«Tre cose sottili sono il maggior sostegno del mondo: il sottil rivolo di latte dalla mammella della mucca dentro il secchio; la foglia sottile del frumento ancora verde sulla terra; il filo sottile sulla mano di una donna industriosa. Tre rumori di prosperità: il muggito di una mucca gonfia di latte; il tintinnio del ferro di una fucina; il fruscio di un aratro.» (The Trials of Ireland, secolo IX)

Correva l’anno… Vincenzo Consolo e l’amico Antonino Uccello

 

Correva l’anno… Vincenzo Consolo e l’amico Antonino Uccello [*]


Sciascia, Bufalino, Uccello, Consolo…

Vincenzo Consolo è scomparso il 21 di questo mese, 

nella sua casa di Milano, dopo una lunga malattia. 

La Sicilia gli era rimasta per sempre nel cuore in 

misura fortemente struggente. 

Oltre che narratore dal linguaggio particolare, intriso

di parole espulse o dimenticate, Consolo era anche 

saggista e scriveva soprattutto su svariate tematiche

della sua amatissima Sicilia.




Viveva a Milano ma non perdeva occasione per 

ritornare nell’isola, per rivederla, per incontrare gli

amici, per fare nuove conoscenze per vedere e 

rivedere cose e luoghi vecchi e nuovi. In tal caso era

un assiduo commensale di Sciascia di cui apprezzava

il cibo barocco, ricco di spezie e di aromi; agli amici

soleva ripetere: “Ritornare qui è ritrovare un paradiso

di sapori e di odori di cui ho tanta nostalgia”.


Consolo e Uccello diventarono subito amici, come se si

fossero conosciuti da sempre. L’occasione si presentò

quando Consolo volle visitare la Casa-museo di

Palazzolo Acreide che il poeta-etnologo nel 1971 aveva

aperto nei locali terranei di un palazzo settecentesco.

Lì erano stati ricostruiti gli ambienti della civiltà 

contadina iblea corredati di attrezzi e suppellettili. 

Lì si davano appuntamento Leonardo Sciascia, Carlo

Muscetta, Vanni Scheiwiller, Cesare Brandi e tanti 

altri. 

 

In quella casa, quando ci andava, Consolo trovava

“rifugio” perché il suo, in campagna, ormai l’aveva

perso e spazzato via stante i suoi numerosi e continui

impegni di lavoro a Milano. “Io vago e scrivo 

dappertutto in ogni luogo e in ogni stagione” ribadiva

Consolo agli amici Bufalino e Sciascia in una

intervista realizzata nel 1983 in contrada “La noce”, 

presso la tenuta dello scrittore di Racalmuto. Con

queste parole intendeva richiamare la sua precedente

esperienza di giornalista che gli aveva dato modo di

andare in giro per tutta l’isola e di essere testimone di

fatti e misfatti di qualsiasi genere.



Per quanto riguarda Uccello e la sua Casa-museo

scrive:


[…] Erano mele gialle e lucide, dolcissime, che

impregnavano la casa di profumo per tutto il tempo 

del Natale. Sovrastava, il loro odore di pomelia e 

cedro, quello delle arance, dei fichi secchi, delle sorbe,

delle lazzeruole, delle zizzole, delle nespole d’inverno,

delle granate e delle cotogne. E mi credea che il 

compar Pitrone cogliesse quelle mele da un albero

fatato… Pastori simili a quelli di donna Menica, di 

creta, colorati di giallo, rosso, blu, celeste, rosa 

(colori soavi, chagalliani, come quelli dei pupi di 

zucchero o dei gelati) li ritrovai dopo anni – una vita! –

in un presepio alla Casa Museo di Antonino Uccello, a

Palazzolo Acreide, dove passai un Natale.

