«Tre cose sottili sono il maggior sostegno del mondo: il sottil rivolo di latte dalla mammella della mucca dentro il secchio; la foglia sottile del frumento ancora verde sulla terra; il filo sottile sulla mano di una donna industriosa. Tre rumori di prosperità: il muggito di una mucca gonfia di latte; il tintinnio del ferro di una fucina; il fruscio di un aratro.» (The Trials of Ireland, secolo IX)

L'Antico Carnevale di Palazzolo Acreide


L'origine del Carnevale è assai remota. Comunemente si fa risalire agli antichi Saturnali romani che si celebravano per l'anno nuovo: gli schiavi vestivano le vesti dei padroni e si permettevano ogni libertà; tutto era allegria in memoria dell'aurea aetas
Queste ed altre feste contigue, come i Lupercalia e le Dionisiache (e proprio in queste ultime, in quelle del 534 a. C, il poeta greco Tespi si esibì per la prima volta con il suo celebre "carro" di attori girovaghi e maschere dando inizio alla Tragedia), in seguito all'avvento del cristianesimo, perdettero l'originario carattere magico-rituale per diventare semplicemente occasione di divertimento popolare e, strada facendo, si inserirono formalmente nel calendario festivo cristiano occupando lo spazio precedente la Quaresima. Il primo vero Carnevale della storia fu inaugurato a Roma nell'anno 1466.

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 L'inizio del Carnevale varia secondo le tradizioni locali, ma, dopo il terremoto del 1693, nei paesi della Sicilia orientale il Carnevale non "fa capolino prima del dodici Gennaro, imperocchè il giorno precedente è consacrato alla commemorazione del terremoto, che nel 1693 devastò mezza Sicilia..." (S.A. Guastella, 1887). A Siracusa dal 9 all'11 gennaio veniva esposto in cattedrale il simulacro di S. Lucia e in tutti i centri colpiti si celebrava una messa commemorativa. A Palazzolo si ripeteva la seguente quartina: A l'unnici innaru/ a vintin'ura,/cu sutta petri/cu sutta cantuna. Nel 1727 "Mons. Marino ordina nelle 7 giornate di Carnevale, dal Giovedì di settuagesima sino al Mercoledì l'Esposizione del Divinissimo, 2 ore la mattina e 2 ore la sera chiamando le genti nelle strade, e facendo delle prediche onde far cessare l'ira di Dio coi tremuoti" (P. Giacinto Farina, Selva... f. 679).
Restano documentate, in ogni caso, le origini assai remote dell'"Antico Carnevale di Palazzolo Acreide", anteriori al suddetto terremoto.
 
