«Tre cose sottili sono il maggior sostegno del mondo: il sottil rivolo di latte dalla mammella della mucca dentro il secchio; la foglia sottile del frumento ancora verde sulla terra; il filo sottile sulla mano di una donna industriosa. Tre rumori di prosperità: il muggito di una mucca gonfia di latte; il tintinnio del ferro di una fucina; il fruscio di un aratro.» (The Trials of Ireland, secolo IX)

Raccoltine di stagione negli Iblei

I sparici sarbagghi ca rriùddunu ro funnu ra frattina i Bbauly…è m-masuni arrubbatu ca sapi i prummintiu,  ràzzia ri terra e-ppani a-llivitari…



Le piogge prima, i tepori primaverili dopo, ammantano  di verde smeraldo le nostre campagne che, da un giorno all'altro, incominciano a scintillare di fiori e di profumi.
E' la pioggia che fa venir fuori il seminato, le erbe, le verdure spontanee; il sole, in seguito, con i suoi tiepidi raggi riscalderà le incipienti erbette e le aiuterà a crescere: Acqua e suli fa lauri, la sapienza contadina è perfettamente consapevole della indispensabilità di questi due elementi per una buona annata.
E' questo il tempo per andare alla ricerca delle erbe buone, quelle spontanee e mangerecce. Ancora oggi, nelle nostre campagne non contaminate da smog e pesticidi, queste erbe sono tenacemente ricercate da chi ama cibi genuini e da chi vuole pure concedersi un paio d'ore di sano relax.
Ma se oggi si va alla ricerca dei queste verdure quasi per passatempo, così non era nel passato, quando per tante famiglie arrivata l'ora di cena c'era poco o niente da mettere sulla tavola, e specialmente nel periodo che coincideva con i primi mesi dell'anno: Prima ri Natali nè friddu nè ffami / Doppu Natali friddu e ffami.
Febbraio, marzo e aprile erano chiamati mesi "grandi" dai contadini e dai meno abbienti perchè si era già dato fondo alle provviste invernali che bene o male fino a Natale erano bastate; "grandi", in questo caso, sta per mesi lunghi, interminabili per gli stenti e per la fame, mesi in cui spesso e volentieri si mangiava pani e cutieddu o se si vuole pani e sputazza (che è la stessa cosa). E allora si andava in campagna in cerca di verdure selvatiche da portare a casa e anche per venderle e guadagnare qualcosa. Ancora oggi, tuttavia, nei piccoli centri questa usanza non è del tutto scomparsa ed è facile incrociare qualcuno che vende cicorie e finocchietti selvatici raccolti di persona.  

Le erbe mangerecce

Diverse sono le erbe che iniziano a spuntare con le prime piogge di novembre, specie se l'annata è prummintìa, e che durano fino a primavera inoltrata.
Dalle nostre parti due sono le qualità principali di cicoria selvatica (Cichorium inthybus): la cicoria di margiu e quella di montagna. La prima, piccolina, amarissima, con le coste biancastre cresce nella marina, a parti di vasciuri, nei terreni bassi cioè, meglio se impantanati. La seconda è quella propriamente locale, ha le coste di colore rossiccio e un gusto meno amaro. La cicoria ha proprietà depurative: si consuma bollita con molto brodo e olio d'oliva, oppure fritta con l'aggiunta di aglio e aceto.
Di urraini (Borragine) sono pieni i campi incolti, già fin dal primo inverno. E' una pianta con foglie ricoperte di peluria argentea: si può consumare fresca per aromatizzare le insalate, oppure cotta, affucata o col brodo e molto olio, ma soprattutto si usa per insaporire le minestre di legumi e nella fattispecie di fave. Nella medicina popolare, la borragine raccolta nell'ultimo venerdì di marzo, quando inizia a fiorire cioè, viene indicata per le coliche intestinali e nefritiche e per le affezioni bronchiali e febbrili, oltre che per la foruncolosi, l'acne e altre malattie della pelle. I fiorellini, che si possono anche candire, si usano per colorare di azzurro l'aceto.
Gli aiti o ggiri (Bietole) si caratterizzano per le coste fogliari bianche. Sono piante ortive e spontanee e si consumano cotte, scolate e con molto limone o con salsetta. Sono ottima verdura per le 'mpanate specie se sposate a pezzetti di salsiccia. Le foglie sono rinfrescanti per bolle e vesciche.
I finuccieddi (finocchi selvatici o di montagna) si raccolgono quando le piantine sono ancora tenere. Oltre ad essere uno degli ingredienti principali per la pasta con le sarde si possono consumare a polpette: si tritano grossolanamente, si aggiungono uova, formaggio grattugiato, pepe nero, sale, e pangrattato; formate le polpettine si mettono a friggere in padella. Il seme si raccoglie a fine agosto, quando è già granito, ed è uno degli ingredienti che aromatizza e profuma la rinomata salsiccia palazzolese.
Da novembre e sino a metà aprile le chiuse sono ricche di sinacciuoli (o lassini, rariceddi, cauliceddi), una senape selvatica (Diplotaxis erucoides) appartenente alla famiglia delle Crocifere; senapi selvatiche sono pure gli amareddi niuri, gli amareddi ianchi, u rapu, i pisciacani (questi ultimi così detti perchè sembrano essere privilegiati dai cani che vi ricorrono istintivamente o per l'aroma che emanano o perchè a portata di trazzere e di zampa).
Gli amareddi niuri sono i più prelibati, seguono gli altri in ordine di gradimento; i pisciacani occupano l'ultimo posto e per il gusto e per l'atroce dubbio che si insinua nella mente di chi ha l'intenzione di coglierli per mangiarli. Questo tipo di senapi si consumano bollite e ben asciutte, con aggiunta di olio di oliva e peperoncino rosso; se si passano in padella si aggiunge pure dell'aglio. Si possono consumare anche con la pasta versata nell'acqua di cottura: si scola e si aggiungono gli amareddi, assieme ad olio, peperoncino e pecorino.
 Altra pianta nostrana mangeraccia e che fiorisce in questo periodo è il mafalufu (Asphodeline lutea) dal fusto foglioso e dall'infiorescenza gialla. Scartato il fiore, i teneri fusti si defogliano e si spaccano a metà per addolcire la salsa di pomodoro o per cucinarli come gli asparagi.

