«Tre cose sottili sono il maggior sostegno del mondo: il sottil rivolo di latte dalla mammella della mucca dentro il secchio; la foglia sottile del frumento ancora verde sulla terra; il filo sottile sulla mano di una donna industriosa. Tre rumori di prosperità: il muggito di una mucca gonfia di latte; il tintinnio del ferro di una fucina; il fruscio di un aratro.» (The Trials of Ireland, secolo IX)

Alluvioni e altre calamità di casa nostra e dintorni

“Oggi è successo un alluvione che se fossesi avanzato altro poco si avrebbe trascinato il paese…”.

PALAZZOLO. Un recente studio della Commissione europea su clima e ambiente prevede in un futuro non molto lontano delle conseguenze catastrofiche per il nostro pianeta: scioglimento dei ghiacciai, inondazioni, siccità, frane, estati roventi, ecc. La causa di tale dissesto ambientale è da attribuire al riscaldamento globale dovuto all’“effetto serra”. Tutti ci auguriamo dei provvedimenti drastici e urgenti per risolvere un problema che riguarda l’esistenza o meno del nostro pianeta. 

Quando nel 1851 la nostra isola subì dei danni a causa delle grandi piogge, un canto popolare attribuiva  tale calamità ad una tremenda arrabbiatura di Gesù Cristo: “La guerra Gesù Cristu vulia fari, / Ch’era sdignatu di li piccaturi”. In un altro canto dedicato ad un’altra alluvione si era certi che la nuova calamità fosse stata mandata da Dio perché si mangiava carne di venerdì. Come si vede il leitmotiv è sempre quello: le calamità naturali come atto di ritorsione del Padreterno. 

Tra alluvioni e siccita’
Tra le più disastrose alluvioni che hanno interessato la nostra penisola non possono non essere menzionate l’alluvione di Firenze del novembre 1966, dovuta alla rottura degli argini dell’Arno, e quella del Polesine del 1951 con il Po che straripa nei pressi di Occhiobello vicino Rovigo.
L’abate Mongitore, ci dà notizia di due alluvioni che nell’anno 1740 recarono gravissimi danni alla città di Salemi nel mese di marzo e alla città di Leonforte nel mese di settembre. In quest’ultimo centro la piena fu così tanta che si formò un “novello fiume sterminatore carico di cadaveri, mobili, suppellettili, formenti, orgi…”. Il numero dei morti arrivò a duecento e “molti restarono stroppj, e feriti”.
In ambito strettamente locale il nostro P. Giacinto Farina riporta, non senza enfasi, notizie su diverse “alluvioni”, verificatisi con una certa periodicità nell’800. Nel 1810, nel mese di giugno “nella sera del Corpus Domini mentre il popolo era nella Chiesa Madre, venne un acquazzone così terribile che la piena entrò nella Chiesa Madre. Il popolo spaventato salì le parti più alte della chiesa…”. Nel 1833 un’altra alluvione: “In quest’anno fu il grande alluvione che fe’ molto danno: In Modica poi oltremodo.” E ancora il 18 ottobre 1877: “Oggi è successo un alluvione che se fossesi avanzato altro poco si avrebbe trascinato il paese. Il danno alle campagne, orti, molini, ecc., non può dirsi”.  
A partire dal 23 gennaio del 1880 nel territorio ibleo piovve ininterrottamente per quasi un mese. Un nubifragio disastroso che buttò sul lastrico tanta povera gente. A Palazzolo crollarono centinaia di case, e furono giorni di fame nera per buona parte della popolazione. Si aprì una sottoscrizione e i Palazzolesi si distinsero per generosità. Addirittura “il Prefetto di Siracusa - come riferisce il nostro solito cronista -  volle venire a vedere quello spavento, se ne andò meravigliato e lasciò 300 lire a 7 febbraro”.
Tre giorni dopo il Consiglio comunale per alleviare la disoccupazione deliberò di costruire "nel piano della Guardia una villa pubblica”. Ideatore e direttore dei lavori fu il barone Vincenzo Messina Bibbia. Il 16 febbraio, sotto la pioggia battente e in mezzo al fango, iniziarono i lavori. Grazie a questa calamità oggi ci ritroviamo il giardino pubblico che fino ad un paio di decina di anni fa tutti ci invidiavano. 
Da un eccesso all’altro. La siccità.  Il secolo XIX ai repentini e prolungati nubifragi alternò lunghi periodi di siccità che rovinavano il raccolto dell’uva, delle olive, del frumento. Dalla “Selva” di P. G. Farina: “Anno 1825. Quest’anno fù privo di pioggia, e vi fù tal siccità che non si potette seminare…”. E ancora: “Anno 1846. In quest’anno fù di siccità: Abbiamo pregato, e predicato otto giorni e dopo venne la desiderata acqua: a 13 aprile”. Anno 1858: “Fù anno di gran siccità. I seminati erano un teatro di dolore. Si uscirono i Santi, si predicò, si pregò; ma indarno, non piove”. Quando i Santi sono duri d’orecchio!… Eppure, i cambiamenti atmosferici e gli indizi di pioggia in particolare sono facilmente percepibili, secondo la credenza popolare, dal particolare comportamento di alcuni animali. E’ risaputo che quando il gatto si “lava” la faccia è sicuro indizio di pioggia; lo stesso significato si attribuisce ai buoi che si leccano il pelo al rovescio o quando levano la faccia al cielo; lo stesso vale per le pecore quando stropicciano la terra col piede o quando le capre si mettono a dormire l’una vicino all’altra. 