 
Ah, Antonino, sparviero e airone, rapace di memorie,

tu che fiutasti per primo la tempesta, l’alluvione,

quella tua casa alta dei venti e degli spiriti 

trasformasti in teca d’osso, in reliquiario d’un mondo 

trapassato di fatica e di dolore, ma vero, umano, per il

quale non nutrivi nostalgia, ma desiderio di riscatto…

Museo vivente chiamavi la tua Casa, ed era invece un

 teatrino struggente d’illusioni. E venivano i contadini 

(vecchi, vecchi, i soli ormai rimasti) a macinare il 

grano, a pigiare l’uva, a cagliare il latte per le ricotte e

i formaggi, a spremere i favi delle api; venivano le 

contadine a impastare il pane, a infornare i dolci di

fichi e miele. Ma non erano quelli ormai che gesti 

rituali, sacre cerimonie in chiese di Pantalica, in 

catacombe di volontaria, tenace sopravvivenza […]. [1]


Consolo, dunque, scriveva costantemente dei suoi

luoghi d’origine. Era nato nel 1933 a Sant’Agata di

Militello in provincia di Messina e non perdeva mai 

l’opportunità di parlare della sua infanzia e dei suoi

ricordi isolani.

In occasione della mostra “La roba della sposa”

allestita per la riapertura della Casa-museo nel

settembre del 1988, osserva:


[…] Chi ha accumulato anni quanti quelli di chi scrive,

ha avuto la ventura di conoscere l’era in cui ancora si

produceva la “roba” nel suo ciclo completo. […] 

Ricorda le vecchie che filavano presso la conca o,

d’estate davanti all’uscio di casa… Ricorda i telai, il 

loro “colpettare”, come dice Verga, da dentro le case.

E ricorda le “pezze” di lino, di lana, di canapa stese sui

prati a sbiancare a furia di sole […] [2]


Ancora. Nel 1988 Consolo dà alle stampe “Le pietre di

Pantalica”, raccolta di racconti. Il libro è diviso in tre

sezioni. La prima sezione (Teatro) si occupa dello

sbarco degli americani in Sicilia nel 1943 e mette in

evidenza tutte le problematiche relative alla situazione

economico-sociale dell’isola e all’indifferenza dei

siciliani verso lo stato italiano. Nella sezione 

“Persone”, delinea una serie di ritratti di intellettuali

tra i quali Sciascia e Antonino Uccello. Questo è il 

ritratto dell’amico Ninì:



Sembrava davvero un uccello. Un roseo gabbiano, un

airone bianco, di quelli che da Susa, Lampedusa o da

Malta calano all’isola delle Correnti, al Capo Passero,

si tuffano nel pantano Cuba, riprendono il volo su per 

la Cava d’Ispica, il Tellàro, fino alle gole dell’Ànapo,

del Ciàne, [...]. Uccello si chiamava e somigliava a un

uccello. Era piccolo e magro, la testa aveva minuta, 

sormontata d’un ciuffetto di capelli fini e bianchi, 

l’occhio tondo e vivace, le guance incavate, un naso

affilatissimo, le labbra sottili, il mento a punta. Una

vocetta fine poi, melodiosa. Antonino Uccello era 

canario, cardello e codatremula.[…] Antonino era 

povero e la sua povertà aveva diviso con la sua 

fanciulla Anna, la moglie tortora che dal ‘44 gli stava 

accanto muta e amorosa, attenta a ogni trillo, frullo 

d’ala o inquieto volo del compagno. […] [3] 

 

 

[*] Articolo pubblicato il 26.01.2012 su CAMMINO, settimanale di informazione e di opinione.

 

Note

[1] A. Buttitta, Il Natale. Arte e tradizioni in Sicilia, Palermo, Edizioni Guida, 1985, pp.7,8,9.

[2] AA. VV., Casa-museo. La roba della sposa, Palazzolo A., 1988, p.11.

[3] V. Consolo, Le pietre di Pantalica, MIlano, Mondadori, 1988, pp.123,124.

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