MASCHERE E SFILATE
L'uso del mascherarsi, non limitato al solo Carnevale ma esteso a diverse feste dell'anno, divenne un abuso tale che a Siracusa nel Sinodo del 1533 per stroncare le condotte sregolate, si fu costretti a proibire i travestimenti e a fare ricorso alla carcerazione. A Palazzolo, sul finire del secolo XVIII, dopo le orge carnevalesche, per la festa della Madonna Odigitria "... alla processione si tramescolavano luminarie, falò, cavalcate, maschere di uomini e donne, e, quel che è peggio di chierici;... ecco dall'angolo di una via precipitarsi a guisa di vortice una falange di donne, imbacuccate in manti neri di seta, che nascondevano i volti, tranne un solo occhio; scompigliare le fila della processione, insinuarsi fra i battuti ed il clero, cantare, saltare di gioia, soffiare sulle torce, ballonzare coi chierici, far mille stravaganze divote... "(S. A. Guastella, op. cit.). Sono le 'ntuppatieddi, le stesse maschere che circolavano a Lentini per la festa dei tre martiri, a Carlentini per S. Lucia, a Catania per S. Agata: "... le signore e anche le pedine hanno il diritto di mascherarsi, sotto il pretesto di intrigare amici, i conoscenti, ...il manto copre tutta la persona e lascia scoperto soltanto un occhio..." (G. Verga, 1876).
A Palazzolo per Carnevale compaiono in seguito pure i mantarri, giubbe di albagio dal lunghissimo cappuccio dentro il quale i villani mettevano il frumento-salario della settimana e poi le ghiucche (tabarri), mantelli blu con cappuccio che negli anni '50 fecero la felicità di attempate e anonime zitelle bramose di correre la cavallina.
Certamente le sfilate precedenti le due guerre mondiali non si discostavano molto da quelle degli altri centri isolani: il carretto con archi di edera o di alloro con sopra donne e uomini vestiti con ghiucche e coperte e attrezzati di fischiettu e tammuru; l'asino ingualdrappato montato dal dottore con i ferri del mestiere, cortei di animali di bassa corte e non, domatrici infiorate,  baldacchini montati su carri, sceicchi cavalcanti con turbante, giacche infilate alla rovescia, pelli di pecora a mo' di vestito, facce annerite di fumo e vernice, fantocci di paglia e anche di cartapesta.
Più tardi, nei primi anni '50, ai carretti si aggiunsero le "lape" infiorate, le giardinette scappottabili, le battaglie di borotalco, di nigghiu, di acqua, u valè dei ragazzi, i primi carri allegorici di cartapesta, don Paolino Mimosa con le sue elegantissime rappresentazioni storiche (durante una sfilata, tutto preso nella sua parte di imperatore romano, fu proditoriamente fatto segno a un nutrito lancio di finocchi), i carri degli universitari, i primi carri di Turi Rizza e poi quelli dei Costa, dei Chicchiriddi, dei Fazzino, dei Merlino, ecc., il Carnevale-pupazzo del Comune con orchestrina di polke e mazurche. 
Alla mezzanotte del martedì, questo Re Carnevale della collettività, imbottito di petardi, veniva bruciato all'imbocco di via S. Sebastiano. Cicciu Strattu, un povero storpio che si reggeva a malapena su due stampelle, impersonava la parte della madre di Carnevale e piangeva, piangeva e imprecava, confortato dalle "reputatrici" del momento. La vittima prima di essere cremata veniva sottoposta a un sommario processo con la presenza dell'avvocato, del notaio, della morte, del diavolo.
 Le maschere venivano costruite e poi affittate o vendute da don Cicciu Pastasciutta un estroso artigiano palazzolese con laboratorio a "Villarosa". Tre erano le tipologie di facceri che don Ciccio produceva: le maschere intere che s'infilavano in testa ((la strega, il diavolo, il contadino avvinazzato, il pappagallo, la testa d'asino, ecc.), quelle che coprivano solo la faccia e le mezze maschere (le veneziane). Naturalmente i fori degli occhi, delle narici e della bocca risultavano sempre piccoli e fuori posto.

I VEGLIONI
Tanti i veglioni a Palazzolo, dove il Carnevale iniziava il 21 gennaio, subito dopo la festa di S. Sebastiano. Si ballava a parti ri casa (nei fistini), ma si ballava al Cinema Sardo, all'Odeon, al Municipio, dai "Coltivatori", da Pino, alla Spelonca; si ballava soprattutto nei veglioni che annualmente si costruivano in piazza del Popolo l'indomani della festa di S. Sebastiano (fino al 1962), in piazza Umberto dopo il giorno di S. Paolo (fino al 1951; in questa piazza nell'immediato dopoguerra, nel 1946, fu organizzato il festival dei Reduci, invece in piazza del Popolo fu allestito il festival dei Partigiani) e in modo saltuario in piazza Pretura. In questo veglione nel 1947, Turi Rizza, animatore e protagonista incontrastato dei carnevali palazzolesi, si esibì come novello tonsore in una memorabile performance: eccitato e "incattivito" dai continui crescendi del "Barbiere di Siviglia" suonato dalla banda di Buscemi, e sostenuto da spettatori in delirio, ridusse a mal partito un Catanese che acconsentì di sostenere la parte del cliente e di farsi fare "barba e capelli" legato ad un sedia. Si racconta che, una volta liberatosi, il Catanese in preda a furia omicida per una settimana abbia cercato il provetto "barbiere" per monti e per valli, deciso a farlo fuori. 
In Piazza del Popolo lo steccato, alto circa un metro e mezzo, circondava l'intera area, proprio ai piedi della chiesa di S. Sebastiano: una lunga teoria di casotti con le spalle al loggiato del Municipio, la tribuna coperta sul lato della scalinata, di fronte il palco per il complesso musicale. La sera, al suono delle orchestrine locali (con i vari Pampina, Nicolino, Ciaura-cula, Frangisi ecc.), si ballava a cielo scoperto fino a notte tarda. Durante il giorno l'ingresso era libero e i botteghini calamitavano l'attenzione e i soldi dei presenti: si giocava al "sottonovanta".
I casotti assomigliavano all' arca di Noè, prima del diluvio. Erano pieni fino all'inverosimile di scatolette di carne, pacchi di datteri, polli ruspanti, "Cinzanini", capretti appena svezzati, pacchi di spaghetti da 5 kg, "corde" di salsiccia piombata, scatole di salsa, conigli ecc.ecc. I pennuti legati ad una zampa razzolavano imperterriti avanti e indietro su una mensola aggettante, elargendo di tanto in tanto regalini... organici agli ignari giocatori. Per vincere i premi in palio bisognava estrarre da un sacchetto tre numeri la cui somma doveva risultare inferiore a 90. Parecchi erano i concorrenti che con feroce ostinazione tentavano di vincere a qualsiasi costo: ma più si accanivano, e più la sorte li sbeffeggiava. Quando poi si vinceva qualcosa, di solito la si barattava con un certo numero di colpi "franchi".
La sera l'ingresso al festival era a pagamento. Al suono del complesso una ressa di persone, a maschera e non, si divertiva a ballare e a scherzare. All'esterno, addossati ai tavoloni e adeguatamente attrezzati contro il freddo e immobili come stoccafissi, gruppi di vecchi con consorte (qualcuna, sotto lo scialle, fornita di cunculina) intenti a godersi lo spettacolo in assoluta franchigia.
Le maschere impazzavano, soprattutto le ghiucche, i tabarri che i vecchi contadini stavano smettendo. Gli anni a cavallo tra il 1950 il 1960 furono il periodo d'oro di questo "costume" che divenne l'oggetto del desiderio delle donne (non solo palazzolesi) in vena di trasgressione, in particolare le zitelle arraggiatizze. Per una volta (ma anche per due, tre, quattro...) avevano la possibilità di "rifarsi" (il tempo è galantuomo!): il suono magico delle orchestrine, il pianoforte di Leo di San Felice... la tribuna dell'Odeon, le barcacce del cinema Sardo, il veglione di "S. Sebastiano", quindi... la bianchina, la seicento...