Gli asparagi selvatici
E proprio gli asparagi, quelli selvatici, sono i più ricercati e appetiti tra le erbe sopra menzionate per il loro gusto forte e intensamente aromatico.
Nell’area mediterranea l’asparago era ben conosciuto e apprezzato fin dall’antichità: questa pianta, soprattutto nella varietà selvatica, incontrava grandi favori, specialmente nelle mense nobili, tanto che Giovenale inserisce tra le portate che nobilitavano la cene degli antichi senatori di Roma, oltre al capretto, alle uova, alla frutta fresca, anche gli asparagi di montagna.
E in effetti gli asparagi selvatici (Asparagus acutifolius: sparici lupari) sono di due varietà: bianchi e neri. Quelli bianchi sono un po' più precoci, prediligono le marine e hanno il turione leggermente spinoso. Quelli neri crescono in collina e in montagna e sono più saporiti e meno spinosi.
Già prima di Natale sono in bella mostra, ammazzettati, con i gambi a mollo in qualche restante bottega alimentare: turgidi, teneri, invitanti… Sulla superstrada Siracusa-Catania, vengono proposti, in alcuni svincoli strategici, su lape-bancarelle in connubio con arance e mandarini. E a Carnevale è facile imbattersi in qualche raccoglitore improvvisato (ma non tanto) con un fascio di asparagi sotto l’ascella disposto a cederli al migliore offerente: sono queste le primizie che provengono dalle marine, dalle zone a temperatura più mite. Nelle contrade iblee, invece, i prelibati turioni incominciano a fare capolino ai primi di marzo e continuano a svettare con un esuberante rigoglio fino a primavera inoltrata.
Parlare di asparagi selvatici significa andare per coste e trazzere alla ricerca delle delicate gemme che quasi pudiche e paurose si fanno strada verso il sole. Specie nelle fitte macchie a tramontana, i germogli si allungano pallidi ed esili, come allampanati, da cui il noto indovinello riferito a persona con le stesse caratteristiche: “Ron Mastianu, ron Mastianu Chi facitu ‘nta ssu cianu? Nun manciati e nun miviti, e cciù luongu bbi faciti!” (a Palazzolo, i Sammastianisi, sono impropriamente soprannominati “sparici).
Andare per asparagi comporta lunghe e disagevoli scarpinate in fratte quasi sempre spinose (praini, russulini, rovi, rattacùla, razzina e via di questo passo) e poi, in ogni caso, devi affrontare sempre la rrizzogna con i suoi aghi sottili ma pungenti. E però ne vale la pena: quando ti ritiri con il tuo bravo mazzo o mazzetto di asparagi, dimentichi subito graffi e pungiglioni e pregusti già la loro impagabile delicatezza
La raccolta di questi polloni, dal gusto forte e intensamente aromatico, è uno dei passatempi preferiti nelle tiepide giornate primaverili, grazie anche all’abbondanza delle piante che crescono in qualsiasi zona e con qualsiasi tipo di terreno, accanto ai muri a secco, anche nelle fenditure delle rocce. “Ràzzia di terra” (Grazia di terra) li chiama Antonino Uccello nel suo Janiattini (1968): I sparici sarbagghi ca rriùddunu / ro funnu ra frattina i Bbauly…/ sintìssitu amaruòsticu, / appena i stuòcchi virdi nta rrizzogna, / è m-masuni arrubbatu ca sapi i prummintiu, / ràzzia ri terra e-ppani a-llivitari, / acqua ri siènia / nto siccagnu ri stati tunnu tunnu, / ri ssa ‘ucca ri fimmina / e-ppitittu e-ssapuri ri piccatu: / u piccatu ri siri vivi o munnu.” (Gli asparagi selvatici che ributtano dal fondo delle fratte di Bauly… sentissi l’amarognolo, appena li spezzi verdi nel cespuglio, è un bacio rubato che sa di primaticcio, grazia di terra e pane a lievitare, acqua di bindolo in terre secche d’estate sempre intorno, di quella bocca di femmina e voglia e sapore di peccato: il peccato d’essere vivi al mondo).
