«Tre cose sottili sono il maggior sostegno del mondo: il sottil rivolo di latte dalla mammella della mucca dentro il secchio; la foglia sottile del frumento ancora verde sulla terra; il filo sottile sulla mano di una donna industriosa. Tre rumori di prosperità: il muggito di una mucca gonfia di latte; il tintinnio del ferro di una fucina; il fruscio di un aratro.» (The Trials of Ireland, secolo IX)

Il Corso: salotto mondano di Palazzolo


Corso Vittorio Emanuele, vecchia materna strada con maliziosa curva lieve: l’antica insaziabile passeggiata di generazioni paesane: in aeternum! ...

 Continuando, dopo il terremoto del 1693, la tendenza di sviluppo della città nel quartiere di S. Sebastiano, cioè in una zona più alta, nel nuovo centro incomincia a prendere fisionomia il sistema viario di collegamento con gli altri quartieri urbani: la strada Corso, la via S. Michele (oggi via C. Alberto), la via Maestranza (oggi via Duca d’Aosta nella parte superiore), la via Macellaria (oggi via N. Zocco) la via S. Sebastiano ecc.

E’ verso la fine dell’ottocento tuttavia che viene riassettata la rete stradale del quartiere di Sopra. L’intervento più importante fu l’eliminazione di un dosso roccioso davanti la chiesa di S. Sebastiano che impediva il collegamento della strada Corso con il piano della Badia e con la via S. Sebastiano. Subito dopo (1876) si definì il tracciato di quest’ultima che andava a collegarsi con il piano del Teatro (Guardia). Nello stesso anno, furono trasferiti sopra l’ufficio postale e l’ufficio telegrafico. L’anno dopo fu costruita e completata la gradinata davanti la chiesa di S. Sebastiano. In seguito (1885) fu spostata la cancelleria e quindi il municipio (contiguo alla chiesa di S. Domenico) che trovò sede al n. 19 di via del Corso.

Nato, dopo il terremoto, come asse di collegamento tra il piano della Badia e il convento dei Minori Osservanti, il Corso diventò la strada principale della città ricostruita. Qui le famiglie nobili schierarono i propri palazzi settecenteschi e qui furono aperte importanti botteghe artigiane ed esercizi commerciali. La strada Corso in seguito diventò via del Corso e infine Corso Vittorio Emanuele III.

Nel 1995 in occasione delle opere di ripavimentazione della Piazza e del Corso, la via Monastero con un indovinato intervento di arredo urbano è stata lastricata anch’essa e pedonalizzata. E’ diventata così, a tutti gli effetti, parte integrante del Corso e provvidenziale valvola di sfogo nei momenti di super affollamento.   

Il “sacro recinto”

Il Corso di solito è luogo di aggregazione della comunità urbana: ci si incontra, si fanno quattro passi, si discute, si prende un caffè, si osservano le vetrine, si fa shopping… Per Palazzolo il Corso è qualcosa di più di tutto questo, è lo spazio "sacro" riservato al passeggio “ufficiale”, è il salotto mondano per eccellenza, il tòpos più frequentato da giovani e meno giovani d’ambo i sessi: qui si instaurano amicizie e si coltivano rapporti, qui vanno a braccetto l’eleganza dignitosa e il civile conversare. Il Corso è dunque l’omphalos dei palazzolesi, l’ombelico, il grande grembo capace di accogliere diuturnamente vicende, sentimenti, intrecci, fatiche, impegni. In questa grande arteria scorre  la linfa vitale della città. In essa e nelle viuzze che la intersecano, si affacciano la maggior parte dei negozi che fanno tendenza, le gioiellerie, i bar-pasticcerie, i ristoranti, le pizzerie, i pub, i negozi di souvenir, i circoli, le banche, etc.

Frequentarlo passeggiando è una sorta di rito catartico, liberatorio, è una esigenza irrinunciabile che ti fa sentire partecipe e protagonista della società civile. Andare al Corso è come andare a trovare il proprio santo o il migliore amico, è un voto, una promessa che si scioglie nel momento in cui si mette piede sulla prima basola: “…Corso Vittorio Emanuele, vecchia materna strada con maliziosa curva lieve: l’antica insaziabile passeggiata di generazioni paesane: in aeternum! ... ”. (Giuseppe Rovella). E ancora: “Ogni sera un’ora dopo il crepuscolo, la strada si anima improvvisamente di migliaia di persone che passeggiano quietamente come in un rito, le ragazze più belle sottobraccio, i tavoli dei bar affollati di studenti”. (Giuseppe Fava).