LE SAGRE E IL CARNEVALE OGGI
Intanto nel 1976 si inaugura, in pompa magna, la  "Sagra della Salsiccia" e nel 1982, in piazza Umberto, la  "Sagra re Cavatieddi". L'anno successivo nella stessa piazza, i Sampaolesi riunitisi in comitato, fanno ripartire con grande successo il Veglione di quartiere che tra ostacoli e contenziosi di varia natura arriva fino al 1990. Anche piazza Pretura si organizza e nel 1984 nasce la "Sagra del dolce"; l'anno seguente nel piazzale antistante la villa Comunale si monta il "Veglione Tenda" che andrà avanti per diversi anni.
Turi Rizza merita senz'altro la palma del personaggio più rappresentativo e bizzarro della storia del Carnevale Palazzolese. Tutta la sua esistenza, anche se costellata da varie vicissitudini, fu un gioco, un divertimento, un Carnevale continuo. Dopo la sua scomparsa, avvenuta nel 1984, paradossalmente, il Carnevale Palazzolese riprende quota e raggiunge livelli qualitativi e di partecipazione notevoli: si fanno avanti e si affermano i cartapestai locali, tra i quali Vincenzo Guglielmino (u scinziatu), Francesco Caldarella, Sebastiano Di Paola e tanti altri. Avanza la tecnologia e i carri diventano più grandi e più ricchi di meccanismi, di luci, di suoni. Si registra un vero e proprio salto di qualità anche dal punto della idee e delle allegorie.
 Nel 1988 l'Amministrazione comunale istitusce il premio "Turi Rizza" per la migliore maschera buffa; nel 1989 arriva la "1a Sagra del Crostino di Trota" e poi la "Sagra del cannolo". I giorni delle sfilate dei carri e dei gruppi, da due passano a tre: la penultima domenica, sdirruminichedda, l'ultima domenica, sdirruminica ranni, e l'ultimo giorno di Carnevale, sdirrimarti.
 Il resto è storia dei nostri giorni. La tradizione del Carnevale Palazzolese continua grazie alla creatività dei maestri carristi, all'impegno degli amministratori di turno e alla proverbiale ospitalità dei Palazzolesi, ma grazie, soprattutto, agli strabocchevoli ospiti che, ogni anno con la loro partecipazione, contribuiscono a creare quella gioiosa e particolare atmosfera di amicizia e di spensieratezza che è una peculiarità del più bel Carnevale degli Iblei.

1 commento:

Anonimo ha detto...

sarebbe bello aggiungere un archivio storico fotografico...