Se gli asparagi sono veramente tutto questo (e lo sono davvero!), allora vale la pena avventurarsi per solitarie campagne alla ricerca di tale prelibatezza. Vale la pena battere chiuse e fratte spinose per incettare questa “grazia di Dio”, anche se, rientrati a casa, ci ritroviamo graffiati, pungigliati e pieni di prurigini. A parte questo, si ha però la soddisfazione di assaporare una pietanza genuina dal gusto impagabile e il compiacimento di avere fatto una salutare passeggiata all’aria aperta accompagnata da salti e flessioni dorsali, a meno che non si vuol seguire l’opportunistico consiglio di un sagace proverbio: “E sparici sparicci e quannu su cotti tiricci” (Agli asparagi sparagli, non li cercare, e quando sono cotti mangiali).
Gli asparagi selvatici a mangiarli sono gustosissimi in tutte le salse e vengono preparati più come piatto a sé stante che come verdura di contorno; secondo le regole dietetiche del tardo medioevo gli asparagi sono migliori quando sono freschi (ai nostri giorni dopo averli sbollentati si possono anche surgelare). Prima di tutto si spuntunìunu per separare la parte tenera (tutto il buono sta nella punta) da quella dura. Poi a seconda dei gusti si possono cucinare in modi diversi: in umido, a pisciruovu (un classico del lunedì di Pasqua), col riso. In questo caso si utilizzano sia le punte e sia gli steli duri che, battuti, spremuti e messi a bollire in acqua salata, forniranno il brodo nel quale lessare il riso; a questo poi verranno aggiunte le testine accompagnate da una cucchiaiata di concentrato di pomodoro, strattu, mezzo bicchiere di vino rosso, un uovo sbattuto, tocchetti di ricotta fresca, olio d'oliva, sale, pepe.
Ma si possono consumare sui maccheroni con salsa di pomodoro e mollica abbrustolita, a zuppa, al cartoccio, alla parmigiana, al prosciutto. ecc. In ogni caso gli asparagi in sè non riempiono mai la pancia, come ci avverte il solito proverbio:” Sparici, funci e aranci, spenni assai e nenti manci” (Asparagi, funghi e granchi, spendi molto e niente mangi).
L’asparago contiene aminoacidi (l’arginina e l’asparigina), proteine, grassi, glicidi, sali di notevole potere nutritivo e numerose altre sostanze. Inoltre è ricco di vitamine A, B1, B2, C, PP. Per queste spiccate proprietà e per il suo potere terapeutico, l’asparago (in particolare quello selvatico) a buon diritto,     entra pure nel campo della medicina popolare, aveva anzi un posto d’onore nelle antiche farmacopee in considerazione del fatto che il suo consumo potenzia la vis couendi, senza nulla togliere alle ostriche, ai frutti di mare e ai molluschi in genere. Pur tuttavia, oggi, il viatico per eccellenza per tale “potenziamento” è ben altro e si “coglie” o si “pesca” in farmacia: due fino ad ora sono questi ritrovati (miracolosi a detta di chi li ha sperimentati), e due sono i colori: il blu e il giallo chiaro (il farmaco di quest’ultimo colore, guarda caso, è stato commercializzato nel mese di febbraio 2004, proprio il giorno di San Valentino).
I decotti e gli infusi di radici di asparagi vengono indicati nelle affezioni cardiache, nelle costipazioni, come sedativi; Plinio li raccomandava anche per  “rendere la vista più chiara, contro la lebbra e le punture delle api"; per il basso tenore in carboidrati, gli asparagi rappresentano un cibo dietetico adattissimo ai diabetici; le punte, ricchissime di asparagina, sono particolarmente consigliate per la loro azione diuretica: “…Le sue puntine tenere, sorbite insieme al brodo, costringono con diuretica fermezza a… minger sodo e al tempo stesso calmano quelle palpitazioni che di frequente allarmano gli sforzi dei panzoni!… Mentre in ogni altro genere d’intoppo, col suo infuso l’intero impianto… idraulico presto ritorna in uso!”. Lo sgradevole e classico odore delle urine, dopo aver sorbito siffatto brodo, é dovuto al metilmercaptano.

Nessun commento: