non ancora malata di consumismo, sobria e dedita al risparmio, in cui le donne, le massaie, compravano la stoffa a taglio da portare al sarto per far cucire giacche, pantaloni, gonne, camicie, per i mariti, per i figli, per loro. Il più delle volte erano loro stesse in grado di confezionare i capi più semplici mentre si davano da fare per rattoppare o si ingegnavano per rivoltare quelli logori: nonostante ciò il bilancio familiare stentava a quadrare. Quelle variopinte stoffe a pezza, zeppe negli scaffali sino al soffitto e che oggi fanno quasi folklore, sono memoria di un modus vivendi in disuso ormai, il mondo dei nostri padri quando le malannate condizionavano pesantemente l’economia della comunità e bisognava stringere ancora di più la cinghia e i denti per campare e per onorare gli impegni. Un mondo che ci siamo lasciati alle spalle qualche decennio fa.


Il buon Oreste, lo sa perfettamente tutto questo, non è un nuovo don Chisciotte, no. Ha piena consapevolezza della ineluttabilità dei cambiamenti e non nutre illusioni, ciò malgrado ogni giorno apre regolarmente il suo negozio. Per passatempo, anzi per abitudine, anzi per continuare l’attività del padre con cui iniziò a collaborare nel lontano 1963. Tiene aperto… se poi vende qualche scampolo, o una vestaglietta, o una tovaglia, tanto meglio. Se no, no!  Alcune stoffe per lui sono cimeli, memoria, le accarezza, le coccola, le si è affezionato quasi, e si rammarica quando si accorge di aver venduto qualche articolo fuori produzione senza aver lasciato per sé almeno un frammento. E allora parla di traliccio indistruttibile per confezionare mutandoni, di popeline per reggiseni, di marche rinomate. Conversa amabilmente, Oreste, con voce un sommessa, quasi bisbigliando, non ha fretta, il tempo non è tiranno, lui ha una buona memoria.
Fu la nonna materna, donna Vastianedda Gervasi, donna energica e madre di otto figli, a impiantare il negozio là dove la via Gaetano Italia (a quei tempi via Guardia) incrocia via Nicolò Zocco (a quei tempi via Macellaria). Lorenzo (classe 1893), uno degli otto rampolli, a 13 anni iniziò a collaborare la madre nell’attività commerciale. Poi, carica di anni, la nonna affidò la gestione al figlio ma continuò a respirare quotidianamente l’aria “salubre” e ciarliera del negozio: simile a una madre badessa (lʼenigmatica figura femminile, affrescata nella volta del negozio e assisa tra le pezze di stoffa e le ciminiere fumanti, sembra dipinta a sua immagine e somiglianza) stava seduta in un angolo a sinistra dell’ingresso, e dava arenzia e chiacchiera ai vari clienti in attesa di essere serviti da don Lorenzino.
In seguito, verso la metà degli anni settanta, Oreste, subentrò nella gestione al padre, costretto a lasciare per limiti di età dopo un’intera vita dedicata a stoffe e tessuti. La domanda per la stoffa in pezza però era già in caduta libera per l’imporsi delle confezioni industriali che da tempo facevano impari concorrenza alla sartoria artigianale.  

PARLA  ORESTE  
«Oggi a Palazzolo  - dice Oreste Miano - il mio è l’unico negozio ancora fornitissimo di stoffe in pezza per camicie, pantaloni, materassi, tovagliati, e tanto altro. La qualità è quella antica, quella di una volta. C’è anche Lozito al Corso ma ha un assortimento limitato e più moderno. Prima c’erano tantissimi negozi di tessuti. C’era don Turiddu Bonfiglio (Cipudduni) in piazza Liberazione (forniva pure casse da morto), Messina in via san Sebastiano (don Mmicienzu ra vaddia, alias don Mmicienzu u viddanu), gli Scialla e mio zio in via Duca d’Aosta, a Mascianela in fondo alla via Maestranza, Giovanni Grimaldi ('u Catanisi) dove la via Garibaldi incrocia la   via Nicolò Zocco, La Rosa (u cavaleri Brocculu) in via Garibaldi accanto alla farmacia Lombardo, e poi altri che in questo momento non mi ricordo. Ci fornivamo a Catania dai grossisti  di via Manzoni: Pavia, Vadalà, Pantò, Patti. Ordinavamo la merce che poi ci veniva recapitata dai Gionfriddi  (Nigro). Si pagava un tot per ogni collo.  
Si lavorava tutti a pieno ritmo, specialmente sotto le feste: era quello il momento buono per nzajari il vestito nuovo. Anche a gennaio  sotto Carnevale si vendeva tanta stoffa di battaglia confezionare i costumi. Incrementi nella vendita si avevano pure ad ogni cambio di stagione. I mesi di magra erano febbraio, marzo e poi luglio e agosto.
Erano le donne a scegliere (soprattutto la qualità) e a comprare. Davano la preferenza alla stoffa pesante per le camicie da lavoro, a quadrettini, rigata; al tricot di cotone doppio ritorto per la confezione dei pantaloni per i lavori di campagna e i lavori pesanti dei loro uomini;poi sono arrivati i blue jeans ed è cambiato tutto.
La domenica era giornata di gran lavoro, si stava aperti fino alle due, alle tre di pomeriggio. Era il turno riservato alla gente che veniva dalla campagna: “Dobbiamo sistemare mio marito per un anno, due anni…” dicevano risolute le mogli e compravano la stoffa in pezza per quattro, sei camicie, tricot per due, tre paia di pantaloni, e pure per il grembiule ( 'u mantali) e per la manica ('a manichedda) da infilare nel braccio destro durante la mietitura.
In paese c’erano tantissime camiciaie, mi ricordo a Mustazzusa, ad esempio, e lavoravano tutte dalla mattina alla sera tardi. Oggi non c’è più nessuno e d’altro canto costerebbe di più la manodopera che la stoffa. Le stesse lenzuola si vendono belle e fatte, stampate… oggi chi lo fa 'u rèfucu?, l’orlo?, non c’è più nessuno… e allora… tovaglie, tovagliette… tutto pronto, già confezionato.
A raccolto avvenuto, dopo la festa di S. Sebastiano, i contadini pagavano il loro debito oppure davano un acconto e saldavano a Natale, dopo la raccolta delle olive: in olio o in denaro. Gli impiegati ogni fine mese davano un acconto fino al saldo. Gli artigiani appena si mettevano in picciuli, venivano a pagare. Prima era diverso, le persone avevano più  dignità, erano rispettose e di parola. In autunno vendevamo decine di cuttunini che facevamo confezionare da Licciardello a Catania: gialle da un lato e rosse dall’altro. Erano in rasatello di cotone. Vendevamo pure coperte raffinate di macramé per il corredo e poi anche quelle dozzinali dette di casermaggio. Rinomate erano le coperte abruzzesi di lana che molto spesso si vendevano al posto delle cuttunine, specialmente per i corredi nuziali di un certo livello. 
Oggi tutto questo è finito in modo irreversibile, lo so perfettamente. Tuttavia mi ostino a tenere aperto, per abitudine… per affezione… non so come dire… ecco; mi sentirei in colpa se ai vecchi clienti affezionati, alcuni (pochissimi) ancora dai tempi di mio padre, un giorno facessi trovare chiusa per sempre la porta del negozio ».
IL CORRIERE DEGLI IBLEI, maggio 2009

2 commenti:

Unknown ha detto...

Bellissimi ricordi. ������

muscolino giovanni ha detto...

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