Le due eccezionali nevicate del 1788 e del 1859
Il territorio ibleo, ricco di colline e di montagne, un tempo era soggetto a copiose nevicate. La neve veniva conservata negli appositi nevai e venduta dai nivari a chi ne aveva necessità. Quando però le nevicate erano oltremodo abbondanti o fuori stagione creavano disagi e danni alle campagne, con gravi conseguenze per i contadini e per le classi meno abbienti.
Riportiamo la descrizione di due nevicate veramente eccezionali avvenute nel 1788 e nel 1859. Per quanto riguarda la prima nevicata la fonte citata da P. Giacinto è la “Selva Messina”, della seconda nevicata, quella del 1859, fu testimone diretto lo stesso cappuccino: “In quest’anno fu la Neve Grande, ma non la Grandissima che fù ai tempi nostri, cioè nel 1859. La Neve Grande fu uno spavento mai veduto e i nostri antenati che si  ricordavano ne parlavano a gote gonfie: narravano come fecero le vie, come cadevano i tetti e le case, i morti di freddo, e di inedia. Ma venuto il 1859 cancellò ogni memoria di quel colosso”. Ecco la cronaca del 1859: “Il giorno 9,10,11 Gennaro furon giorni di neve: dessa cadeva a gran fiocchi… e si innalzò tant’alto che in alcuni punti fu 10, 12 e 16 palmi (4 metri! n.d.a.)… in alcuni punti sino a 32 piedi (10 metri!? n.d.a.)… Chi può dire quanti danni? Quanti uomini morti alla via di Buccheri e di Buscemi. Anco in Palazzolo ne morì qualchuno. In Palazzolo morirono i buoi di Mortellaro ch’era per via… Alle parti di Modica mi contavano, che un pastore conduceva il suo gregge mentre nevicava. Di tanto in tanto accumulando la neve veniva sepolta qualche pecora e lo stesso pastore difficilmente poteva camminare… La neve seppellì il gregge… In Palazzolo… un religioso cappuccino raccolse fave, ceci, lenticchie e altro nelle case dei ricchi… e fece abbondanti minestre, e così si salvarono tanti poveri. In S. Sebastiano spesero del pane agli stessi indigenti…”. 

Grandini come noci e come “arangio” 
Il citato Mongitore racconta di una particolare grandinata avvenuta il 4 ottobre del 1729: “Apportò orrore la pioggia de’ grandini caduta nelle terre della Ficarra, S. Angelo, Martini, Piraino e altre vicine. Era la grandine della grandezza d’una ben grossa noce, di materia durissima, lucida; e per tutto il giro si mostrava acuminata come una punta di rasojo. Ma quel che apportò maraviglia, e terrore fu, che da una sua parte mostrava un viso bruttissimo, ma ben formato colla distinzione di fronte, occhi, naso, bocca, e mento, con in cima alla fronte… due piccole corna della stessa materia della grandine…”.
Il nostro cappuccino ci parla invece di grandini della “grossezza di un arangio”, alle ore 18 di venerdì 20 settembre 1637 e poi della grossezza di un nocciolo il 14 settembre del 1863: “Ad ore 21 è caduta una pioggia di grandine così terribile, che dopo quattordici ore ven’era gran quantità d’un nocciolo, e dove passò acconciò vigne, orti ed olive…”. Infine della grossezza di una noce (o di un uovo) il 7 settembre del 1868 quando una tempesta si abbattè nelle contrade di Bibinello e Cugnarelli in cui “vi furono grandini così grossi che somigliavano a grossi noci… e (anche) come ova”. A tal proposito il Nostro racconta anche un divertente aneddoto: “Due uomini andavano a Fiumegrande, uno a piede, e l’altro a cavallo; quello dinanzi fu colpito da un grosso grandine (giacchè i primi caddero senza accorgimento) credutolo un sasso scagliato dall’altro, scende da cavallo, e corre verso il rivale , che nella fuga ebbe qualche grandine, che parevagli sasso…ma poi venuti a capire levarono la rissa…”.

IL CORRIERE DEGLI IBLEI,  febbraio 2007


1 commento:

muscolino giovanni ha detto...

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