E il passeggiare al Corso nelle sere d’estate a Palazzolo dura fino a notte inoltrata, quando, dopo aver fatto una puntata ossigenante alla villa comunale si sale a S. Sebastiano e si riprende a passeggiare nel “sacro recinto”. 

Si passeggia ordinatamente (quando la strada è chiusa al traffico veicolare) nei due sensi, a destra, fino al giro di boa di via Maddalena, chè  per i Palazzolesi il Corso si divide virtualmente in tre parti: il primo tratto, quello che arriva al suddetto incrocio è il Corso di “serie A”: qui si concentra il passeggio festivo e feriale; qui, in questo tratto, al primo accenno di primavera e appena il sole incomincia a tramontare, le digradanti e magmatiche panchine degli archi del municipio sono rallegrate dal festante cinguettio di ragazzi e ragazze; qui, in questo tratto, al primo accenno di primavera, da tempi immemorabili, si danno appuntamento le rondini per nidificare sotto i cagnoli di Palazzo Iudica e degli altri palazzi limitrofi, scartando le mensole dei balconi che non rientrano in quest’area; per contro, i cani, prima che venissero reinstallati i lampioni, andavano tutti a pisciare subito dopo il cantone di sinistra di via Maddalena su un immarcescibile e odoroso caprifico che vegetava prepotentemente tra il marciapiede e il muro.

E’ qui, che in estate, bar e pizzerie invadono strada e marciapiedi, impalcando qualsiasi spazio libero: non si possono contare i tavolinetti, non si possono contare le bottiglie, non si possono contare le persone all’impiedi e sedute, intente a consumare; intanto i vari complessini e piano bar suonano e cantano più o meno discretamente. Una volta, nella bella stagione, sul marciapiedi di un bar del Corso furono trasferiti palmizi giganti e banani. Mancavano solo le scimmie e le noci di cocco per completare l’atmosfera esotica.

E’ qui sul marciapiedi di questo tratto “nobile” che erano piazzate le forche caudine del “Circolo di Cultura” alias u circulu re nobili o re cavallacci: entravano in funzione all’arrivo delle rondini e chiudevano con la loro partenza, con i primi freddi: chi si trovasse a passare davanti al circolo, quando i soci stavano seduti fuori, veniva immediatamente sottoposto ai raggi X, una istantanea tipo autovelox che metteva a nudo (specie se si trattava di belle ragazze) vizi, virtù e altro. Sempre sullo stesso marciapiedi o nel salone di rappresentanza del Circolo, per le feste comandate e nelle serate di Carnevale, era tutto un pullulare di grasse pellicce extralarge. 

E proprio in questo stesso tratto e non a caso sono disposti i tre edifici più importanti e monumentali di tutto il Corso: il palazzo comunale, palazzo Iudica, palazzo Messina-Ruiz; la stessa chiesa della Maddalena (poi diventata sede del Banco di Sicilia) era all’interno di questo spazio, anzi, ne segnava il limite.

Il tratto che segue e che arriva alla Balatazza, pur essendo sempre Corso, nell’immaginario collettivo dei palazzolesi è figlio di un dio minore; tuttavia, quando il “sacro recinto” è super affollato e incomincia a tracimare, gli stakanovisti dello struscio ultimi arrivati, sono costretti a passare, obtorto collo, in quest’altro segmento, ma  è come se si sentissero defraudati di qualcosa.

L’ultimo settore, quello che in salita si restringe e arriva a Palazzo, è semplicemente considerato una sorta di prolungamento. E dire che questo tratto terminale del Corso si chiude, come per una sorta di rivalsa, con la chiesa dell’Immacolata dall’artistica facciata convessa, al cui interno è custodita la candida “Madonna col bambino” in marmo di Carrara, uno dei capolavori di Francesco Laurana.


Il Corriere degli Iblei, febbraio 2005

6 commenti:

Anonimo ha detto...

Dice bene Nello Blancato quando scrive che "in questa grande arteria scorre la linfa vitale della città".

Forse il declino della Italia intera (e di Palazzolo dunque) si puo' cogliere anche nell'immagine del Corso vuoto gia' alle 9 di sera di una qualunque domenica.

Paolo

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